Il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell critica il comitato nazionale repubblicano che considera i facinorosi del 6 gennaio 2021 “cittadini impegnati in un legittimo dibattito politico” e censura i due deputati, Liz Cheney e Adam Kinzinker, che partecipano ai lavori della commissione d’inchiesta della Camera sulla sommossa.
Se la reprimenda contro gli anti-trumpiani doveva chiarire chi ha il coltello per il manico nel partito e quindi rafforzare il controllo dell’ex presidente sui gruppi parlamentari, l’effetto è stato l’opposto. Negli ultimi giorni, c’è stata una vera e propria deflagrazione fra i repubblicani; e c’è chi s’azzarda a porre la ‘questione Trump’.
Anche se tutto potrebbe ridursi a un fuoco di paglia. McConnell non è un cuor di leone: il 6 gennaio 2021, aveva preso le distanze dall’irruzione dei sostenitori del magnate nel Congresso; ma, al voto sull’impeachment, aveva fatto marcia indietro sulle responsabilità dell’ex presidente, ed era andato a Canossa, cioè a Mar-a-lago, per farsi perdonare. La sua linea è che bisogna guardare al futuro e non recriminare sul passato.
Il malessere nel partito non riguarda tanto la censura a Cheney e a Kinzinger quanto l’assoluzione dei manifestanti violenti. Qualche repubblicano acculturato scomoda il principe de Talleyrand, uno degli artefici della Restaurazione: “E’ stato peggio di un crimine, è stato un errore”, perché distoglie il dibattito politico da temi vantaggiosi ai repubblicani, come l’inflazione, a temi per loro scomodi, come le divisioni interne.
Le sacche repubblicane non trumpiane si stanno coagulando: i moderati alla Mitt Romney, i falchi alla Cheney, gli opportunisti alla Mike Pence, che prende le distanze dall’ex boss per posizionarsi, senza grosse speranze, nella corsa alla nomination 2024. Il New York Times parla “di un piccolo ma significativo coro di voci repubblicane discordi”, secondo cui quella del 6 gennaio 2021 fu “un’insurrezione violenta per prevenire il pacifico trasferimento dei poteri dopo una elezione legittimamente certificata”. La pensano così i senatori Susan Collins, John Cornyn, Richard Shelby; si muove persino Lindsey Graham, un sodale del magnate.
Sull’altro fronte, gli ‘yes man’ dell’ex presidente, allineati al leader dei repubblicani alla Camera Kevin McCarthy, che legittimano come protesta politica quanto avvenne quel giorno.
Trump percepisce il pericolo e interviene per ricordare chi comanda: “McConnell non parla a nome del partito e non rappresenta la maggioranza dei suoi elettori. Non ha fatto nulla contro le più fraudolente elezioni nella storia americana”.