Nella giornata del 6 gennaio, il capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows ricevette chat ed sms da diversi esponenti della destra più vicina a Donald Trump: tutti sollecitavano il presidente ed i suoi consiglieri a fermare l’attacco al Congresso da parte di migliaia di esagitati ‘trumpiani’ sobillati dal magnate stesso. A Meadows scrisse Donald jr, il figlio maggiore del presidente, mentre Ivanka, la ‘prima figlia’, la più influente della famiglia, invitò di persona il padre, insieme al marito Jared Kushner, a fare qualcosa.
Tutti si rendevano conto della gravità di quanto stava accadendo. Tutti tranne Trump, che ne pareva compiaciuto, e Meadows, che fece quello che sa fare meglio: niente. Come – dice – non aveva fatto nulla quando, giorni prima, aveva ricevuto dal colonnello in congedo Phil Waldron un vero e proprio piano per un colpo di stato: proclamare lo stato d’emergenza nazionale, esautorare il Congresso, congelare il risultato delle elezioni e garantire la permanenza al potere di Trump.
Quel piano, Meadows lo ha da poco trasmesso alla commissione della Camera che indaga su quanto avvenne il 6 gennaio: il capo dello staff della Casa Bianca sostiene di non averne informato Trump; ma neppure allertò i servizi di sicurezza. Tutto ciò e la reticenza a deporre davanti alla commissione gli sono ieri valsi l’accusa di oltraggio al Congresso: adesso, il Dipartimento della Giustizia deve decidere come procedere, ma Meadows potrebbe fare la fine dell’ex guru di Trump Steve Bannon, che il mese scorso è stato brevemente arrestato prima di essere rimesso in libertà su cauzione.
Chi contattò Meadows, mentre una folla di energumeni dava l’assalto al Congresso e interrompeva le operazioni di certificazione del risultato elettorale? Da Donald jr ai commentatori di Fox News, gli unici giornalisti ascoltati dal magnate presidente, tutti chiedevano a Meadows di indurre Trump a fermare le violenze dei suoi ultrà: “Mark, il presidente deve dire alla gente sul Campidoglio d’andare a casa”.
Molti dei ‘trumpiani’ avevano quindi capito la delicatezza della partita che si giocava quel giorno. Donald jr, che pure non è il più saggio né il più politico dei figli, scriveva: “Serve un messaggio dallo Studio Ovale”, un discorso del presidente; “Le cose si sono spinte troppo oltre, sono sfuggite di mano”. Sean Hannity suggeriva: “Chiedigli di rilasciare una dichiarazione in cui invita a lasciare il Congresso”. Laura Ingraham avvertiva: “Quello che sta accadendo sta distruggendo la sua eredità e tutti noi”.
Che ne sia stato informato o meno, Trump solo tardivamente fece una dichiarazione che non suonò, però, una presa di distanza dall’assalto al Campidoglio, ma piuttosto un “Grazie!, ragazzi. Avete fatto la vostra parte. Ora, tornate a casa”.
Quanto al piano di Waldron, un texano, una delle voci più forti della campagna ‘Stop the Steal’, ‘Stop al furto’ – delle elezioni, il cui risultato sarebbe stata truccato -, lo avevano anche ricevuto alcuni senatori ‘trumpiani’; ed era probabilmente noto a Rudolph Giuliani, l’avvocato di Trump, che conosce bene Waldron e ne citò più volte le fantasiose tesi cercando, senza alcun successo, d’ottenere l’avallo dei tribunali dell’Unione alle accuse di brogli. L’ex colonnello sostiene che Paesi come la Cina e il Venezuela avevano acquisito il controllo delle infrastrutture elettorali in gran parte degli Stati Usa.
Tutti questi sviluppi non paiono turbare Trump, che, invece, agita la politica statunitense con l’idea di fare lo speaker della Camera, dopo le elezioni di midterm del 2022, senza essere deputato, sempre che i repubblicani riconquistino la maggioranza. La posizione gli consentirebbe di tenere sotto tiro l’Amministrazione democratica di Joe Biden fino alle presidenziali 2024, quando Trump ha sempre in animo di ricandidarsi.