La pace in Ucraina che una settimana fa pareva essersi avvicinata di qualche passo è più lontana: l’orrore delle immagini di Bucha alimenta la determinazione degli ucraini a cacciare indietro i russi e la riluttanza dell’Occidente a parlare il linguaggio dell’accordo. Kiev e Washington e molte altre capitali Nato scelgono quello del confronto; Mosca usa quello della brutalità e respinge le accuse, ma fatica a convincere il Mondo che tutte le atrocità attribuite ai suoi soldati sono messinscene.
Ogni volta, l’umanità si ritrova incredula, attonita, atterrita davanti agli orrori della guerra. Come se fosse la prima volta. Come se non sia sempre stato così. Come se le immagini crude – pur mediate dal racconto cinematografico – di Soldato Blu e Uomini contro, La Ciociara e Apocalypse Now, Paisà e Missing non le avessero già denunciate nella loro ripetitiva ineluttabilità. Come se le colpe di Srebrenica non ci stessero ancora incollate addosso, con i ‘nostri’ soldati occidentali ad assistere inerti al massacro senza alzare un grilletto per impedirlo.
Non dice parole di pace il presidente russo Vladimir Putin, che rinvia un incontro con l’ucraino Volodymyr Zelensky a “quando ci sarà stato l’accordo”. Non dice parole di pace Zelensky, che infiamma l’Onu. Non dice parole di pace il presidente Usa Joe Biden, che vuole Putin a giudizio e la Russia espulsa dal Consiglio dell’Onu per i diritti umani. Ue e Usa comminano nuove sanzioni, spesso irrilevanti; il Cremlino replica minacciando “un inverno alimentare” per i Paesi ostili; e l’Italia allunga la lista dei Paesi che espellono diplomatici russi in quanto sospette spie.
L’onda dell’indignazione suscitata dai massacri di Bucha irrigidisce i Paesi atlantici; La linea rossa tracciata dalla Nato e finora condivisa dagli Usa s’assottiglia: aiutare l’Ucraina a difendersi, ma non fare la guerra alla Russia. Fughe in avanti ce ne sono, nel contesto estremamente delicato d’una crisi ormai globale, come prova la presenza, mercoledì, a Bruxelles, al Consiglio atlantico di Australia e Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud, oltre a Svezia, Finlandia e Georgia.
L’audizione al Senato di Washington dei vertici militari degli Stati Uniti conferma l’impressione che l’allargamento del conflitto non sia più un’ipotesi esclusa, perché qualcuno s’è convinto che Putin vacilla e può essere abbattuto. Lloyd Austin, capo del Pentagono, e il generale Mark Milley, capo di Stato Maggiore, affermano: “L’invasione dell’Ucraina è la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza dell’Europa e forse del mondo”. E spiegano: “Ci troviamo a fronteggiare due potenze globali, la Cina e la Russia, ciascuna con significative capacità militari ed entrambe tese a cambiare fondamentalmente le regole basate sull’attuale ordine mondiale; stiamo entrando in un mondo che sta diventando più instabile e il potenziale per un significativo conflitto internazionale sta aumentando, non riducendosi”.
La Nato e l’Ue, consulti e missioni
La Nato, come l’Ucraina, non parla, dunque, il linguaggio del negoziato. Anzi, il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg prospetta “una fase cruciale” del conflitto ucraino: “Vediamo le truppe russe che si ritirano da Kiev, si raggruppano, si rifocillano e si concentrano sull’Est del Paese. Mosca tenterà di prendere tutto il Donbass e la terra fino alla Crimea”.
Il Consiglio atlantico del 6 aprile cadeva a uno snodo dell’invasione: la Russia ha apparentemente ridimensionato i suoi piani, ma vuole creare il dato di fatto di una ‘annessione militare’ del Sud-Est dell’Ucraina.
Se la Nato elabora le sue mosse, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Josep Borrell, ‘ministro degli Esteri’ dell’Ue, portano a Kiev la solidarietà europea: la loro missione in settimana fa seguito a quella della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.
