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Ucraina: crisi continua, protagonisti irriducibili, mediatori ‘pelosi’

Scritto per La Ucraina: crisi continua, protagonisti irriducibili, mediatori interessatioce e il Tempo uscito lo 03/02/2022 in data 06/02/202e e, in versione diverse, per il Corriere di Saluzzo dello 03/02/2022 e per il blog di Media Duemila dello 03/02/2022 https://www.media2000.it/ucraina-la-crisi-si-trascina-ma-non-sattenua/

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Per l’Ucraina, il postino suona sempre due volte: una, una settimana fa, alla porta della Russia, c’è posta da Biden; e una, in questi giorni, a quella degli Usa, c’è posta da Putin. Ma chi riceve la missiva non l’accoglie con un sorriso: le notizie che porta non sono buone, non sono quelle attese. La Guerra Fredda tra il Cremlino e l’Occidente prosegue senza concessioni, ma, almeno finora, senza deflagrazioni: tutto si limita a scambi di messaggi, “Gravi conseguenze, se i russi invadono l’Ucraina”, avverte Biden; “Non mettete a rischio la nostra sicurezza”, intima Putin.

Trascinandosi di settimana in settimana, lo spettro dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, evocato a più riprese dall’Amministrazione Biden, per via di quei 130 mila militari russi schierati lungo i confini fra i due Paesi, sembra stemperarsi, se non attenuarsi. In questa e – ci scommettiamo – nella prossima settimana, non accadrà nulla: Washington e Mosca continueranno a parlarsi, magari a denti stretti, mentre la Cina celebra i riti ipocriti della tregua olimpica. All’inaugurazione dei Giochi, ci sarà Vladimir Putin, in pegno d’amicizia con Xi Jinping, mentre i leader occidentali disertano l’evento: boicottaggio diplomatico per lo scarso rispetto dei diritti umani da parte cinese.

Dietro il paravento dei Giochi, si muove la geo-politica dei mediatori, in un intreccio d’incontri virtuali e di persona: chi s’affanna a mediare ha un proprio tornaconto, Xi dà lezioni di equilibrio e fa apparire gli altri guerrafonda; Erdogan sta sull’asse del doppio gioco; Johnson vuole fare dimenticare ai britannici le festicciole in pieno lockdown anti-virus; Macron fa campagna elettorale da leader europeo – la Francia ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue – e Scholz vuole tenere al caldo i tedeschi e difende il gasdotto che garantisce approvvigionamenti energetici.

Quanto ai protagonisti del confronto, Putin provoca e fa salire la tensione a ogni sortita; Biden ingigantisce la minaccia così da apparire poi il salvatore della pace, sperando di recuperare un po’ della credibilità perduta sul fronte internazionale con la rotta afghana; e il presidente ucraino Volodymyr Zelenski ha paura e gioca a ridimensionare rischi e provocazioni.


L’intreccio dei contatti diplomatici
Tutti si parlano al telefono con tutti, specie Biden con gli alleati e Putin con gli europei, martedì anche con il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi – Usa e Russia affidano il dialogo, invece, ai ministri degli Esteri – ; e molti si recano in visita a Kiev, per portare solidarietà e avere visibilità. Ufficialmente, la frenetica attività diplomatica mira a stemperare la tensione, innescare una de-escalation e stabilizzare la situazione.

Martedì, il presidente russo Vladimir Putin ha gettato un sasso nello stagno, dicendo che Usa e Nato hanno ignorato le preoccupazioni di sicurezza della Russia, nel testo consegnato a Mosca il 24/01 – e cui Mosca ha risposto lunedì -. Ma nessuno poteva aspettarsi che Stati Uniti e Alleanza atlantica dessero al Cremlino una sorta di diritto di veto sulle adesioni prossime venture, o che l’America ritirasse le sue truppe dai Paesi Nato dell’ex blocco sovietico, anche se nessuno ha seriamente intenzione di fare entrate l’Ucraina nell’Alleanza o di sostenere una guerra per Kiev, in caso d’aggressione russa – al massimo, una guerra di sanzioni -.

Era la prima volta che Putin toccava la questione ucraina in pubblico dal dicembre 2021. Il leader del Cremlino ha parlato coi giornalisti dopo aver incontrato – per quattro ore!- il premier ungherese Viktor Orban, forse l’esponente europeo e atlantico a lui più vicino. Secondo il presidente russo, l’Occidente cerca di indurlo a un conflitto con l’Ucraina per poi annientare la Russia con un’ondata di ulteriori sanzioni, mentre lui vuole proseguire il dialogo, nonostante i militari russi schierati lungo le frontiere ucraine siano ormai “sufficienti – a detta del Pentagono – a invadere tutta l’Ucraina, non solo a compiere operazioni limitate in territorio ucraino”.

Politico.eu scrive che le conseguenze di una ‘guerra delle sanzioni’ potrebbero essere “un aumento dei prezzi dei generi alimentari in tutto il Mondo”. Le ritorsioni russe potrebbero tradursi in tagli alle forniture energetiche a Paesi Ue, e creare situazioni di disagio “ben lontano dalla prima linea”. Su AffarInternazionali.it, l’ambasciatore Stefano Stefanini, già ‘numero due’ dell’Alleanza atlantica, nota che “l’Ucraina naviga nell’occhio del ciclone: una breve quiete prima di tornare in balia dell’uragano. Da tre settimane circa la crisi russo-ucraina è ferma. Non c’è una scadenza”. E l’analista Nona Mikhelidze sostiene, in un podcast dell’Istituto Affari Internazionali, che “l’iniziativa è in mano a Putin, che ha diverse alternative: l’invasione dell’Ucraina non è senza dubbio la più conveniente e neppure la più probabile”.

