HomeEuropaUcraina: punto, pace a Pasqua, flebile speranza, chi può mediare

Ucraina: punto, pace a Pasqua, flebile speranza, chi può mediare

Scritto per la Voce e il Tempo uscita il 17/03/2022 con data 20/03/2022 e, in versioni diverse, per il Corriere di saluzzo del 17/03/2022, per il blog di Media Duemilia pubblicato il 17/03/2022 https://www.media2000.it/ucraina-la-pace-a-pasqua-una-flebile-speranza-mentre-la-guerra-va-avanti/ e per il blog de Il Fatto Quotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/16/guerra-in-ucraina-mediatore-di-pace-cercasi-lidentikit-ce-il-nome-manca/6527230/ pubblicato il 16/03/2022

-

Per credere alla pace di Pasqua in Ucraina, che martedì i negoziatori facevano balenare come possibile – e vorrebbe dire ancora un mese di lutti e devastazioni -, manca l’identikit del perfetto mediatore. O, meglio, l’identikit c’è, ma non è facile trovare chi gli corrisponda e voglia assumersi il ruolo.

Martedì, il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha riconosciuto che l’Ucraina non è nella Nato e non vi entrerà. Ma il presidente russo Vladimir Putin non s’è accontentato: “L’Ucraina non è seria nella ricerca di una soluzione mutualmente accettabile”, ha detto.

La presa d’atto ucraina coincide con il quarto round di negoziati in videoconferenza tra delegazioni delle due parti. Secondo fonti ucraine, che non trovano eco a Mosca, c’è l’ipotesi di una ‘timeline’ per il ritiro dei russi. Ma il conflitto non accenna a rallentare: ogni notte, sirene, attacchi, vittime; e, di giorno, distruzioni, sofferenze, l’esodo di donne, bimbi, anziani. Fra i caduti, tre giornalisti.

Per fare negoziare Putin, occhi di ghiaccio, algido e distante, e Zelensky, attore passato alla politica e divenuto l’eroe della resistenza di Kiev, ci vuole qualcuno che possa dialogare con entrambi, ma che non sia percepito né dall’uno né dall’altro come ostile – o troppo amico del rivale -; e che abbia gli strumenti, cioè il potere, di fare rispettare eventuali accordi presi.

Sulla scena della diplomazia, si erano prodigati, prima dell’invasione, il presidente francese Emmanuel Macron, che tiene un canale di dialogo aperto, e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Francia e Germania sono i garanti degli Accordi di Minsk del 2014 rivisti nel 2015: Parigi e Berlino li mediarono, ma purtroppo non sono mai riusciti a farli rispettare. L’impressione è che la Russia, scottata da quell’esperienza, non s’accontenti più dei due garanti europei e voglia eventualmente aggiungerci il carico da novanta degli Stati Uniti.

Dopo l’invasione, si sono fatti avanti il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un prezzemolo delle crisi internazionali, perché ci s’immischia sempre: è riuscito a fare incontrare – però senza esito – i ministri degli Esteri russo Serguiei Lavrov e ucraino Dmytro Kuleba e spedisce in missione a Mosca e a Kiev il ministro degli Esteri Mevlut Cavasoglu.; e il premier israeliano Naftali Bennett, che ha buoni rapporti con Putin e con Zelensky, che è ebreo, e propone un incontro a Gerusalemme, città più di guerra che di pace, ma che esercita un forte richiamo ideale e religioso.

Però né Erdogan né Bennett hanno il potere di indurre Mosca e Kiev a rispettare eventuali accordi. Allora, bisogna rivolgersi altrove. Finora, si sono tenuti in disparte il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e anche la da molti evocata Angela Merkel, che può contare sulla sua esperienza e può vantare una lunga frequentazione con Putin – parla pure russo avendolo studiato nella Rdt dov’è cresciuta e s’è formata come chimica -: due figure di grande autorevolezza internazionale, ma che – come diceva Stalin del Papa – non hanno divisioni.

