Sangue sulla neve in Ucraina, di militari russi e ucraini, di mamme e bambini falciati quando credevano di potere percorrere in sicurezza corridoi umanitari: eroismi e vigliaccherie, momenti della guerra, di questa guerra, di tutte le guerre. Dopo due settimane, l’invasione dell’Ucraina decisa dalla Russia non è ancora sfociata nell’occupazione dell’Ucraina, ma le truppe russe stanno prendendo il controllo della fascia Est e Sud del Paese aggredito: ne bloccano l’accesso al Mar Nero e creano una continuità fra le comunità russofone e russofile del Donbass e della Crimea passando per Odessa fino alla Transnistria in Moldavia,
La guerra scatenata dal presidente russo Vladimir Putin è anche divenuta una guerra dell’energia con l’Occidente. E incide sulla geo-politica delle alleanze e delle ostilità – lo vedremo in dettaglio -, mentre si fanno avanti potenziali mediatori, la Turchia, Israele, una riluttante Cina.
Cruento sui campi di battaglia e nelle città, con decine di migliaia di vittime, il conflitto s’inasprisce sul fronte delle sanzioni: martedì, il presidente Usa Joe Biden ha vietato l’import di petrolio, gas e carbone russi – in merito, c’è un’intesa bipartisan negli Stati Uniti – e ha detto stop agli investimenti nel settore energetico russo. Biden, però, riconosce che molti alleati, specie europei, non possono allinearsi su queste misure.
Sanzioni, ritorsioni e il nodo dell’energia
Anche il Regno Unito si impegna a ridurre a zero le forniture energetiche di gas e petrolio russi entro fine anno. Londra importa da Mosca quantitativi residuali rispetto al suo fabbisogno complessivo. Ben diverso il quadro europeo: la quota della Russia sul totale dell’import di petrolio degli Usa è inferiore al 5%, per l’Ue è del 27%. Anche per il gas l’Europa è ben più dipendente degli Usa dalla Russia.
Il controverso gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, colpito dalle sanzioni dopo l’attacco all’Ucraina, è “morto” e non può essere “resuscitato”, secondo l’Amministrazione statunitense: “E’ un grosso pezzo di metallo in fondo al mare”, dice la sottosegretaria agli Esteri Usa Victoria Nuland in un’audizione al Senato, andando oltre le decisioni tedesche.
Il segretario di Stato Usa Blinken dice che l’invasione dell’Ucraina costituisce “un’opportunità, non solo significativa, ma imperativa, per molti Paesi dell’Europa, di liberarsi dalla dipendenza dall’energia russa”, perché Mosca “usa l’energia come un’arma”. Il Vertice dell’Ue a Versailles, giovedì 10 e venerdì 11, indica come obiettivo dei 27 “l’eliminazione della dipendenza da petrolio, gas e carbone importati dalla Russia” – ma per il 2022 ci si accontenta di ridurla di un terzo -. E ormai sul tavolo dell’Ue c’è pure il ricorso agli eurobond per le spese energetiche.
Ma le sanzioni innescano ritorsioni, cui sta pensando Mosca: “E’ nostro diritto imporre l’embargo sul gas che transita nel gasdotto Nord Stream 1”, afferma il vice-premier russo Aleksandr Novak.
Il governo russo ha stilato una lista di “Paesi ostili”, che applicano sanzioni contro Mosca: c’è, ovviamente, anche l’Italia, insieme ai Paesi dell’Ue e a Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Svizzera, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud. I debiti dei creditori della lista nera saranno pagati in rubli.
L’Ucraina, dal canto suo, ha sospeso le esportazioni di alcuni prodotti alimentari a causa del rischio di carenza di cibo: carne, segale, avena, grano saraceno, zucchero, miglio e sale non si possono più vendere all’estero; grano, mais, pollame, uova e olio solo previa autorizzazione governativa.
Così, la benzina s’impenna in America, dove supera i quattro dollari al gallone, battendo i record che risalivano all’estate del 2008, cioè ai tempi – non è un caso – di un’altra guerra russa, quella con la Georgia. In Europa, in Italia, costa il doppio, va oltre i due euro al litro: questione di accise, certo, ma l’effetto su chi viaggia e chi trasporta è pesantissimo.
Il conflitto investe altri settori dell’economia, le banche, la finanza, il commercio. Marchi simbolo della penetrazione dell’Occidente nella società russa cessano di fare affari a Mosca e altrove, sotto la pressione dell’opinione pubblica: McDonald’s, Starbucks e la Coca-Cola, la Pepsi sospendono l’attività in tutta la Russia.
Per gli effetti delle sanzioni, l’agenzia di rating Fitch declassa il debito russo da B a C e sottolinea che c’è il rischio “di un imminente default”. Anche stamane, le sirene suonano a Kiev e la paura la sentiamo pure noi.
