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Accadde Domani: 2022 il Mondo che sarà, tra conflitti e pandemia

Scritto per La Voce e il Tempo uscito lo 06/01/2022 in data 09/01/2022 e, in versione diversa, per il Corriere di Saluzzo dello 06/01/2022, riprendendo servizi già pubblicati su AffarInternazionali https://www.affarinternazionali.it/accadde-domani-un-2022-di-elezioni-fra-ansie-e-tensioni/ e sul blog de Il Fatto Quotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/01/il-2021-non-ha-risolto-le-grane-del-mondo-tranquilli-ci-pensera-il-2022/6441448/

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C’erano una cinquantina di conflitti regionali o locali, sulla carta del Mondo, all’inizio del 2022, senza contare i conflitti globali, la pandemia, le carestie, la povertà, le migrazioni, il clima, e quelli di cui neppure ci rendiamo conto, endemici come sono, gli egoismi nazionali e/o individuali, il desiderio del potere, il culto del profitto. E le proteste pro-democrazia di domenica in Sudan ne hanno già aggiunto uno.

Il 2021 non è stato di parola: non s’è portato via nessuna delle grane che affliggono il Mondo, neppure la pandemia, che ci speravamo tutti. Tranquilli!, ci pensa il 2022, che, come tutti gli anni, parte con i propositi migliori. Lato pandemia, magari smetteremo di contare le ondate e impareremo a convivere con il virus. Lato pace, capiremo che alcune delle tensioni che la minacciano, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’annessione di Taiwan da parte della Cina, sono solo spauracchi agitati da Mosca e Pechino e ingigantiti dall’Occidente: le tensioni internazionali sono spesso un comodo paravento dietro cui nascondere le beghe interne con cui tutti i leader, democratici o autoritari che siano, devono confrontarsi.

Due sono gli appuntamenti elettorali contornati in rosso sul calendario politico internazionale 2022: le presidenziali francesi il 10 e il 24 aprile e il voto di midterm negli Stati Uniti l’8 novembre. Ma l’agenda elettorale del Nuovo Anno è molto fitta di scadenze. Nell’Ue, si voterà in Portogallo – parlamentari anticipate al 30 gennaio -; Austria – presidenziali in autunno, ma la situazione politica è instabile dopo l’uscita di scena inattesa di Sebastian Kurz -; Slovenia – parlamentari ad aprile, presidenziali a ottobre -: Ungheria – parlamentari in primavera -; Svezia – parlamentari a settembre, se il monocolore socialdemocratico di ultra-minoranza tiene fino ad allora -; e non si può escludere che si voti pure in Italia.

Altrove, ci saranno le presidenziali in Brasile – 2 ottobre – e in Colombia – 29 maggio –, in India – la consueta maratona – e nelle Filippine – 9 maggio -. Appuntamenti con le urne pure in Australia – politiche in primavera -, Corea del Sud – presidenziali 9 marzo -, Libano, Tunisia, Kenya e ancora altrove. Senza dimenticare le fantomatiche elezioni in Libia, che paiono sempre imminenti, ma che vengono sempre rinviate in extremis – com’è successo prima di Natale -.

Altre date sul calendario politico internazionale 2022 sono il Vertice del G7 dal 26 al 28 giugno nelle Alpi bavaresi, allo Schloss Elmau – il cancelliere tedesco Olaf Scholz farà dunque l’esordio fra i Grandi da presidente – e il Vertice del G20 in autunno a Bali sotto la presidenza di turno indonesiana. Rituali i Vertici europei, che si succederanno a Bruxelles con ritmo più o meno trimestrale – i primi il 24 e 25 marzo e il 23 e 24 giugno – e gli appuntamenti di primavera e d’autunno di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale.

Le presidenziali in Francia intrecciate al percorso dell’Ue
Le presidenziali in Francia e il voto di midterm negli Stati Uniti hanno valenze speciali. In Francia, Emmanuel Macron, presidente in esercizio e candidato alla riconferma – sulla carta, è il favorito – dovrà bilanciare campagna elettorale e impegno europeo, perché la Francia, dal primo gennaio e fino al 30 giugno, esercita la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue: un semestre in cui cade anche la fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, se i termini non saranno prorogati, vista l’esiguità di quanto finora prodotto.

La congiuntura fra i primi passi del nuovo governo tedesco, dopo 16 anni a guida Angela Merkel, l’appuntamento elettorale francese e l’incertezza politica italiana – qui, i giochi per la presidenza della Repubblica possono modificare gli assetti di governo e pesare sulla durata della legislatura – gioca a sfavore dell’Unione europea, impegnata a superare definitivamente la pandemia, ‘governare’ la ripresa dell’economia, offrire una risposta comune su temi come flussi migratori e difesa e sicurezza. Difficile riuscirci senza una guida forte, sicura e stabile, che non può essere offerta in questa fase dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, politicamente indebolita dal fatto che il suo partito, la Cdu, è ormai all’opposizione in Germania.

