HomeUsaKennedy: Sirhan assassino per sempre, famiglia Bob lo tiene in carcere

Kennedy: Sirhan assassino per sempre, famiglia Bob lo tiene in carcere

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L’astio dei Kennedy tiene in carcere, dopo oltre 53 anni e mezzo, il giordano di origini palestinesi che il 5 giugno 1968, nelle cucine di un hotel di Los Angeles, uccise a colpi di pistola Robert Bob Kennedy. Sirhan Sirhan, l’assassino di quello che sarebbe forse diventato, di lì a cinque mesi, presidente degli Stati Uniti, resta in prigione, nonostante il California Parole Board ne raccomandi la libertà vigilata e tre dei nove figli di Robert viventi, Robert jr, Kathleen e Douglas, abbiano dato parere favorevole. Il resto della famiglia, con la vedova Ethel in testa, resta contraria.

Così, il governatore democratico della California, Gavin Newsom, un ‘liberal’ e un ‘kennedyano’, cui spettava l’ultima parola, ha negato la concessione della libertà vigilata. Newsom si dichiara grande ammiratore di Bob Kennedy, il suo “eroe politico”. “Dopo decenni di reclusione – ha scritto motivando la sua decisione, presa sentiti i Kennedy -, Sirhan … non ha il discernimento che gli eviti di compiere azioni pericolose come quelle compiute nel passato”.

I Kennedy continuano a esercitare una forte influenza sul partito democratico, anche se non hanno oggi figure di punta in politica. Il presidente Joe Biden ha scelto Caroline Kennedy, 64 anni, figlia del presidente John Fitzgerald, come ambasciatrice in Australia. Caroline era già stata ambasciatrice in Giappone per conto del presidente Barack Obama.

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January 13, 2022, San Diego, California, USA: California Gov. Newsom blocked the parole recommendation for Sirhan Sirhan, who killed Robert F. Kennedy in 1968. FILE PICTURE: August 2021, San Diego, California, USA: SIRHAN SIRHAN is seen arriving for a parole hearing in August 2021 in San Diego. (Credit Image: © California Department of Corrections and Rehabilitation/ZUMA Press Wire Service)

Sirhan, 77 anni, venne arrestato subito dopo avere compiuto il suo crimine. Bob Kennedy, fratello di JFK e suo ministro della Giustizia, l’uomo che promosse la desegregazione razziale nel Sud dell’Unione, fu ucciso nella cucina dell’Hotel Ambassador dov’era sceso a salutare personale e inservienti dopo un evento elettorale.

Inizialmente condannato alla pena di morte, l’assassino si vide tramutare la sentenza in ergastolo nel 1972, dopo che la Corte Suprema della California dichiarò incostituzionale la pena capitale.

Nell’agosto scorso, per la prima volta, alla sedicesima richiesta, l’apposita commissione statale aveva detto che Shiran non è più una minaccia per la società e può ottenere la libertà vigilata. Ma Ethel e sei suoi figli sono contrari alla liberazione dell’assassino, su cui il governatore aveva l’ultima parola.

Nel 1968, in piena guerra del Vietnam, con le città Usa messe a ferro e fuoco da sommosse razziali dopo l’assassinio il 4 aprile a Memphis di Martin Luther King, la campagna di Bob Kennedy rappresentava la speranza che un Paese profondamente lacerato potesse ritrovare coesione. Bob aveva appena vinto le primarie californiane e stava per conquistare la nomination democratica, dopo la rinuncia a ripresentarsi del presidente Lyndon B. Johnson.

Rifugiato palestinese e mai naturalizzato cittadino americano, il 5 giugno l’aspirante fantino Sirhan cambiò, forse, il corso della storia. Voleva davvero, come disse al processo, punire Kennedy che aveva sostenuto Israele nella guerra dei Sei Giorni, di cui quel giorno cadeva il primo anniversario? O il suo fu solo il gesto di un ubriaco – Sirhan aveva in corpo quattro cocktail Ted Collins – da poco entrato nella setta mistica dei Rosacroce? Le otto pallottole sparate nelle cucine dell’hotel ferirono altre cinque persone.

RFK, idealista, ma pragmatico, era il candidato democratico in pectore nella sfida a Richard Nixon. Con la sua morte, i democratici si divisero: alla Convention di Chicago, Hubert Humphrey, grigio e istituzionale, prevalse sul radicale Eugene McCarthy; e, a novembre, Nixon vinse facile.

A favore della scarcerazione, poi avallata dal nulla osta dello staff della Commissione statale, s’erano schierati personaggi eccellenti, talora anche sostenendo teorie complottiste che negli Usa  vanno sempre forte: il sindacalista Paul Schrade, che fu uno dei cinque feriti, ha scritto al Board, convinto che quel giorno fatale, nelle cucine dell’Ambassador, ci fosse un secondo sparatore mai identificato. Teoria sposata da uno dei figli di Bob, Robert Junior, che nel 1968 aveva 14 anni: avvocato ambientalista e esponente no vax, nel 2018 ha incontrato Sirhan in carcere a San Diego e ne è uscito convinto che non sia stato lui a uccidere suo padre.

“Mio padre è stato ministro della Giustizia. Non avrebbe mai voluto un innocente in carcere”, disse allora al Washington Post, trovando una sponda nella sorella Kathleen Kennedy Townsend: “La sua è un’ipotesi forte. Penso che bisognerebbe riaprire il caso”. Ma, invece che riaprire il caso, il resto della famiglia tiene chiuse le porte del carcere per l’assassino di Bob.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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