Resta il presidente cinese Xi Jinping, la sfinge di questa crisi: si astiene all’Onu sulla condanna dell’invasione, ma sostiene l’integrità territoriale del Paese attaccato; è contrario alle sanzioni e ha un’economia che prospera in pace; gli Usa lo sospettano d’aiutare la Russia economicamente e militarmente, ma lui respinge gli addebiti. Xi avrebbe l’autorevolezza e il potere: vorrà esercitarli?

Sul terreno e al tavolo dei negoziati, una settimana non conclusiva
Il discorso, citato dall’agenzia di stampa di Kiev, con cui il presidente Zelensky ha riconosciuto che l’Ucraina non è nella Nato e non vi entrerà, ha avuto toni amari: “Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte – dell’Ue e della Nato, ndr -, ma abbiamo pure sentito dire che non possiamo entrarci e dobbiamo ammetterlo”.

Zelensky ha continuato: “Se le porte fossero state davvero aperte, non avremmo dovuto affannarci per convincere per 20 giorni l’Alleanza che i cieli sopra l’Ucraina devono essere chiusi … Ognuno degli oltre 800 missili russi che hanno colpito il nostro Paese è la risposta alla domanda d’adesione alla Nato … Le armi che riceviamo in una settimana bastano per venti ore … Aiutandoci aiutereste voi stessi”. Concetti analoghi Zelensky li ha poi ribaditi mercoledì, parlando al Congresso Usa riunito in sessione plenaria. Martedì, i capi di governo di tre Paesi Ue, Polonia, Rep. Ceca e Slovenia, sono andati a Kiev per incontrarlo, come parte degli sforzi dell’Ue per isolare Putin.

Un membro del team negoziale ucraino, Ihor Zhovkva, vede progressi, giudica la posizione russa più costruttiva: “Invece che darci ultimatum o linee rosse o chiederci di capitolare, ora paiono dialogare”, riferisce alla Bbc. Ma, sensazioni ottimistiche a parte, non c’è notizia di accordi o progressi concreti. Mosca e Kiev sono ancorate “alle loro posizioni specifiche e la comunicazione continua a essere difficile”.

La prossima settimana, il presidente Usa Joe Biden sarà in Europa per i Vertici Ue e Nato, entrambi fissati giovedì 24. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg dice: “Discuteremo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ribadiremo il sostegno all’Ucraina e rafforzeremo ulteriormente la deterrenza e la difesa della Nato. In questo momento critico, il Nord America e l’Europa devono continuare a stare insieme”.

L’apertura di Zelensky e la chiusura di Putin sono state le epigrafi in calce alla terza settimana dell’invasione, trascorsa tra notti di guerra e giornate giocate tra sanzioni e diplomazia, esodi e assistenza umanitaria, senza sviluppi decisivi su nessun fronte.

Fra le vittime del conflitto, già tre giornalisti: un cameramen Usa della Fox, Pierre Zakrzewski, e una giornalista ucraina, Alexandra Kuvshinova, sono stati uccisi martedì vicino a Kiev, mentre l’inviato della Fox con cui lavoravano, Benjamin Hall, è rimasto gravemente ferito – gli è stata amputata parte d’una gamba -; e domenica era stato colpito a morte Brent Renaud, 50 anni, videoreporter freelance pluripremiato, mentre documentava l’esodo dei civili da Irpin – feriti due suoi colleghi -.

La situazione di molte città ucraine, dove i generi di prima necessità scarseggiano, ricorda quella d’Aleppo in Siria nella guerra civile. Mercenari al soldo dei russi in arrivo proprio dalla Siria e volontari occidentali nelle fila ucraine sono pronti a entrare in azione. L’Ue è pronta ad accogliere 4/5 milioni di persone – ne sono già arrivate oltre due milioni e mezzo -.

