Ritorno al nemico, anzi ritorno ai nemici: l’Occidente, e la Nato, che ne è l’alleanza militare, dopo tre decenni di crisi d’identità, seguiti alla fine della Guerra Fredda, sembrano ritrovare una ragione d’essere – e di essere alleati – riscoprendo il nemico, allora l’Urss, oggi la Russia; anzi, i nemici, perché c’è pure la Cina sulla lista dei cattivi del Mondo visto dall’Atlantico del Nord. Una lista dove, a ben guardare, se i criteri dirimenti di questi giudizi sono democrazia e rispetto dei diritti, dovrebbero esserci anche molti altri Paesi nostri ‘partner’, tipo l’Arabia Saudita e più o meno tutte le monarchie del Golfo, o l’Egitto del generale golpista Abdel Fattah al Sisi, ma anche nostri sodali – come la Turchia nella Nato e la Polonia e l’Ungheria nell’Ue e nella Nato -.
All’alba del 2022, il Mondo non è certo quello che era al tramonto del 1991, quando la bandiera dell’Urss venne ammainata per l’ultima volta sul pennone del Cremlino. E dove si colloca l’Europa nel triangolo scaleno che è quasi isoscele delle relazioni Usa – Russia – Cina? Usciamo da una serie di Vertici che ci hanno dato diverse indicazioni al riguardo: il G20 a fine ottobre, i bilaterali virtuali di Usa con Cina e Russia e, infine, la scorsa settimana, il bilaterale sempre virtuale tra Cina e Russia e il Consiglio europeo.
L’Europa degli Anni Ottanta era ancora solo una Comunità economica di 12 Paesi, già – si diceva – gigante economico, ma nano politico, che non sapeva fornire al presidente degli Stati Uniti – l’idea è di Henry Kissinger – un numero di telefono da chiamare per un consulto in caso di crisi. L’Europa di oggi è un’Unione – più di nome che di fatto – di 27 Paesi, che anche senza la Gran Bretagna resta il terzo ineludibile polo dell’economia mondiale, ma che continua a mancare di capacità d’azione politica e ancor più militare (e che, un po’ assurdamente, pensa di dotarsi di quella militare prima che di quella politica). Esercizi velleitari, senza la disponibilità degli Stati a cedere sovranità all’Unione attraverso la rinuncia alla clausola dell’unanimità.
La Nato, negli ultimi trent’anni, ha trovato sul suo cammino motivi d’essere: le guerre nei Balcani negli Anni Novanta; e, dopo l’11 Settembre 2021, la guerra al terrorismo, di cui la rotta afghana dell’agosto scorso è però stata un epilogo disastroso. Adesso che ha recuperato il suo nemico, o meglio i suoi nemici, l’Alleanza s’appresta a vivere – assicurano gli esperti – un ‘momento Sputnik’ sul fronte della cyber-.security: deve trovare energia e coesione per recuperare il gap tecnologico con Russia e soprattutto Cina, come riuscì a fare negli Anni Sessanta sul fronte spaziale.
In questo contesto, ci sta che gli Stati Uniti e l’Occidente tutto pratichino, sul fronte dell’Ucraina e di Taiwan rispettivamente, la figura retorica diplomatica dell’ingigantimento della minaccia, che effettivamente c’è ed è reale, ma che le stesse Russia e Cina vogliono sia percepita più di quanto non vogliano attuarla.
Mentre la Nato si appresta a varare, al Vertice di Madrid di fine giugno 2022, un suo nuovo concetto strategico e – dopo gli sbandamenti e le incertezze della presidenza Trump – riacquista coscienza di essere l’unico foro di consultazione collettiva tra America ed Europa, l’Ue è impaniata nella pandemia: l’iniziale risposta positiva della messa in comune di risorse per superare lo stallo dell’economia non ha – ancora? – fatto da volano a una maggiore coesione politica e di difesa – progetti ambiziosi complementari alla Nato restano solo abbozzati -. Rispetto al XX Secolo, l’Unione è più larga, ma più diversa: lo si vede, in particolare, quando si discute di migranti, oppure di rapporti con la Russia e l’ex area sovietica. Né aiuta la relativa fragilità delle leadership tedesca e francese, l’una appena insediatasi al potere, l’altra attesa in primavera da una sfida elettorale. L’Italia può offrire all’Ue un supporto di autorevolezza? Parliamone dopo l’elezione del presidente della Repubblica, di qui a cinque / sei settimane.
Il Vertice virtuale Russia – Cina
Le cose con Biden non vanno bene. E allora Putin e Xi si cercano e si tengono bordone a vicenda: messe da canto tensioni e rivalità, Cina e Russia esibiscono la solidità delle relazioni bilaterali che “hanno superato varie tempeste e dimostrano nuova vitalità”. Parole di presidenti stando ai resoconti del secondo Vertice 2021, durato un’ora e mezzo il 15 dicembre, fra Vladimir Putin e Xi Jinping. Mentre esaltano il loro bilateralismo, Cina e Russia, incuranti della contraddizione, si presentano come “il pilastro del vero multilateralismo e gli alfieri dell’equità e della giustizia internazionali”.
L’incontro virtuale tra Xi e Putin ha chiuso il triangolo scaleno delle consultazioni fra i tre maggiori protagonisti della politica mondiale, dopo i Vertici sempre virtuali tra il presidente Usa Joe Biden e Xi il 15 novembre, con lo spettro d’una ‘riannessione’ di Taiwan sullo sfondo, e tra Biden e Putin il 7 dicembre, con le tensioni sull’Ucraina in primo piano. Ed è stato pure una risposta al Vertice delle Democrazie convocato da Biden senza mandare l’invito né a Xi né a Putin.
