Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. E a guardare con chi va il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev, anzi chi lo affianca sulla via della sanguinosa repressione delle proteste popolari della scorsa settimana, resterebbero pochi dubbi: il presidente russo Vladimir Putin gli manda truppe, come i suoi predecessori sovietici fecero coi ‘popoli fratelli’ ungherese e cecoslovacco; il cinese Xi Jinping appoggia “le misure anti-terrorismo” adottate; il premier ungherese Viktor Orban, fautore della ‘democrazia illiberale’, gli assicura solidarietà, malgrado le preoccupazioni espresse da Ue e Nato, organizzazioni di cui il suo Paese fa parte.
Ma le cose sono meno nette di quanto possa apparire di primo acchito. Tokayev è, certo, un cattivo di turno, con quel bilancio di quasi 200 vittime e 10.000 arresti, ma potrebbe non essere il peggiore del lotto: pare intento a fare fuori la cricca di potere dell’ex leader e suo predecessore per trent’anni Nursultan Nazarbayev, che lo designò ‘delfino’.
E, in effetti, non è per nulla chiaro che cosa sia successo nelle ultime due settimane in Kazakistan, la maggiore delle ex Repubbliche sovietiche dopo la Russia, grande quasi nove volte l’Italia e con meno di 19 milioni di abitanti. Manifestazioni inizialmente pacifiche contro l’aumento dei prezzi dei prodotti energetici si sono improvvisamente trasformate in attacchi ben organizzati contro palazzi del potere ad Almaty, la città più popolosa e la ex capitale.
Non si esclude che, alle proteste di giovani e lavoratori stanchi di un sistema autocratico e corrotto, si siano intrecciate o sovrapposte frange mosse da motivazioni ben diverse: l’estremismo islamico o pezzi di Stato votati a eliminare quel che resta del potere di Nazarbayev o oligarchi dissidenti che vivono esili dorati dopo avere accumulato fortune in modi dubbi. Tipo Mukhtar Ablyazov, che, rifugiato a Parigi, si proclama leader dell’opposizione e delle proteste. La moglie di Ablyazov è quella Alma Shalabayeva, nel 2013 fu frettolosamente espulsa dall’Italia con la figlia Alua – allora sei anni – e costretta a rientrare in Kazakistan.
Con la crisi ucraina, la situazione in Kazakistan è divenuto uno dei temi della partita a scacchi diplomatica in corso tra Usa e Russia, giocata sul filo del rasoio di mosse e contromosse pescate nell’arsenale della Guerra Fredda fatto di diplomazia, movimenti di truppe, minacce di ritorsioni, come scrive sull’ANSA Stefano Polli.
Dopo che i presidenti Biden e Putin si sono parlati per la seconda volta in meno d’un mese, questa è una settimana di fuoco per la diplomazia internazionale, alle cui fibrillazioni torna a contribuire pure la Corea del Nord, con i ‘fuochi d’artificio’ missilistici di un elusivo Kim Jong-un: ci sono bilaterali a Ginevra, il Vertice Nato-Russia a Bruxelles e poi la riunione dell’Osce a Vienna.
Alla situazione in Kazakistan, ha pure fatto cenno domenica all’Angelus Papa Francesco, chiedendo che “si ritrovi al più presto l’armonia sociale, ricercando il dialogo, la giustizia e il bene comune”: “Affido il popolo kazako alla protezione della Madonna Regina della Pace di Oziornoje”, santuario a Nord di Nur-Sultan, la capitale.
Un nuovo premier e nuovi equilibri del potere interno
Martedì 11, dopo una decina di giorni di fibrillazioni, incidenti, repressione, il presidente Tokayev ha nominato premier Alikhan Smailov, che aveva assunto l’incarico ad interim il 5 gennaio, subito dopo il siluramento dell’esecutivo guidato da Askar Mamin, figura legata a doppio filo all’ex presidente Nazarbayev – Smailov ne era il vice -.
Contestualmente, Tokayev ha dichiarato che le truppe della Csto – l’alleanza militare fra ex Paesi dell’Unione sovietica – hanno “completato con successo” la loro “missione principale” e s’apprestano a cominciare a ripartire: i soldati inviati dalla Russia e da altri Paesi, in tutto oltre 2.000 uomini, effettueranno un “ritiro graduale”. che durerà “non più di dieci giorni”.
Il presidente ha quindi lanciato una critica a Nazarbayev, accusando di fatto il suo predecessore ed ex mentore, oggi 81 anni, di avere favorito la creazione – scrive da Mosca Giuseppe Agliastro – “d’una classe di persone ricche anche per gli standard internazionali”, una ‘cricca di potere’ attenta più ai propri interessi che a quelli della popolazione.
“Credo che sia giunto il momento di rendere il dovuto al popolo del Kazakistan e aiutarlo in modo sistematico e regolare”, ha affermato Tokayev. Il governo dovrà creare un elenco di società e oligarchi che trasferiranno annualmente capitali a un fondo sociale. Il presidente non ha fatto nomi, ma si sa che tra i cittadini kazaki più facoltosi ve ne sono diversi legati a Nazarbayev, come la figlia di questi, Dinara, che con il marito Timur Kulibayev controlla la banca commerciale Halyk.
Mosse che confermano che in Kazakhstan è in atto uno scontro tra gruppi di potere: se per la gente, a conti fatti, cambierà qualcosa, resta da vedere. Nazarbayev, che ha governato per trent’anni soffocando ogni forma di dissenso e diffondendo il culto della propria personalità la nuova capitale Astana è stata rinominata in suo onore Nur-Sultan – , ha continuato ad avere un’enorme influenza anche dopo avere lasciato il titolo di presidente nel 2019. Oltre a riservarsi il titolo di Elbasy, cioè leader della nazione, ha infatti mantenuto nelle sue mani le redini del partito Nur Otan, che controlla il Parlamento, e s’era fatto affidare a vita l’incarico di capo del Consiglio di Sicurezza kazako.