Il midterm negli Usa e la debolezza di Biden
Negli Stati Uniti, dove la popolarità del presidente Joe Biden è molto bassa, non causa pandemia o rotta afghana a fine agosto, ma soprattutto per l’inflazione, che torna a erodere i redditi, nonostante la crescita sostenuta, il voto di midterm rischia di privare il partito democratico della maggioranza sia al Senato, dove la situazione è di equilibrio, 50 democratici e 50 repubblicani, sia alla Camera, dove i democratici hanno una manciata di seggi in più dei repubblicani.

‘Uncle Joe’, 79 anni compiuti, era parso sulle prime galvanizzato dal potere presidenziale e s’era persino meritato l’appellativo di ‘Tiger Joe’, per la fermezza, quasi durezza, verso Cina e Russia. Ma poi l’estate, l’indole e magari l’età ci hanno restituito lo ‘Sleepy Joe’ dei dileggi trumpiani: Biden non sa dare un’immagine di forza e di autorevolezza; appare più stanco che saggio e più indeciso che pragmatico; e subisce la rissosità del partito democratico invece di gestirla.

A dieci mesi dal voto di midterm dell’8 novembre, c’è tempo per correre ai ripari, ma non bisogna più sbagliare mosse. Indebolito dai suoi errori e dalla litigiosità interna alla sua base – la sinistra è insoddisfatta delle misure sociali fin qui adottate -, Biden rischia una seconda metà del suo mandato da ‘anatra zoppa’: una prospettiva che rivitalizzerebbe le ambizioni presidenziali 2024 (mai sopite) di Donald Trump, che continua ad esercitare un forte controllo sul partito repubblicano.

Mentre i democratici non riescono a rinnovare la loro gerontocratica leadership, falcidiata nel 2021 da abbandoni e decessi – ultimo in ordine di tempo, quello del senatore del Nevada Harry Reid -. Ma al vertice del partito, della nomenklatura. delle istituzioni, e anche dell’opposizione interna, restano i Clinton, Biden, gli Obama – dei giovincelli, nel lotto -, la Pelosi, Sanders e la Warren.

Filippine e Brasile: Duterte e Bolsonaro, ‘trumpiani’ addio
Il 2022 potrebbe portarsi via due ‘trumpiani doc’: i presidenti delle Filippine Rodrigo Duterte, autoritario e violento, e del Brasile Jair Messias Bolsonaro, omofobo e negazionista.

Duterte ha già rinunciato a sfidare la Costituzione e a correre per un secondo mandato. Ma il voto del 9 maggio, con il rinnovo contestuale di Camera e Senato, s’annuncia un trionfo di nepotismi, con nostalgie autoritarie. La figlia di Rodrigo, Sara, è candidata alla vicepresidenza, facendo ticket con Ferdinando Marcos Junior, detto Bongbong, , figlio dell’ex dittatore Ferdinando Marcos, che fu per vent’anni al potere fino al 1986. Nell’anomalo agone politico filippino, oltre a ‘figli di’, ci sono pure sportivi, come l’ex campione del mondo di pugilato Manny Pacquiao, e attori, come Francisco ‘Isko’ Moreno.

In Brasile, invece, Bolsonaro, che al momento ha il consenso solo di un quinto dell’elettorato, dovrà affrontare il leader della sinistra Inacio Luca da Silva, presidente dal 2003 al 2010, poi fatto fuori dalla scena politica con un’inchiesta politicamente motivata, per cui finì in carcere prima di uscirne riabilitato dalla Corte Suprema. Corre per la presidenza pure il giudice che lo inquisì, Sergio Moro.

Dove il 2022 non farà meglio del 2021
Solo su un fronte gli italiani sarebbero degli illusi a sperare che il 2022 possa fare meglio del 2021: lo sport. Perché di vincere tanto come l’estate scorsa, tra Europei di Calcio e Giochi di Tokyo, oltre agli Europei di pallavolo ‘bisex’ e a una miriade di altri successi, è davvero chimera. A dire il vero, nello sci alpino siamo ben partiti, in vista dei Giochi di Pechino, ma nel calcio dobbiamo penare fino alla primavera per sapere se andremo ai Mondiali in Qatar o se, per la terza volta in assoluto, e la seconda consecutiva, saremo relegati – da campioni d’Europa – sulla panchina degli spettatori.

