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Ucraina: segnali di svolta, Putin non spara un colpo, Biden non si fida

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/02/2022

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Alla vigilia del giorno in cui l’intelligence occidentale aveva pronosticato l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, l’Armata Rossa inizia a ritirare uomini e mezzi dalla linea delle manovre lungo le frontiere ucraine. E’ un segnale di potenziale de-escalation della crisi ucraina, che gli Usa e i loro alleati accolgono con cautela e diffidenza, perché esercitazioni su larga scala continuano e perché non è chiaro se l’apice della tensione sia stato superato.

Il Ministero della Difesa russo si esprime in modo formale: “Unità dei distretti militari meridionali e occidentali, che hanno completato i loro compiti, hanno già iniziato a caricare i mezzi di trasporto ferroviari e terrestri e oggi cominceranno a rientrare alle loro basi”, afferma il generale maggiore Igor Konashenkov, portavoce della Difesa. “Mentre le mamovre di addestramento al combattimento si avvicinano alla conclusione, le truppe, come sempre avviene, effettueranno marce combinate verso le proprie basi permanenti”.

Il Cremlino e la diplomazia russan ironizzano: il ritiro delle truppe russe “era pianificato” e “non è funzione dell’isteria occidentale”, dice il ministro degli Esteri Serguiei Lavrov, per cui le notizie sull’invasione di fonte occidentale sono “terrorismo mediatico”.

“Svergognati e annientati senza sparare un colpo” scrive su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova: “Il 15 febbraio ‘22 entrerà nella Storia come il giorno del fallimento della propaganda di guerra dell’Occidente”.

E il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov rivela che Putin “scherza” sugli allarmi su un’invasione dell’Ucraina: “Ci chiede di controllare se hanno pubblicato l’ora esatta d’inizio della guerra … Ci è impossibile capire la follia di questa informazione maniacale” americana.

I segnali dal terreno, ancora parziali, arrivano mentre la diplomazia continua a giocare le sue carte. Le più chiare le mette in tavola il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che a Mosca dice non si può negoziare sul diritto della Nato di fare aderire o meno l’Ucraina o un altro Paese terzo, dopo avere detto lunedì a Kiev che “l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza non è in agenda”.

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February 15, 2022, Moscow, Moscow Oblast, Russia: Russian President Vladimir Putin, left, during a face-to-face meeting with German Chancellor Olaf Scholz on the Ukrainian crisis at the Kremlin, February 15, 2022 in Moscow, Russia. (Credit Image: © Mikhail Klimentyev/Kremlin Pool/Planet Pix via ZUMA Press Wire)

Scholz trova al Cremlino lo stesso enorme tavolo cui s’era ‘accomodato’ il presidente francese Emmanuel Macron. In una lunga conferenza stampa, insieme a Putin, il cancelliere esprime preoccupazione per una presenza militare così massiccia alle frontiere russo-ucraine: “Dobbiamo trovare una soluzione pacifica, affrontando tutti i temi della sicurezza, e portare avanti un processo di dialogo nella reciprocità”. Scholz ammette che l’inizio del ritiro delle truppe è “un buon segnale” e dice che gli sforzi diplomatici “non sono ancora terminati”.

Putin, dal canto suo, assicura che la Russia non vuole la guerra. “La vogliamo o no? Certo che no. Questo è esattamente il motivo per cui abbiamo avanzato proposte per un processo negoziale”. Ma aggiunge: “Non accetteremo mai l’allargamento della Nato fino ai nostri confini, è una minaccia che noi percepiamo chiaramente”. Le risposte dell’Alleanza sulla sicurezza finora avute “non soddisfano le nostre richieste”, ma ci sono “ragionamenti” che possono essere portati avanti, purché i colloqui non si trascinino “troppo a lungo”.

La giornata è stata frenetica di contatti e telefonate, come l’ennesima fra il ministro russo Lavrov e il segretario di Stato Usa Antony Blinken. Macron parla con il presidente Usa Joe Biden, auspica che la Russia passi “dalle parole ai fatti”.

Ma la Duma russa ha lanciato un nuovo sasso nello stagno della Guerra Fredda, chiedendo a Putin di riconoscere come entità indipendenti le due repubbliche separatiste ucraine filo-russe di Lugansk e Donetsk. Putin non si sbilancia sul riconoscimento, ma dice che “quel che accade nel Donbass è un genocidio”.

Invece, a Kiev e in tutto l’Occidente le reazioni all’iniziativa della Duma sono molto negative. Josep Borrell, ‘ministro degli Esteri’ europeo, twitta che “l’Ue condanna fermamente” l’iniziativa della Duma: “Il riconoscimento sarebbe una chiara violazione degli accordi di Minsk”. Scholz lo giudica “una catastrofe”, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è sulla stessa linea.

Al lavorio per sventare la deflagrazione della crisi, partecipa l’Italia: una telefonata tra il premier Mario Draghi e il presidente ucraino Volodymyr Zelenski e la missione a Kiev del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Draghi ribadisce il fermo sostegno all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina; lui e Zelenski intendono rafforzare l’impegno comune per una soluzione sostenibile e durevole della crisi, mantenendo un canale di dialogo con Mosca; Zelenski apprezza “il sostegno dell’Italia all’Ucraina”. Di Maio conferma al collega ucraino Dmitry Kuleba che l’ambasciata d’Italia Kiev resta operativa e manifesta preoccupazioni per “eventuali azioni di destabilizzazione, anche con modalità ibride”.

Al festival della mediazione si iscrivono in extremis anche protagonisti improbabili. Il presidente brasiliano Messias Jair Bolsonaro sbarca a Mosca e incontra Putin, prima di andare a Budapest, dove incontrerà il premier ungherese Viktor Orban, altro sensale di pace poco credibile.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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