A volte ritornano, in Ucraina. E a volte no. Alcuni protagonisti del lavorio diplomatico per favorire la pace, o perpetrare la guerra, ebbero un ruolo anche nell’insurrezione del 2014, l’’Euro-Maidan’, in cui affondano molte radici dell’attuale conflitto. Il presidente tedesco Frank-Walter Stenmeier, che gli ultras ucraini non vogliono oggi a Kiev perché “amico” del presidente russo Vladimir Putin, negoziò, a fine febbraio 2014, con il collega polacco Radoslaw Sikorski, un accordo tra gli insorti e il presidente filo-russo Viktor Yanukovych, mai attuato perché il presidente, dopo averlo accettato, lasciò la capitale. E l’allora diplomatica statunitense Victoria Nuland, assistente segretario di Stato per gli Affari europei e dell’Eurasia nell’Amministrazione Obama, e oggi sottosegretario di Stato per gli Affari Politici nell’Amministrazione Biden.
Le cronache dell’epoca diedero il merito dell’intesa fra i manifestanti e Yanukovych più a Sikorski che Stenmeier: “Il ruolo cruciale della Polonia, mentre Yanukovych collassa”, titolava ad esempio la Bbc il 25 febbraio. Sikorski, giornalista, sposato con un premio Pulitzer, Anne Applebaum, ne ricavò una spinta che, nei mesi a venire, ne fece un candidato ai posti di segretario generale Nato, andato al norvegese Jens Stoltenberg, e di ‘ministro degli Esteri’ Ue, andato a Federica Mogherini. Ad handicapparlo, la perdita di potere del suo partito centrista e filo-europeista: oggi, Sikorski è parlamentare europeo.
Stenmeier, invece, insieme al collega francese Laurent Fabius, e in subordine ai rispettivi ‘boss’, cioè la cancelliera Angela Merkel e il presidente François Hollande, contribuì a forgiare gli accordi di Minsk tra Ucraina e Russia nel 2014 e ad aggiornarli nel 2015, senza per altro riuscire mai a farli rispettare. Ministro degli Esteri fino al 2017, fu poi eletto – e rieletto nel febbraio scorso – presidente della Repubblica federale di Germania.
Oggi, l’ostilità di Kiev nei suoi confronti è, in realtà, indirizzata alla Germania, che, nell’Ue, frena sia sul blocco dell’import di energia dalla Russia sia sulla fornitura di armi all’Ucraina.
La Nuland, invece, era Kiev con il ‘ministro degli esteri’ Ue Katherine Ashton, nel dicembre 2013, quando i reparti anti-sommossa attaccarono i manifestanti. Nel febbraio 2014, quando la crisi stava ormai precipitando, fu incaricata dal segretario di Stato John Kerry di studiare, d’intesa con l’Onu, un piano per uscire dallo stallo, che raccogliesse il consenso delle istituzioni e degli insorti e anche quello della Russia di Vladimir Putin.
In quella fase, crearono irritazione in Europa le sue parole carpite durante con colloquio telefonico con l’ambasciatore degli Usa in Ucraina: “Fuck the EU”, disse la Nuland, esprimendo icasticamente il disinteresse americano a coinvolgere l’Unione europea nella ricerca di una soluzione alla crisi.
Otto anni dopo, il linguaggio della Nuland, che lasciò la carriera diplomatica poco dopo l’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump, resta tagliente. Ai primi di marzo, in un’audizione al Senato Usa, la Nuland affermò che il controverso gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, oggetto di sanzioni dopo l’invasione dell’Ucraina, è “morto” e non può essere “resuscitato”: “E’ un grosso pezzo di metallo in fondo al mare”, disse, andando ben oltre le posizioni tedesche a quel momento.
Sposata con il politologo Robert Kagan, abituata a lavorare con Amministrazioni sia democratiche che repubblicane – ma Trump era troppo -, già rappresentante degli Usa alla Nato con Bush jr, capace di esprimersi in russo, la Nuland era inizialmente candidata a posti di maggiore rilievo nell’Amministrazione Biden. Era comunque nella delegazione del presidente all’incontro di giugno a Ginevra con Putin, l’unico incontro personale finora fra i due leader.