Che poi anche i massimi appuntamenti sportivi 2022, insieme ai Mondiali di Atletica di Eugene nell’Oregon dal 15 al 24 luglio, sono già inquinati dalla geo-politica: una parte dell’Occidente boicotta diplomaticamente i Giochi d’Inverno di Pechino dal 4 al 20 febbraio, in segno di protesta per l’indifferenza ai diritti dell’uomo da parte della Cina; e buona parte dell’umanità raziocinante è a disagio con i Mondiali nel Qatar dal 21 novembre al 18 dicembre. L’emirato che gioca fare l’ago della bilancia tra sunniti e sciiti è, come tutte le monarchie del Golfo, un eccellente pagatore, ma non è certo in vetta alle classifiche per il rispetto delle donne e per la sicurezza dei lavoratori – vedasi la strage nei cantieri per l’allestimento degli stadi -. E’ strano, però, che questi nodi vengano al pettine nell’imminenza delle gare e non quando i massimi responsabili dello sport mondiale, che siano il Cio o la Fifa, fanno scelte scriteriate, dettate più dall’interesse – a volte anche personale – che dal rispetto dell’etica sportiva.

Una visione federalista europea…
A trent’anni appena passati dal Vertice di Maastricht che, nella notte fra il 10 e l’11 dicembre 1991, gettò le basi del Trattato di Maastricht, sancì la nascita dell’Unione europea e, successivamente, dell’euro, divenuto moneta corrente unica europea all’alba del 2002, vent’anni fa, l’Ue deve misurarsi quest’anno con la revisione delle regole del Patto di Stabilità, sospeso causa pandemia fino al primo gennaio 2023, e con una nuova definizione della governance economica.

Virgilio Dastoli, il presidente del Comitato italiano del Movimento europeo, la persona più vicina ad Altiero Spinelli nei suoi anni da parlamentare europeo (1979-’86), è convinto che “la riforma della governance” non possa “essere separata a medio termine” da una riforma dei meccanismi dell’Unione “mettendo al centro le questioni della sua sostenibilità sociale e democratica”: esercizio da svolgere nei seguiti della Conferenza sul futuro dell’Europa verso “una fase costituente in vista delle elezioni europee nel maggio 2024”.

Per Dastoli, le tesi recentemente emerse nel dibattito sul futuro dell’Europa non sono, a vario titolo, adeguate: non quella delle “cooperazioni rafforzate” settoriali, né quella di ridefinire l’equilibrio fra la dimensione monetaria e quella di bilancio, né quella di una democrazia partecipativa digitalizzata con una consultazione dei cittadini costante – salvo poi dovere tradurre le indicazioni in politiche, strumenti e atti normativi conseguenti -.

Una prospettiva federalista potrebbe invece condurre al superamento del Trattato di Lisbona tramite un processo di democrazia sostanziale in cui valorizzare gli orientamenti emersi nella Conferenza sul futuro dell’Europa; istituire uno spazio di dialogo fra i partiti di maggioranza e di opposizione nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo; promuovere il coinvolgimento dei poteri locali; creare dunque i presupposti per una campagna elettorale europea in cui le elettrici e gli elettori – votando per il Parlamento europeo –debbano scegliere fra un’Europa realmente sovrana o il ritorno alla divisione del continente in Stati apparentemente sovrani. Così, il nuovo Parlamento europeo sarebbe investito, nel 2024, di un mandato sostanzialmente costituente.

… e una prospettiva multilateralista
Su AffarInternazionali.it, il presidente e la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci e Nathalie Tocci, affermano che “il sistema internazionale nel 2021 ha assistito a una timida ripresa del multilateralismo e dei rapporti transatlantici”, nonostante “lo scontro tra Usa e Cina abbia assunto sembianze di una nuova guerra fredda in cui, dietro alle divergenze in ambito militare, diplomatico, economico o tecnologico si cela uno scontro tra sistemi e ideologie politiche”.

I disaccordi transatlantici – osservano Nelli Feroci e Tocci – non sono mancati, … ma sono stati litigi che, a differenza dei traumatici anni di Donald Trump, si sono svolti dentro l’arco valoriale che unisce le due sponde dell’Atlantico. A livello multilaterale il bicchiere è solo mezzo pieno, ma gli accordi raggiunti in ambito Ocse e Cop26 sulla tassazione minima delle multinazionali e il clima … rappresentano un salto quantico rispetto all’anno precedente”.

Il 2022 confermerà questa tendenza? “L’anno che ci aspetta si prospetta profondamente incerto – notano Nelli Feroci e Tocci -. La cristallizzazione d’un sistema internazionale diviso tra democrazie e autocrazie vede l’acuirsi delle tensioni in Europa, con lo scontro tra Occidente e Russia soprattutto sullo scacchiere ucraino. Nell’Estremo Oriente non è nell’interesse né di Washington né di Pechino uno scontro militare a Taiwan, ma l’assertività cinese e l’ambiguità Usa fanno sì che lo scenario non possa essere escluso. Italia ed Europa rivendicano la loro autonomia e rigettano l’idea di dovere scegliere un solo polo. Ma un’autonomia strategica europea in ambito tecnologico, energetico ed economico, per non parlare di quello militare, richiederà una proiezione globale decisamente più convinta e pronunciata nell’anno che ci attende”.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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