La maggioranza dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti sembra intenzionata a limitare il diritto all’aborto e ad avallare la legge dello Stato del Mississippi, che vieta l’interruzione della gravidanza dopo 15 settimane di gestazione. Se così fosse, verrebbe compromesso l’impatto della storica sentenza del 1973 “Roe v. Wade”, che legalizzò l’aborto in America.
Mezzo secolo fa tale provvedimento riconobbe la possibilità per la donna di abortire fino alla 24a settimana, periodo entro cui il feto non riuscirebbe a sopravvivere fuori dal grembo materno, neanche con l’ausilio di macchinari.
Lo scorso primo dicembre, i nove giudici della Corte Suprema si sono riuniti per ascoltare le argomentazioni nella causa “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization”.
Si discute di una legge statale del Mississippi del 2018, già bloccata più volte dai tribunali federali, che vieta l’interruzione di gravidanza dopo la 15a settimana, ad eccezione di emergenza medica o anomalia fetale.
Il fatto che l’Alta Corte abbia accettato il ricorso del procuratore del Mississippi Scott G Stewart “è la prova che i giudici sono pronti a ridurre o a rovesciare significativamente i principi della Roe v. Wade“, afferma Politico.
Al giornale non è sfuggita la netta presa di posizione del governatore del Mississippi Tate Reeves, che nel programma ‘Meet the Press’ in onda sulla Nbc, ha dichiarato al conduttore Chuck Todd: “Quello che vorrei sottoporre alla tua attenzione, Chuck, è che ignorano assolutamente il fatto che abortire è una vera uccisione di un bambino innocente non ancora nato che si trova nel grembo materno”.
Secondo il New York Times, l’esito più probabile non sarà un completo capovolgimento della sentenza Roe v. Wade, ma la replica di uno spettacolo a cui gli americani assistono da 30 anni: “una sentenza che apparentemente garantisce il diritto all’aborto, ma nella pratica rende l’esercizio di tale diritto più difficile, se non impossibile“.
La decisione della Corte sta dividendo l’opinione pubblica: da giorni, davanti al Palazzo di Washington che ne è la sede, sono accampati decine di manifestanti pro-Roe e pro-Life.
L’aspetto che allarma maggiormente è che i giudici, se respingessero una sentenza che ha tutelato il diritto all’aborto in America per 50 anni, assumerebbero un ruolo politico più che giuridico.
Se la Corte consentirà agli Stati di vietare o limitare l’aborto in virtù di una nuova sentenza, saranno anche gli Stati pro-Roe a subirne le conseguenze, perché ad oggi non esiste una legge che valga in tutti gli Stati.
Uno degli Stati favorevoli alla sentenza Roe vs Wade è la California, tradizionalmente ‘liberal’, che tutela le donne che vogliono interrompere la gravidanza. Secondo il San Francisco Chronicle, quotidiano californiano, gli ospedali del luogo dovranno prepararsi a servire milioni di persone in più, provenienti da fuori i confini statali.
Inoltre, la California potrebbe presto avere bisogno anche dei servizi di medici fuori dallo Stato, per far fronte a un’impennata delle domande di aborto.
Lo sa bene Rebecca Taub, ostetrica ginecologa di East Bay, che almeno una volta al mese si reca nella clinica Trust Women, in Oklahoma, accolta dagli insulti e dai cartelli degli attivisti anti abortisti. “La politica ha un impatto diretto sul lavoro che svolgiamo ogni giorno”, dichiaraTaub.
Il parere definitivo dei giudici supremi sulla causa Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization arriverà probabilmente nel giugno del 2022. “Se la Corte Suprema opterà per una scelta forzata dalla politica”, si chiede la giudice progressista Sonia Sotomayor , “come sopravviverebbe questa istituzione al fetore di un tale stigma?”
The Coris Post, Amarlda Dhrami, Giulia Ippolito, Luca Liaci, Dajana Mrruku, Giordana Oddi