La scorsa settimana, Tokayev lo ha però rimosso da quel ruolo, riservandolo a se stesso, e poi ha pure fatto arrestare il capo dell’intelligence, Karim Masimov, un ex premier di Nazarbayev. Tutto ciò al culmine delle proteste e delle violenze, per reprimere le quali il presidente aveva autorizzato le forze della sicurezza a “sparare per uccidere senza avvertimento” e aveva chiesto alla Russia e agli alleati della Csto di inviare propri soldati.
La crisi ha apparentemente consolidato i rapporti tra Tokayev e Putin, di cui Nazarbayev era sempre stato un buon interlocutore: Tokayev parla di tentativo di “colpo di Stato” e di “attacco terroristico”; Putin dice che il Kazakistan è stato bersaglio del “terrorismo internazionale”, ma né l’uno né l’altro forniscono prove a sostegno delle loro dichiarazioni.
Non è neanche chiaro quante persone abbiano perso la vita o siano state arrestate nei disordini, perché le stesse fonti ufficiali si contraddicono sulle cifre: s’è parlato di almeno 164 vittime, oltre cento delle quali ad Almaty, e di quasi 10 mila arresti.
L’ordine regna ad Almaty, città spettrale
Di fatto, dallo scorso fine settimana la calma regna ad Almaty, la città più popolosa del Paese e l’ex capitale. Ma un’operazione anti-terrorismo tuttora in atto mira “a ristabilire l’ordine nel Paese”, avverte il ministro dell’Interno Erlan Tourgoumbaiev, nonostante la situazione sia ufficialmente “stabilizzata ovunque”. Ancora domenica, giornalisti di media occidentali presenti ad Almaty riferivano di colpi di arma da fuoco sparati in aria da agenti che presidiavano la piazza centrale e la mantenevano deserta.
Il governo calcola che i danni economici causati da proteste e violenze ammontano a 175 milioni d’euro, con oltre 100 filiali di banche saccheggiate e 400 veicoli distrutti. Domenica, i supermercati avevano riaperto, consentendo alla popolazione di fare la spesa dopo giorni di emergenza. Lunedì, sull’aeroporto di Almaty è stato ripristinato il traffico civile. Martedì, c’è stata una giornata di lutto per le vittime degli scontri.
Quanto a Nazarbayev, che le prime notizie davano rifugiatosi con la famiglia nel Golfo, è invece rimasto nel Paese: appoggia la repressione del governo e chiede alla popolazione di sostenerla. Secondo il suo portavoce Aidos Ukibay, l’ex leader è in “contatto diretto” col presidente Tukayev. Forse, Nazarbayev, considerata la mala parata, s’è rassegnato ad allinearsi dietro il suo successore, nell’intento di contribuire “a superare la crisi e a preservare l’unità del Paese”.
Con il passare del tempo e l’evolvere della situazione, gli elementi che inducono a pensare che giochi di potere interni si siano innescati su una magari inizialmente spontanea e legittima protesta sono andati rafforzandosi. Un segnale in tal senso è venuto da Moscow Times, che titolava così un’analisi della situazione: “Conflitti nell’élite”.
I riflessi internazionali della crisi kazaka
Questo spiega, se non giustifica, la discrezione dell’Occidente: Stati Uniti e Unione europea si sono schierati contro la repressione indiscriminata, ma non si sono esposti nei giochi di potere interni all’élite kazaka. C’è stata una telefonata del ‘ministro degli Esteri’ Ue Josep Borrell al ministro degli Esteri kazako, Mukhtar Tileuberdi: “Sosteniamo la riduzione dell’escalation e la stabilità, è importante garantire diritti e sicurezza della popolazione civile”.
La Farnesina, attenta a non compromettere gli interessi commerciali ed energetici italiani nel Paese, sconsiglia “i viaggi non essenziali” in Kazakistan: “l’Italia – afferma una nota – continua a seguire con preoccupazione gli eventi” e “rinnova l’appello perché cessi l’uso della forza”. L’Ambasciata d’Italia a Nur-Sultan è operativa ed “è in contatto con i cittadini italiani e le aziende italiane presenti nel Paese per fornire loro ogni possibile assistenza”.
Se Tokayev sembra cogliere l’occasione delle proteste per smarcarsi dal suo predecessore, una cui statua è stata abbattuta, all’avvio della rivolta, dai manifestanti ad Almaty, Putin vi vede un riflesso dell’Urss che fu.
Per analisti occidentali, la Russia sta cogliendo al balzo la vicenda kazaka per “mostrare i muscoli” come potenza in grado di proteggere i suoi alleati nella sua regione geo-politica: è quanto sostiene Andrew Higgins sul New York Times. Mentre il Financial Times, in un articolo a più mani, ipotizza che Mosca stia consolidando la propria posizione, sui fronti ucraino e kazako, in vista dei negoziati con gli Usa.
Si può leggere in tal senso la polemica del Ministero degli Esteri russo con il segretario di Stato Usa Antony Blinken, che avrebbe “tentato di fare lo spiritoso sui tragici fatti” kazaki e avrebbe schernito “la legittima risposta” militare data dai Paesi ex Urss fra di loro alleati.
Blinken aveva detto che “una lezione della storia è che una volta che i russi sono a casa tua, è molto difficile convincerli ad andarsene”. Il Ministero degli Esteri russo gli ha così fatto il verso: “Quando gli americani sono a casa tua, è difficile rimanere vivi, non essere derubati o stuprati”, citando come esempi, tra gli altri, nativi americani, coreani, vietnamiti e siriani.