Il fattore energia
Il fattore energia condiziona la posizione europea, al di là degli isterismi anti-russi di baltici e polacchi – e dei ‘giri di valzer’ ungheresi -. Nella telefonata a Draghi, che la piaggeria mediatica italiana presenta come un fattore di svolta – il che non è -, Putin ha ovviamente garantito che Mosca “continuerà a inviare forniture di gas stabili all’Italia”, se la crisi non precipita

La dipendenza europea dal gas russo è significativa: il gas che l’Unione consuma è per un terzo russo e la situazione non è migliorata otto anni dopo la crisi ucraina del 2014, con il rovesciamento del presidente filo-russo democraticamente eletto Viktor Yanucovich, che innescò l’annessione tramite referendum della Crimea alla Russia e il conflitto nel Donbass.

Aumenti del prezzo dell’energia e stanchezze post-pandemia aumentano preoccupazioni e febbrilità e costituiscono – scrive Politico.eu – “una tempesta perfetta”: Washington s’impegna a rimpiazzare come fornitore degli alleati la Russia e la Commissione di Bruxelles cerca alternative. Ma entrambe le strade non appaiono percorribili nel breve termine.

Lo scontro all’Onu
Lunedì 31, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato teatro di un violento scontro tra Usa e Russia: l’ambasciatore russo Vasily Nebenzya ha accusato gli Stati Uniti di “vampate d’isteria”, evocando l’invasione dell’Iraq 2003 avvenuta sulla base di asserzioni false (cioè che Baghdad aveva le armi di distruzione di massa); l’ambasciatore Usa Linda Thomas-Greenfield ha invece accusato la Russia di “dipingere l’Ucraina e l’Occidente come aggressori” e di volere “creare un pretesto per attaccare”.

Mosca aveva cercato di bloccare il dibattito, ottenendo solo l’appoggio della Cina. In coincidenza con il confronto all’Onu, un gruppo navale russo attraversava il canale di Sicilia per svolgere esercitazioni navali programmate e annunciate nel Mediterraneo, suscitando qualche apprensione nonostante le assicurazioni dello Stato Maggiore della Difesa italiana che “la formazione russa transita in acque internazionali e non viola la sovranità degli Stati rivieraschi”.

Il clima da Guerra Fredda, alimentato dai media, è estremamente contagioso, anche se è vero che prepararsi a contrare una minaccia – e farlo sapere – può servire a stornarla, secondo la logica del detto latino “Si vis pacem, para bellum”.

Xi ed Erdogan, i mediatori ‘pelosi’
Fra i tanti mediatori nella crisi ucraina, Cina e Turchia sono sulla carta fra i più improbabili, ma sono in pratica fra i più attivi. Teoricamente, hanno il vizio d’origine di essere di parte: Pechino è più vicina a Mosca che all’Occidente e Ankara è dentro la Nato; ma pragmatismo cinese e disinvoltura turca consentono di superare l’ostacolo. Fra gli europei, Francia e Germania, invece, cercano di riprendere le fila della mediazione di Minsk fra Russia e Ucraina, che nel 2015 condusse ai disattesi Accordi.

I presidenti cinese Xi Jinping e turco Recep Tayyip Erdogan vedono un tornaconto nell’offrirsi come arbitri. Xi, che si muove con maggiore discrezione, può saggiare la fermezza degli Stati Uniti e dei loro alleati e l’effettivo decisionismo di Biden, in funzione della questione Taiwan, oltre che dei futuri negoziati commerciali. Erdogan, con la consueta spregiudicatezza, fa senza imbarazzi il doppio gioco: sta nella Nato e vende droni a Kiev, irritando Mosca e traendo profitto dal rispetto delle direttive atlantiche, ma compra sistemi antiaerei russi, ignorando le riserve di Washington; ed ha già esperienza di balletti con Putin – ora contro, ora a braccetto – in Siria e in Libia.

Per alcuni, la tregua negoziale in atto, al di là della virulenza delle parole, è funzionale agli interessi contingenti russi e cinesi. E’ un fatto che la Cina spalleggia la Russia, di cui definisce “ragionevoli” le preoccupazioni di sicurezza – il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ne ha parlato col segretario di Stato Antony Blinken -. Pechino sale in cattedra: invita “tutte le parti” a spogliarsi della mentalità da Guerra Fredda e a negoziare un meccanismo di sicurezza europeo “equilibrato, efficace e sostenibile”; e ritiene che “per risolvere” la crisi ucraina sia necessario “tornare ancora agli accordi di Minsk” del 2015, approvati dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

A Blinken, Wang ha dettop che la sicurezza d’un Paese “non può andare a scapito di quella di altri” e che “non si può garantire la sicurezza regionale rafforzando o espandendo blocchi militari”. Pechino chiede a Biden e a Putin “di mantenere la calma e di astenersi dallo stimolare la tensione”.

Fronte turco, Putin ha accettato l’invito di Erdogan a recarsi ad Ankara, anche se la visita avverrà “quando glielo permetteranno gli impegni e la situazione della pandemia” e comunque dopo l’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino. Erdogan ha in agenda di recarsi prima in Ucraina e di incontrare Zelensky.

Il capo di Stato turco, in un’intervista televisiva, ha affermato che “la Turchia vuole che le tensioni tra Russia e Ucraina si risolvano prima che di trasformarsi in una crisi”. Erdogan cura i rapporti sia con Zelensky che con Putin sebbene la Russia non gradisca la vendita all’Ucraina di droni turchi utilizzati nella regione del Donbass; e nel contempo resta pienamente “atlantico”, assicurando “il rispetto degli impegni come alleato Nato”.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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