Stoltenberg dice: “Abbiamo qualche settimana per rifornire gli ucraini e aiutarli a respingere l’attacco … Ora dobbiamo decidere che cosa possiamo fare di più”. La Rep. Ceca ha già scelto: invia in Ucraina vecchi carri armati dell’era sovietica, come la Polonia voleva fare con i suoi Mig, ma per interposta Alleanza. I cechi sono i primi ad accogliere la richiesta di tank dell’Ucraina, finora un tabù per i Paesi atlantici.
“La Nato – avverte Stoltenberg – ha la responsabilità di sostenere l’Ucraina nella sua lotta, ma ha anche quella di evitare che scoppi una guerra aperta con la Russia, che è una potenza nucleare. Siamo dalla parte giusta della storia, ma, in quel caso, assisteremmo a più orrori e a più atrocità”, come se quanto accaduto a Bucha e altrove non fosse già di troppo.
“Le immagini dei civili uccisi a Bucha rappresentano una brutalità senza pari in Europa da decenni – osserva Stoltenberg – … Era la Russia che controllava quella zona, sono i russi i colpevoli. Ce lo confermano molte fonti diverse, inclusi media e compagnie commerciali … Temo che vedremo ancora civili morti, perché la Russia controlla molti territori ucraini e, quando saranno liberati, troveremo più fosse comuni e più crimini di guerra”.
Viene poi l’affondo contro Putin. “E’ la sua guerra, è lui responsabile delle atrocità e delle vittime che vediamo ogni giorno in Ucraina … Colpire i civili costituisce un crimine di guerra: tutti i fatti devono essere stabiliti e i colpevoli puniti. Gli alleati della Nato sostengono le indagini dell’Onu e della corte penale internazionale dell’Aja”.
E l’ambasciatrice Usa presso la Nato Julianne Smith puntualizza: “Quella di Praga è la decisione d’un Paese sovrano, non dell’Alleanza”, Ma è vero che “circa due terzi degli alleati stanno già fornendo armi letali all’Ucraina”. Repubblica Ceca e Slovacchia si sarebbero offerte di “riparare e riadattare le attrezzature militari ucraine danneggiate”, comprese quelle catturate ai russi.
Zelensky all’Onu, una Norimberga per Putin
Parlando all’Onu, martedì 5 aprile, Zelensky ha proposto “un tribunale sul modello di Norimberga” per processare i responsabili dei crimini di guerra russi in Ucraina: E ha denunciato: “La Russia vuole uccidere più civili possibile… Dove sono le garanzie che deve dare l’Onu? Dov’è la pace che il Consiglio di Sicurezza deve costruire? I russi vogliono ridurci in schiavitù”. Mosca replica subito: “Accuse infondate”.
In un intervento dai toni forti, chiuso da un applauso non unanime, il presidente ha evocato i crimini di guerra attribuiti ai militari russi, specie le stragi di civili a Bucha – altrove, specie a Borodyanka, la situazione sarebbe peggiore -. In visita a Bucha il giorno prima, Zelensky aveva definito “macellai” i soldati russi.
In un intervento alle Cortes di Madrid, il presidente ha invece paragonato le devastazioni in Ucraina a quelle di Guernica: “Siamo nell’aprile 2022, ma sembrerebbe di essere nell’aprile 1937”. “Mosca non cerca la pace seriamente … e non sappiamo quanto potrà durare questa guerra”: ci vogliono sanzioni “le più dure possibili”.
Il discorso all’Onu è stato una successione di denunce: le azioni dei russi in Ucraina sono come quelle di “organizzazioni terroristiche tipo l’Isis”; Mosca vuole “distruggere ogni diversità etnica e religiosa”; centinaia di migliaia di ucraini sono stati deportati in Russia; alcune dei civili uccisi “sono stati fucilati per strada, altri sono stati gettati nei pozzi, sono stati schiacciati dai carri armati mentre erano nelle loro auto, sono stati uccisi nei loro alloggi, le loro case sono state fatte saltare. Un video mostra immagini raccapriccianti di civili, inclusi bambini, uccisi a Irpin, Dymerka, Motyzhin: “Quello che abbiamo visto a Bucha lo abbiamo visto altrove”.