I rapporti tra Usa, Russia e Cina disegnano un triangolo scaleno che è quasi isoscele, perché il lato più corto corre tra Mosca e Pechino, mentre Washington è pressoché equidistante. Tra Usa e Cina, c’è una sfida proiettata nel XXI Secolo; tra Usa e Russia, un confronto nel presente.
Per Xi e per Putin, il deterioramento delle relazioni con Biden ha coinciso con il deterioramento delle relazioni con gli alleati europei degli Stati Uniti. Prima del loro Vertice, il G7 dei ministri degli Esteri ha denunciato l’ammasso di truppe di Mosca sui confini con l’Ucraina e le violazioni dei diritti fondamentali a Hong Kong e nello Xinjiang, oltre che l’aggressività di Pechino (solo verbale finora) verso Taiwan.
Nel concreto, Xi e Putin non sono andati molto oltre altisonanti, ma generiche dichiarazioni di unità d’intenti e di volontà di cooperazione. Il leader cinese è disponibile a “nuovi piani di cooperazione in vari campi, per lo sviluppo duraturo e di alta qualità dei legami bilaterali”. Quello russo ritiene che sia stato “forgiato un nuovo modello di cooperazione tra i due Paesi”, determinati a trasformare il loro confine comune “in una cintura di pace eterna e di buon vicinato”.
In polemica con Biden, che ha deciso il boicottaggio diplomatico dei Giochi olimpici invernali 2022 di Pechino, Xi e Putin si sono scambiati cortesie olimpiche, contro “ogni tentativo di politicizzare lo sport e il movimento olimpico”. Putin andrà a Pechino per l’inaugurazione, come Xi andò a Sochi nel 2014.
Un negoziato Russia-Usa-Nato che parte con il piede giusto
E Pechino – dicono a Mosca – ha dato “pieno sostegno” a un’iniziativa russa per ottenere “garanzie di sicurezza” dall’Occidente. Quasi per assurdo, le premesse per un negoziato di successo ci sono tutte: gli uni, i russi, pongono condizioni che sono consci che gli altri, gli americani, non possono accettare, un potere di veto sulle loro future alleanze; e gli altri difendono un diritto – di fare aderire alla Nato Ucraina, Georgia, Moldavia e quant’altri lo voglia – che non hanno intenzione d’esercitare e che neppure possono esercitare, perché lo stesso Trattato dell’Atlantico del Nord lo esclude (Paesi con conflitti interni non possono entrare nell’Alleanza).
Ciò vuol dire che entrambe le parti sanno a priori di non potere restare fino in fondo sulle posizioni di partenza, anche se, ovviamente, le dichiarazioni iniziali sono oltranziste. Mosca invita Washington a prendere sul serio la bozza di Trattato trasmessale a metà dicembre, perché – afferma il vice-ministro degli Esteri Serguiei Ryabkov – “la situazione globale rimane piuttosto tesa”. Washington replica, via la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, che “non ci saranno colloqui sulla sicurezza europea senza i nostri alleati e partner europei”.
Le bozze di Trattati inviate dalla Russia agli Usa e alla Nato sono analoghe, ma diverse: otto articoli per gli Usa, nove per la Nato. Vi viene tracciata una linea rossa già esplicitata nell’ultimo colloquio il 7 dicembre tra Putin e Biden: che l’Occidente si tenga fuori dalla sfera d’influenza russa, cioè dall’ex Unione sovietica – fatti salvi i Paesi Baltici, ormai dati per persi -, e si astenga “da qualsiasi ulteriore allargamento Nato”. I Paesi dell’Alleanza dovrebbero inoltre impegnarsi “a non condurre alcuna attività militare sul territorio dell’Ucraina e di altri Stati dell’Europa dell’Est o del Caucaso del Sud o dell’Asia Centrale”.
Le proposte prevedono la creazione di una ‘hotline’ tra Mosca e la Nato, l’impegno a non spiegare “armi nucleari al di fuori del territorio nazionale” e a riportare in patria “le armi già spiegate al di fuori dei confini all’entrata in vigore del trattato”, eliminando tutte le infrastrutture all’uopo create e rinunciando ad addestrare “personale militare o civile di Paesi che non possiedono armi nucleari all’uso di tali armi”.
Le clausole nucleari, così come scritte, sono inaccettabili per gli Usa e la Nato, perché lascerebbero l’Europa esposta a un attacco nucleare russo senza possibilità di risposta immediata. Il linguaggio ha passaggi da XX Secolo, dell’epoca dei negoziati nucleare tra Usa e Urss che, comunque, garantirono il mantenimento dell’ ‘equilibrio del terrore’: non a caso, fra i documenti di riferimento citati, vi sono l’Atto di Helsinki del 1975 e la Carta per la sicurezza europea del 1999. E, ricordato che “non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare”, Putin invita Biden ad evitare l’azzardo di Barack Obama di derubricare il suo Paese a “potenza regionale”.
L’Europa resta un passo indietro
Nonostante torni a essere terreno di negoziato, l’Unione non riesce per ora a trasformare il triangolo in quadrilatero. Dei Vertici di fine anno, il meno significativo è proprio quello dei 27, incerti sul che fare contro i sussulti della pandemia e impreparati ad andare a fondo su altri temi.
Se il 1° gennaio 2022 è il ventennale della messa in circolazione di banconote e monete in euro, pochi progressi nell’approfondimento dell’integrazione sono stati fatti da allora; anzi, ci sono stati palesi passi indietro, con l’ampliamento e i rigurgiti d’egoismi nazionali innescati dalla doppia crisi del 2008 e del 2011, dal fenomeno delle migrazioni e dall’emergenza sanitaria. Il 2022 sarà l’anno del colpo di reni dell’Ue? Sperarlo non basta, bisogna farlo.