Mentre si chiude la settima settimana di guerra aperta in Ucraina, l’offensiva russa si sviluppa lungo due fronti: sul terreno, c’è l’occupazione della regione di Donetsk, che passa attraverso la presa di Mariupol e poi di Popasna e l’avanzata in direzione di Kurakhove; al tavolo dei negoziati, c’è, invece, una sorta di stallo, quasi un arroccamento.
Tutta colpa di Kiev, sostiene Mosca: l’Ucraina non avrebbe rispettato i patti con la Russia fatti il 28 e 29 marzo a Istanbul; e l’Occidente la userebbe come strumento per raggiungere i propri obiettivi, “indipendentemente dagli interessi del popolo ucraino”. Il Cremlino dice: “Gli ucraini hanno spinto le trattative in un vicolo cieco … e ora le operazioni militari andrà avanti finché non ci saranno condizioni di negoziato accettabili”.
Lo stato maggiore delle forze armate di Kiev pubblica su Facebook i piani di guerra russi, ammesso che siano veri. E il presidente ucraino Volodymyr Zelensky va di nuovo in pressing sull’Europa: senza uno stop al gas russo, non si potrà costringere alla pace il presidente russo Vladimir Putin. “Occorre – dice – garantire che la risposta dell’Europa all’aggressione russa sia veramente forte e veramente solida … Devono essere fissate scadenze specifiche per ogni Stato Ue perché efficacemente o almeno limiti in modo significativo il consumo di gas e petrolio” russi.
La Bild scrive che Zelensky avrebbe ‘stoppato’ una visita a Kiev del presidente tedesco Frank Walter Steinmeier, nell’ambito di una delegazione europea, a causa di strattei contatti, in passato, tra Steinmeier e Putin. Invece, è giunto ieri sera a Kiev l’elemosiniere di papa Francesco, cardinale Konrad Krajewski, latore del dono di un’ambulanza: il cardinale resterà in Ucraina tutta la settimana santa.
Ma la guerra divide i cristiani: la decisione vaticana di fare portare la croce a una famiglia russa ed a una ucraina insieme nella via crucis del Venerdì Santo al Colosseo, sotto gli occhi del Papa, trova l’opposizione dell’ambasciata di Kiev presso la Santa Sede ed è definita “inopportuna” dall’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina.
L’intelligence britannica prevede che l’attacco russo nel Sud-est tocchi l’apice fra due/tre settimane, la Cnn segnala colonne di blindati avanzare nel Donbass. Mariupol resta l’epicentro degli scontri ed è ancora contesa, a giudizio del Pentagono: lì, un tank russo ha distrutto la sede locale della Caritas (sette i morti); e lì e pure a Zaporizhzhia i russi avrebbero usato “munizioni al fosforo” e diffuso con droni sostanze chimiche, causando malesseri fra i militari ucraini. Sono prime informazioni pervenute e non confermate, specialisti americani e britannici fanno accertamenti, il Pentagono esprime preoccupazione; ma Dan Kaszeta, un esperto Usa, ipotizza che si tratti degli effetti della contaminazione con tossine chimiche delle aree industriali bombardate.
Kiev denuncia il ritrovamento, nelle aree liberate, di fosse comuni e continua a registrare e indagare i crimini di guerra attribuiti ai russi. Parlando al Parlamento lituano, Zelensky elenca gli orrori: “Migliaia di vittime, centinaia di casi di stupori e di brutali torture, cadaveri in tombini e scantinati, corpi legati e mutilati, centinaia di orfani”. E’ stato pure creato un elenco dei traditori: i nomi sarebbero già un centinaio.
Solo a Bucha sono stati finora trovati 403 corpi di civili uccisi durante l’occupazione, ma il numero crescerà – sostiene il sindaco Anatoliy Fedoruk -: è troppo presto perché i residenti fuggiti nelle tornino nelle loro case. Borodyanka, la città più distrutta dopo Mariupol, potrebbe scomparire. E ci vorranno dieci anni – si stima – per ricostruire il porto sul Mar d’Azov, che i russi vogliono rendere un ‘mare loro’; secondo la Tass, l’Ucraina avrebbe espropriato dieci navi russe nel porto di Odessa.
Gli ucraini contrastano lo spiegamento dei russi nel Donbass, fanno l’elenco dei successi: “respinti sei attacchi nemici, distrutto quattro carri armati, cinque unità corazzate, 26 veicoli e 8 sistemi d’artiglieria”. Ma i russi non “abbandonano i piani per impadronirsi completamente delle regioni di Donetsk e Lugansk” e “continuano a utilizzare la tattica di collocare attrezzature e manodopera direttamente nelle abitazioni, nelle imprese agricole, nelle infrastrutture energetiche e sociali…”.
Sono state rafforzate le misure di sicurezza ai confini tra Ucraina e Bielorussia e tra Ucraina e Moldavia, nell’area della Transnistria “per prevenire un’escalation in quelle zone”: si temono, cioè, infiltrazioni di forze alleate degli invasori russi.
Le autorità di frontiera ucraina confermano che è in atto un contro-esodo: c’è più gente che torna che gente che parte. Su circa cinque milioni di profughi, oltre 870 mila sarebbero già tornati alle loro case, uno su cinque, profittando del ritiro dei russi dal nord.