In Russia, serpeggia la protesta contro l’invasione, che il regime continua a chiamare “operazione militare speciale”. Secondo fonti Usa, sono 15 mila le persone detenute in tutto il Paese perché si oppongono alla guerra. Ha fatto molto scalpore la vicenda della giornalista della tv di Stato russa Marina Ovsyannikova, fermata per avere mostrato, in diretta, un cartello contro l’invasione: tenuta in isolamento e interrogata per 14 ore, è poi stata condannata da un tribunale a una multa di 30 mila rubli (circa 255 euro) e rilasciata.

Sanzioni e ritorsioni: affondi e parate
La Russia ha deciso ritorsioni contro gli Stati Uniti e il Canada per le sanzioni da poco introdotte, economiche, finanziari e commerciali, oltre che istituzionali e personali: Washington e Ottawa, come Londra e poche altre capitali occidentali, hanno anche bloccato l’import di energia da Mosca, che però rappresenta una quota parte modesta – non superiore al 5% – del loro fabbisogno.

Il Cremlino ha apparentemente mirato in alto: ha colpito il presidente Biden e il segretario di Stato Antony Blinken, bloccandone l’ingresso nel Paese e congelandone i beni – è però improbabile che Biden e Blinken ne abbiano in Russia -; così pure il capo del Pentagono Lloyd Austin, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, l’ex ‘first lady’ e segretario di Stato Hillary Clinton; e ancora la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, e Hunter Biden, figlio del presidente Usa, che ha rapporti d’affari in Ucraina; e il premier canadese Justin Trudeau. Il ministero degli Esteri russo precisa che le sanzioni non impediscono contatti ad alto livello, se necessari.

La mossa di Mosca non ha distolto l’Ue dall’inasprire, a sua volta, le sanzioni anti-.russe, colpendo, con un quarto pacchetto di misure mirate, Roman Abramovich, il proprietario del Chelsea, messo ora in vendita, e altri oligarchi vicini a Putin o propagandisti del regime, come Konstantin Ernst (ceo di Channel One Russia), che diffondono la narrazione del Cremlino sull’invasione dell’Ucraina. Le sanzioni europee investono 877 persone e 62 entità. Tagliato pure l’export di beni di lusso, fra cui cavalli, vino, tartufi, barche, per un valore di 3,5 milioni di euro. Anche Londra ha inasprito le sue sanzioni.

Roma crocevia per un giorno della diplomazia ucraina
Lunedì, per un giorno, Roma è stata crocevia degli intrecci diplomatici nel conflitto russo-ucraino, perché sede dell’incontro maratona – otto ore – tra il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Sullivan e il responsabile Esteri del Partito comunista cinese Yang Jiechi. Alla fine, bocche cucite: né l’uno né l’altro parla con i giornalisti.

Martedì, Sullivan era ancora a Roma, dove ha incontrato il presidente del Consiglio Mario Draghi, oltre che il consigliere diplomatico del premier, ambasciatore Luigi Mattiolo.

Prima dell’incontro di Roma, la Cina aveva smentito una notizia filtrata dall’intelligence Usa, e data da Financial Times e altri media, secondo cui Mosca le ha chiesto aiuto militare; pure la Russia nega simile richiesta. E’ certo che la questione sia stata discussa da Sullivan e Yang: Washington vuole capire fin dove Pechino intenda dare sostegno Putin e se il presidente Xi possa e voglia impegnarsi in una mediazione. La posizione cinese, espressa dal Global Times, è chiara: “Non c’è cooperazione senza rispetto”.

Papa Francesco dice: “Le guerre regionali e specialmente la guerra in corso in Ucraina dimostrano che chi governa le sorti dei popoli non ha ancora recepito la lezione delle tragedie del XX secolo”.

 

gp
gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

ULTIMI ARTICOLI

usa 2020

coronavirus - elezioni - democrazia - ostaggio

Coronavirus: elezioni rinviate, democrazia in ostaggio

0
Elezioni rinviate, elezioni in forse, presidenti, premier, parlamenti prorogati: la pandemia tiene in ostaggio le nostre democrazie e, in qualche caso, le espone alla...