La discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale è ancora oggi all’ordine del giorno in molti Paesi che non accettano o addirittura vietano con le loro leggi di essere o amare liberamente, di essere cioè omosessuali. Questo problema sociale è chiaramente una violazione dei diritti umani, ma alla Russia o alla Cina non sembra importare cosa dice l’Onu e quali diritti tutela.
In Cecenia, una regione praticamente autonoma della Russia, diverse organizzazioni per i
diritti LGBTI+ hanno lanciato l’allarme quando le parole di un giovane gay che vive lì,
Maxim Lapunov, hanno fatto il giro del mondo: “Ogni giorno mi assicuravano che mi
avrebbero ucciso. E mi hanno detto come”.
Il giovane ha riferito di essere stato arrestato, portato in un centro di detenzione irregolare – simile a un campo di concentramento – e torturato lì per quasi due settimane. Tuttavia, il presidente ceceno, Ramzan Kadyrov, ha negato l’evidenza respingendo in televisione le accuse di una cosiddetta “epurazione gay” e assicurando, con l’approvazione di Vladimir Putin, che non c’erano “gay” nel suo territorio.
Welcome to Chechnya, un documentario che fa parte del catalogo Movistar+ in Spagna, ci
permette di scoprire tutto quello che succede lì, attraverso le registrazioni dei telefoni
cellulari che mostrano attacchi estremamente violenti, documentati dagli stessi aggressori e intercettati da gruppi di attivisti per smentire Kadyrov e Putin. Mostra anche “delitti d’onore”: il governo incoraggia la violenza familiare contro i propri figli omosessuali, in modo che gli stessi familiari li uccidano per purgare la loro vergogna.
L’omofobia continua a quasi tremila chilometri di distanza, in Cina. Un Paese multiculturale
dai progressi tecnologici inarrestabili è retrogrado quando si tratta di tolleranza sessuale. I suoi precedenti storici sono peculiari in Asia: fino al 1997 l’omosessualità era illegale e fino al 2001 era definita un disturbo mentale, un concetto che è rimasto nei libri di testo di psicologia fino al 2013.
Ancora oggi ci sono centri che pretendono di “curare” quella che per loro è una malattia. E’ il caso e la storia di Xiao Zhen, un omosessuale che nel 2014 ha intentato una causa contro la clinica Xinyu Piaoxiang di Chongquing. “Mi è stata data la terapia dell’elettroshock solo una volta”, ha detto alla Bbc a proposito delle sofferenze che ha vissuto. “Immagina quelli cui è stato dato più volte”.
Questi centri si chiamano “centri di riorientamento sessuale”: medici come Zhou Zhengyou vi offrono una guida ai genitori che sospettano che il loro figlio o figlia possano essere omosessuali e sostengono di avere curato il 70 per cento dei loro pazienti. Zhou riferisce
spudoratamente i suoi sistemi di “guarigione”: “Un metodo comune è lo shock elettrico.
Quando il paziente ha un pensiero gay, lo fulminiamo o gli iniettiamo dei farmaci che gli
danno la nausea”.
Le terapie di conversione (ipnosi, farmaci, agopuntura o terapia elettroconvulsiva) sono una pratica diffusa sul territorio e, nonostante siano illegali in Cina, rimangono popolari. Un attivista di nome Peng Yanzi nel 2014 è stato messo sotto copertura in un centro di terapia di conversione e costretto a sottoporsi a elettroterapia: ha fatto causa e ha vinto in tribunale.
Trasparenza, Sofía de la Iglesia Ferradas, Clara Marín Lainez, Silvia Rived Sánchez, Alonso Paz González, Eneko Retegui, Marina Pérez Vázquez, Mario Rodríguez Sena