Preceduto da una dichiarazione del segretario di Stato Usa Antony Blinken, secondo cui Bucha “non è un atto isolato, ma è parte di una campagna deliberata per uccidere, torturare e stuprare civili”, il discorso di Zelensky s’è chiuso con la richiesta – non attuabile – di “rimuovere la Russia” dal Consiglio di Sicurezza, così che non possa mettere il veto alle condanne “delle sue aggressioni”.
La rappresentante degli Usa all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha invece proposto che la Russia sia sospesa dal Consiglio per i diritti umani, sostenendo che la sua presenza ne “mina la credibilità”: Mosca lo usa come piattaforma di propaganda. Il capo degli affari politici delle Nazioni Unite, Rosemary DiCarlo, ha detto che l’Onu indaga su accuse credibili di utilizzo di munizioni a grappolo proibite nelle aree popolate da parte della Russia (“almeno 24 volte”) e pure dell’Ucraina.
Thomas-Greenfield ha confermato che “in base delle informazioni attualmente disponibili gli Usa valutano che membri delle forze armate russe hanno commesso crimini di guerra in Ucraina”. Parlando a Varsavia, il ministro degli Esteri britannico Liz Truss ha rivendicato al Regno Unito, che esercita la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il diritto di usarla per “chiamare la Russia a rispondere” delle accuse: “Non avremo pace fin quando i colpevoli non saranno portati dinanzi alla giustizia” internazionale.
Il rappresentante cinese Zhang Jun ha definito “molto sconvolgenti” notizie e immagini da Bucha, ma ha chiesto che circostante e responsabilità siano verificate, ribadendo la contrarietà di Pechino alle sanzioni come via per risolvere la crisi e chiedendo a Usa, Nato e Ue di dialogare con la Russia.
La domenica dei trionfi dei putiniani d’Europa e l’anomalia polacca
Contrasta con le cronache da Onu, Ue e Nato la domenica dei trionfi elettorali dei putiniani europei, dall’Ungheria alla Serbia. Il premier ungherese Viktor Orban, freddo sulle sanzioni e tiepido sull’accoglienza, ottiene un quarto mandato; il presidente serbo Aleksandr Vucic viene confermato. E – sorprendentemente – la Polonia, fautrice d’una linea europea oltranzista anti-Putin, se la prende con la Francia e con la Germania, che non fanno abbastanza per aiutare l’Ucraina a resistere all’invasione, e rivaluta l’Ungheria.
Il premier Mateusz Morawiecki dice: “Il problema non è Orban, lui è a favore delle sanzioni – cosa non vera: in visita al Cremlino il primo febbraio, Orban ne prese le distanze e si propose come ponte tra l’Ue e la Russia, ndr -; il problema è la Germania”, che non vuole le sanzioni sull’energia. E apostrofa così il presidente francese Emmanuel Macron: “Quante volte hai negoziato con Putin e cosa hai ottenuto? Non discutiamo, non trattiamo con i criminali. I criminali devono essere combattuti. Nessuno ha negoziato con Hitler. Negozieresti con Hitler, con Stalin, con Pol Pot?”
La posizione di punta anti-russa della Polonia, oltre che dei Paesi baltici, non è una novità. Ma probabilmente rinfrancata nelle sue posizioni dalla recente visita del presidente Biden, Varsavia sembra ora volere regolare conti in sospeso con l’Ue e con Berlino.
La Polonia è il Paese più esposto alla marea di profughi ucraini che si sta riversando nell’Ue ed è, con i Baltici, anche sulla prima linea di un’eventuale offensiva russa verso Occidente. Prima dell’invasione dell’Ucraina, Varsavia era ai ferri corti con Bruxelles e con le istituzioni comunitarie, che le contestavano il mancato rispetto di aspetti fondamentali dello stato di diritto e minacciavano di subordinare l’erogazione di fondi a una sanatoria delle inadempienze. Anche con Budapest c’era, e c’è, un contenzioso analogo. La posizione della Polonia suscita la reazione del Cremlino, che cita una disponibilità di Varsavia ad ospitare armi nucleari sul proprio territorio e avverte: “Potrebbe accrescere la tensione in Europa”. Per Mosca, “la politica belligerante e anti-russa di Varsavia è una grande preoccupazione”.