Non è l’Ucraina, ma il Mar Nero la posta in palio nel braccio di ferro tra Occidente e Russia, in atto in questi giorni su tutti i tavoli della diplomazia Est-Ovest. Mosca vuole che nessuno dei tre Paesi del cosiddetto Trio Associato, Ucraina, Moldavia e Georgia entri nella Nato e pretende un impegno in tal senso dall’Alleanza atlantica. Ucraina, Moldavia e Georgia non fanno parte dell’alleanza militare post-sovietica intervenuta, la scorsa settimana, nella crisi kazaka.
“Se i Paesi del Mar Nero membri della Nato – Turchia, Bulgaria e Romania, ndr – più Ucraina, Moldavia e Georgia non fanno squadra, la Russia trasformerà il Mar Nero nel suo lago interno, dominando completamente la zona” aveva detto il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, citato da Euractiv dopo un incontro a Batumi tra i leader del Trio Associato, nel luglio scorso.
Di recente, i ministri degli Esteri dei tre Paesi sono stati a Bruxelles, alla Nato, acuendo gli allarmi di Mosca, anche se, stando alla lettera del Trattato dell’Atlantico del Nord, nessuno di essi può entrare nella Nato, perché ciascuno è segnato da conflitti interni – il Donbass, la Transdniestria, l’Abkhazia e l’Ossezia -. La Russia ne teme l’adesione all’Alleanza perché esporrebbe ampie fette del suo territorio a missili a medio raggio installati entro i loro confini.
L’attenzione di Mosca per il Mar Nero è confermata dall’interesse per il Mare d’Azov, un fazzoletto d’acqua tra la Crimea, il Donbass e la Russia. Per accedervi, c’è una sola via: lo Stretto di Kerch, che separa la Crimea dalla penisola di Taman, russa. Dopo l’annessione della Crimea, lo stretto è virtualmente divenuto tutto russo. Il controllo del Cremlino su quelle acque è divenuto totale ed effettivo con la costruzione del Ponte di Kerch, inaugurato nel 2018, presente Vladimir Putin.
Questa settimana, c’è stata una maratona negoziale tra Occidente e Russia: i bilaterali Usa – Russia il 10 e l’11 a Ginevra; il Consiglio Nato – Russia il 12 a Bruxelles (non si riuniva da tre anni); e ieri il consulto dell’Osce a Vienna. Non ne sono scaturiti progressi: il cancelliere tedesco Olaf Scholz dice che “è compito comune favorire la de-escalation”, ma tutti sembrano invece contribuire all’escalation della tensione.
Nella nuova Guerra Fredda, la Russia di Putin porta nostalgie e reminiscenze di Unione sovietica. E il ministro degli esteri francese Yves Le Drian avverte: “Non è accettabile una nuova Yalta”, cioè una divisione del Mondo in zone d’influenza all’interno delle quali ciascuno fa come vuole.
A Washington, il Senato prepara nuove sanzioni anti-Russia per l’ammassarsi di truppe ai confini con l’Ucraina, che, se includessero misure contro Putin, Mosca giudica paragonabili a una rottura delle relazioni. A Bruxelles, l’Ue rinnova per sei mesi le sanzioni contro la Russia prese nel 2014, dopo l’annessione della Crimea e il conflitto nel Donbass. A Brest, i ministri degli Esteri dei 27 pensano a eventuali inasprimenti. A Vienna, dove si tiene il Consiglio dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, il ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau giudica che “il rischio di guerra nell’area Osce è oggi maggiore che mai negli ultimi trent’anni”.
A tutti replica da Mosca il vice-ministro della Difesa russo Aleksandr Fomin: “Le relazioni Russia – Nato sono a un livello criticamente basso”. Più duro il vice-ministro degli Esteri Serguiei Ryabkov, un falco in ascesa al Cremlino (c’è chi lo vede in corsa per sostituire il veterano Serguiei Lavrov): “Non c’è alcun motivo per proseguire i colloqui di sicurezza con l’Occidente”, perché “abbiamo ripetutamente offerto all’Alleanza di adottare misure di riduzione dell’escalation”, ma esse “sono state ignorate”. Il che “crea i prerequisiti per l’emergere di incidenti e conflitti e mina i fondamenti della sicurezza”.
Che “differenze significative e non facili da superare” siano emerse tra Nato e Russia nel Consiglio di mercoledì a Bruxelles l’aveva riconosciuto, a caldo, il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg, che pure spronava a “continuare il dialogo”.
Il vice-segretario di Stato Usa Wendy Sherman aveva ribadito che “ogni Paese ha il diritto sovrano di scegliere la propria strada”. Di fatto, sottolinea Stoltenberg, la Nato rigetta la richiesta di Mosca di “garanzie legali” per frenare l’allargamento dell’Alleanza a possibili nuovi membri: “Non siamo disposti a compromessi sui principi chiave, come il diritto dei Paesi a scegliere la propria strada ed il diritto dei membri dell’Alleanza alla difesa reciproca”.
La Nato resta aperta al dialogo su controllo degli armamenti, limitazioni dei missili, cyber-security. Ed è disposta a riaprire le rispettive missioni, a Bruxelles e a Mosca, “senza precondizioni”. Vuol dire che il dialogo è possibile là dove i principi base dell’Alleanza non siano in discussione.
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Estratti dal pezzo di In Terris
Mosca lamenta che i colloqui sulle garanzie di sicurezza chieste agli Usa e alla Nato siano scanditi “da dichiarazioni vivaci e aggressive da parte di Washington”: “Non ne capiamo il motivo”, osserva il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ma è un fatto l’ammassamento di truppe e mezzi militari russi ai confini con l’Ucraina.
A Brest, l’alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell, afferma: “La Russia sta minacciando l’Ucraina e sta ponendo sul tavolo la questione della struttura della sicurezza europea. Di fronte alle minacce della Russia l’Ue deve essere ferma, unita e, soprattutto, deve agire”. Due cose che, in genere, all’Ue risultano difficile, specie in politica estera.
“L’allargamento della Nato non è e non è mai stato un processo aggressivo, è una strategia chiave per far avanzare la democrazia”, dice Stoltenberg. Bisogna, però, tenere distinta “la questione di principio”, il diritto di Kiev di chiedere di entrare nella Nato, e la “questione pratica”, se poi vi entrerà o meno. “Non è l’Ucraina che minaccia la Russia, ma il contrario … Ma l’Ucraina non è un membro Nato e dunque non è coperta dall’articolo 5”.