L’ultima trovata di Donald Trump che agita la politica statunitense è l’idea di diventare speaker della Camera, dopo le elezioni di midterm del 2022, senza essere deputato. Da quella posizione, oggi della sua arci-rivale Nancy Pelosi, potrebbe tenere ‘sotto tiro’ l’Amministrazione democratica di Joe Biden, fino alle presidenziali 2024, cui il magnate ex presidente intende sempre ricandidarsi.
Se non ci fosse di mezzo Trump, uno che rende serie, o tragicomiche, le idee più bislacche, sarebbe una boutade. Ma ne scrive sul Washington Post, con l’aria di chi è divertito, ma anche preoccupato, Aaron Blake, che ricorda come in passato altre sortite del magnate siano state prese alla leggera e si siano poi rivelate tremendamente serie, a partire dalla sua candidatura accolta all’annuncio nel 2015 con generale scetticismo.
“L’idea – scrive Blake – è nell’aria da un po’ di tempo: che non ci sia bisogno di essere un deputato per fare lo speaker”, cioè il presidente della Camera. “Ma viene ora sostenuta con crescente vigore” da alleati dell’ex presidente, fra cui il deputato della Florida Matt Gaets e l’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows.
E sembra di più in più probabile che i repubblicani abbiano davvero una carta da giocare, perché nelle elezioni di midterm potrebbero riconquistare la maggioranza alla Camera (e pure al Senato).
Blake osserva: “Per il momento, sostenere la tesi è più un modo per blandire Trump e guadagnarne il favore. Ma se l’ex presidente dovesse spingere in tal senso, chi sarebbero i repubblicani per dirgli di no?”, vista la presa che il magnate mantiene su deputati e senatori del suo partito.
Certo, la storia dello speaker come pure la ricandidatura dipendono pure da come andranno a finire l’inchiesta della commissione della Camera sulla sommossa del 6 gennaio di quest’anno, quando migliaia di facinorosi ‘trumpiani’, sobillati dall’allora presidente, presero d’assalto il Campidoglio e cercarono di impedire la certificazione della vittoria di Biden, e le indagini della magistratura sui conti dei Trump.
Dopo il guru della campagna 2016 Steve Bannon, anche Meadows rischia l’arresto perché si rifiuta di collaborare con la commissione della Camera. E, intanto, spuntano whatsapp ed sms di Donald jr, il figlio maggiore del magnate, e di commentatori della Fox News, l’unica tv ascoltata da Trump, che chiedevano a Meadows di convincere il presidente a dissociarsi da quanto stava avvenendo.
Tutti si rendevano conto della gravità degli eventi. Tutti tranne Trump, che ne pareva compiaciuto, e Meadows, che fece quello che sa fare meglio: niente. Come – dice – non aveva fatto nulla quando, giorni prima, aveva ricevuto dal colonnello in congedo Phil Waldron un piano per un colpo di stato: proclamare lo stato d’emergenza nazionale, esautorare il Congresso, congelare l’esito delle elezioni e garantire la permanenza al potere di Trump.
Quel piano, Meadows lo ha da poco trasmesso alla commissione della Camera: il capo dello staff della Casa Bianca sostiene di non averne informato Trump; ma non allertò neppure polizia e servizi di sicurezza. E l’avvocato di Trump Rudolph Giuliani e alcuni senatori ne erano al corrente.