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Ucraina: la mossa di Zelensky, il Papa come mediatore

Scritto per Il fatto Quotidiano del 23/03/2022

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Per innescare una dinamica di pace nel conflitto in Ucraina scende in campo la diplomazia vaticana: Papa Francesco ha chiamato al telefono il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che l’ha invitato in Ucraina. Non si sa ancora se e quando la visita avverrà: a complicare la mediazione vaticana, c’è il fatto che questo conflitto vede pure contrapposte le chiese ortodosse ucraina e russa.

Nel darne notizia con un tweet, l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede Andryi Yurash descrive una conversazione “molto promettente” e giudica la telefonata un “nuovo visibile gesto di sostegno all’Ucraina da parte di Francesco”: Il Papa ha detto che la Santa Sede “sta pregando e facendo tutto il possibile per la fine della guerra; il presidente ha ribadito che Sua Santità è l’ospite più atteso in Ucraina”.

L’ambasciatore Yurash spinge da giorni per una visita a Kiev di Papa Francesco. E la Russia presta attenzione al ruolo del Vaticano: l’Adn Kronos scrive che Alexei Paramonov, direttore per l’Europa del Ministero degli Esteri russo, il funzionario che aveva minacciato l’Italia e attaccato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, è stato designato prossimo ambasciatore presso la Santa Sede.

In passato, il Vaticano non ha avuto molto successo quando ha cercato di prevenire un conflitto. Ma è vero che si rivolgeva all’Occidente protestante, mentre ora ha a che fare con la Russia, un Paese e un regime intrisi di religiosità ortodossa. Nel 1991, Giovanni Paolo II era contro la Guerra del Golfo – pur avallata dall’Onu -, scrisse a Bush padre e a Saddam Hussein, appoggiò Mikhail Gorbaciov che provò ad evitare che dall’offensiva aerea si passasse a quella terrestre: non servì a nulla. Ricevendo in Vaticano Lech Walesa, all’epoca presidente polacco, Karol Wojtyla gli raccontò che la guerra non lo faceva dormire.

Dodici anni dopo, lo stesso Papa non ottenne di più con Bush figlio, che, contro il parere dell’Onu, invase l’Iraq. Wojtyla mandò a Washington il cardinale Pio Laghi, che il 5 marzo 2003 fu ricevuto alla Casa Bianca, senza esito alcuno, Due settimane dopo, scattava l’attacco all’Iraq e l’impressionante operazione Shock and Awe, un inferno in diretta televisiva.

Le prospettive di successo in Ucraina non sono molte, al di là dell’entusiasmo dell’ambasciatore Successivamente Zelensky ha riferito che il Papa gli “ha detto parole molto importanti” e che lui gli ha raccontato “la difficile situazione umanitaria e il blocco dei corridoi da parte dei russe”: “Il ruolo di mediazione della Santa Sede nel porre fine alla sofferenza umana sarebbe accolto con favore”, ha aggiunto, dopo aver ringraziato il pontefice “per le preghiere per l’Ucraina e la pace”.

La Santa Sede s’è limitata a confermare la telefonata. Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, non ha commentato i contenuti della telefonata, ma ha detto: “Non ci sono alternative al negoziato … l’alternativa è la guerra, l’alternativa è la violenza, l’alternativa sono i morti”. Ma Francesco andrà a Kiev?, gli è stato chiesto. “Non sono in grado di dire: loro dicono di garantire la sicurezza e so che il presidente Macron andrà, forse anche il premier Johnson…”: la porta non è chiusa.

Per il momento, il pontefice, in un tweet diffuso anche in russo e in ucraino, invita “ogni comunità e ogni fedele” a unirsi a lui in preghiera venerdì, il giorno dell’Annunciazione, per la pace nel Mondo, quindi pure in Ucraina.

Zelensky è anche tornato a proporre un incontro con il presidente russo Vladimir Putin, dicendosi pronto a discutere dello statuto delle autoproclamate Repubbliche russofone ucraine e della Crimea. Ma per farlo, sostiene, è necessario un cessate-il-fuoco: “Una volta rimosso quell’ostacolo, parliamo”. Da parte russa, si rovescia la medaglia: prima l’intesa, poi il cessate-il-fuoco.

Chi non collabora a creare il clima per un negoziato sono gli Stati Uniti di Joe Biden. Il presidente, che domani sarà a Bruxelles per i Vertici dell’Ue e della Nato e poi andrà in Polonia, resta rigido, con la Russia e anche con la Cina. Biden vede “un Occidente più unito che mai” e paventa il ricorso alle armi chimiche da parte russa; Putin torna ad agitare l’incubo dell’atomica.

Alla vigilia della partenza per l’Europa, il segretario di Stato Antony Blinken annuncia una raffica di sanzioni contro dirigenti cinesi responsabili della repressione di minoranze etniche e religiose nello Xinjiang. Washington rischia di saldare, sanzione dopo sanzione, l’asse Mosca – Pechino. E Biden ne promette altre alla Russia domani.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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