Dopo i passi avanti verso la pace in Ucraina, sono inevitabili i mezzi passi indietro: chi cerca di riprendersi in mano le carte ormai messe in tavola e chi vuole arraffare tutte le fiches sul tappeto verde, prima che si sappia chi ha vinto la mano. Sospese martedì sera, in un’atmosfera di ottimismo, seppur cauto, i negoziati, che dovevano durare due giorni, non sono ieri ripresi: le delegazioni hanno già lasciato Istanbul, riferisce una fonte bene informata, “per coordinare e calibrare ulteriormente le rispettive posizioni nelle loro capitali”.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov raffredda le aspettative: “Per ora, non possiamo dire che ci sia qualcosa di molto promettente o che ci sia stata una qualche svolta”, commenta; e aggiunge “C’è ancora molto lavoro da fare”. E le borse di tutto il Mondo, che martedì avevano festeggiato come se l’intesa fosse fatta, sono deboli o in stallo.
Ma le spinte ad andare avanti e a chiudere la guerra guerreggiata con una solida tregua sono forti e autorevoli. La Cina invita Mosca e Kiev “a continuare i colloqui di pace nonostante le difficoltà”, apprezza i risultati positivi finora raggiunti, auspica un raffreddamento della situazione sul terreno “il prima possibile” e appoggia gli sforzi compiuti per prevenire una crisi umanitaria su larga scala.
Lo ha detto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, incontrando l’omologo russo Serguiei Lavrov: “la questione ucraina ha origini complesse: è lo scoppio dell’accumularsi di conflitti per la sicurezza in Europa ed è anche il frutto della mentalità della Guerra Fredda e del confronto tra schieramenti”.
Una tirata d’orecchi all’Occidente e un discorso programmatico nel tempo, per Wang, “dovremmo … rispondere alle legittime preoccupazioni di tutte le parti in materia di sicurezza … e costruire, tramite il dialogo e il negoziato, un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile che garantisca una stabilità a lungo termine”.
Secondo Lavrov, l’Ucraina sta capendo che “le questioni della Crimea e del Donbass sono chiuse”: “Questo è un progresso”. Ma da Kiev arriva una replica non conciliante: “Saranno chiuse una volta ripristinata la sovranità ucraina su quei territori”.
In serata, c’è stata una telefonata di quasi un’ora tra il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e il presidente russo Vladimir Putin: s’è parlato dei negoziati e delle forniture di gas, della necessità di giungere presto a una tregua e delle emergenze umanitarie. Draghi voleva “parlare di pace” e l’Italia è disponibile “a contribuire a una ‘de-escalation’”. I due si manterranno in contatto.
Lato russo, il capo dei negoziatori di Mosca Vladimir Medinsky, consigliere del presidente Putin, dice che “la posizione di fondo della Russia sulla Crimea e sul Donbass non è cambiata”; ma ammette che, martedì, l’Ucraina ha mostrato per la prima volta di essere pronta a costruire relazioni di buon vicinato con la Russia e a discuterne le richieste di principio.
Lato ucraino, il capo dei negoziatori di Kiev Mikhailo Podolyak spiega che il referendum sull’intesa ci sarà “solo dopo che le truppe russe saranno tornate sulle posizioni antecedenti il 23 febbraio” – condizione che pare problematica -. “Penso che dovremo ora lavorare sui termini del trattato, che dovrà essere accettato da tutti, anche dagli Stati garanti”, fra cui c’è l’Italia.
Podolyak, consigliere del presidente Zelensky, tesse l’elogio di Roman Abramovich, “mediatore estremamente efficace tra le delegazioni”, ma ha dubbi sull’ipotesi avvelenamento: voci, a suo dire, diffuse per creare allarme e tensione.
Un altro negoziatore, David Arakhamia, spiega il concetto di ‘neutralità rafforzata’ proposto dall’Ucraina: fare affidamento sul proprio esercito, ma disporre anche di garanzie di sicurezza. Kiev guarda a “Svizzera o Israele, che hanno un esercito che può essere mobilitato in ogni momento e rispondere in caso di aggressione”.
Ma va ben oltre: le garanzie di sicurezza chieste a diversi Paesi prevedono un intervento automatico in caso di un “attacco di qualsiasi forma”. “I Paesi garanti saranno vincolati, dopo essersi consultati per un massimo di 72 ore, a fornire l’assistenza necessaria, sotto forma di armi e/o di intervento delle forze armate”. Il “vincolo giuridico” a intervenire in difesa dell’Ucraina sarebbe certificato dalle ratifiche dei parlamenti dei Paesi garanti.
Il ministero della Difesa ucraino nega che i russi si stiano ritirando dalle aree di Kiev e di Chernihiv e ammette solo “movimenti di truppe limitati”, avvicendamenti di unità decimate. Fonti Usa dicono alla Cnn che Putin “è male informato dai suoi” sull’andamento del conflitto, perché i generali russi “hanno paura” di riferire la verità al presidente che, a sua volta, nutre diffidenza nei loro confronti.
Secondo fonti dell’Onu, il numero dei profughi ha superato i quattro milioni, mentre dieci milioni d’ucraini hanno lasciato le loro case, uno su quattro. La ‘guerra del rublo’, cioè il vincolo di pagare in rubli l’export russo, anche quello energetico, che doveva scattare oggi, è rinviato: Mosca non è pronta e i suoi clienti non ci stanno.