L’assistenza militare e il giallo dei Mig29 polacchi
L’Occidente fornisce all’Ucraina assistenza umanitaria e militare – armamenti ed equipaggiamenti -, oltre che colpire la Russia con sanzioni. Ma se l’Ue infrange un tabu, comprando con propri soldi armi per Kiev, la Nato traccia una linea rossa: nessun coinvolgimento diretto nel conflitto, perché ciò significherebbe entrare in guerra con Mosca e, di fatto, innescare la terza guerra mondiale; e, quindi, no alla ‘no fly zone’ chiesta dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
In questo contesto, c’è il giallo dei Mig polacchi: Varsavia vorrebbe ‘recapitare’ in basi aeree Usa in Germania i suoi Mig-29, vecchi caccia in dotazione all’Aeronautica polacca dai tempi del Patto di Varsavia – hanno il vantaggio che gli ucraini saprebbero pilotarli, ma hanno lo svantaggio d’essere tecnologicamente obsoleti -.
Ma gli Stati Uniti e la stragrande maggioranza degli altri Paesi Nato pensano che il disegno polacco non sia “attuabile”, come spiega il portavoce del Pentagono John Kirby: “La prospettiva di caccia che partono da una base Usa e Nato in Germania per volare nello spazio aereo conteso tra Russia e Ucraina solleva serie preoccupazioni per l’intera Alleanza”; “Continueremo a consultare la Polonia e gli altri nostri partner Nato su questa questione e sulle difficoltà logistiche che essa pone, ma non crediamo che la proposta polacca sia sostenibile”.
Del resto, la mossa polacca nasce della speranza che l’artificio della triangolazione esponga meno Varsavia al pericolo di divenire bersaglio di una qualche rappresaglia ravvicinata russa; o le offra almeno il paravento statunitense. Ed ecco tornare il refrain occidentale di questa crisi: tutti sono contro Putin, ma nessuno ha voglia di morire per Zelensky (e neppure di restare al freddo).
La ricerca di un mediatore e gli smacchi della Casa Bianca
Martedì, il presidente ucraino ha aperto uno spiraglio di negoziato con la Russia. Zelensky dice: “Sono pronto al dialogo, non alla capitolazione”.
La chiave di volta d’un accordo che ancora non s’intravvede, ma che si può immaginare, potrebbero essere la Crimea e le “pseudo repubbliche” separatiste del Donbass, Donetsk e Lugansk, auto-proclamate e filo-russe. “Possiamo discutere e trovare un compromesso su come questi territori continueranno a vivere”, spiega il presidente ex attore, tornando a parlare dal suo studio dopo giorni di discorsi dal bunker.
Il pressing degli occidentali sulla Cina, perché prenda le distanze da Mosca e tenti una mediazione, si intensifica. In videoconferenza col presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente cinese Xi Jinping sollecita “massima moderazione” in Ucraina, ma mostra anche comprensione per “le legittime preoccupazioni russe in materia di sicurezza”.
Nel suo primo colloquio con leader occidentali dall’inizio della crisi, Xi dice che la Cina “deplora profondamente” la guerra ed è favorevole al rispetto della “sovranità e integrità di tutti i Paesi”: “Tutti gli sforzi per una soluzione pacifica vanno sostenuti”, aggiunge, bocciando però le sanzioni “che hanno un impatto negativo” perché risultano “dannose per tutte le parti”. L’economia cinese, del resto, prospera in un contesto internazionale stabile.
Il ministro degli Esteri Wang Yi, parlando col segretario di Stato Usa Antony Blinken, non chiude la porta a un coinvolgimento nella trattativa: “Siamo pronti a mediare per riportare la pace”, ferma restando “l’amicizia solida” della Cina con la Russia.
Altri mediatori si fanno avanti e si danno da fare: il presidente turco Racep Tayyip Erdogan, che riesce a fare incontrare i ministri degli Esteri russo Serguiei Lavrov e ucraino Dmytro Kuleba ad Antalya; o il premier israeliano Naftali Bennett. Sul fronte europeo, sono molto attivi i leader francese e tedesco Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Ma l’impressione è che Putin non accetterà mai un accordo senza guarentigie statunitensi.
La guerra innesca dinamiche geo-politiche. Washington apre a Caracas, per accentuare l’isolamento di Mosca – il Venezuela non s’è allineata alla Russia all’Onu -. E, nel contempo, gli Stati Uniti subiscono smacchi in Medio Oriente: se Bennett si muove con il beneplacito americano, Joe Biden, che vuole costruire una coalizione per sostenere Kiev e calmierare i prezzi del petrolio, si vede respinte le telefonate da Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti.
Lo scrive il Wall Street Journal, secondo cui il principe saudita Mohammed bin Salman e lo sceicco degli Emirati Mohammed bin Zayed al Nahyan si rifiutano da giorni di parlare con Biden, irritati dal debole sostegno dato loro dagli Usa nella guerra in Yemen – un capitolo dello scontro fra sciiti e sunniti – e preoccupati dall’ accordo sui programmi nucleari iraniani, che dopo negoziati sottotraccia a Vienna sembra in dirittura finale. Bin Salman, che aveva ottimi rapporti con Donald Trump, e che Biden ha invece messo da parte, vorrebbe pure l’immunità legale negli Stati Uniti, dove ha pendente – fra altre – l’accusa d’essere il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi.