I presidenti Usa Joe Biden e russo Vladimir Putin hanno discusso, martedì, in un Vertice virtuale, “delle tensioni sull’Ucraina e dell’espansione della Nato verso i confini russi”. Obiettivo, allentare le tensioni artatamente gonfiate nelle ultime settimane, con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a gridare al colpo di Stato – con tanto di data, il 1o dicembre – e il Cremlino ad ammassare truppe vicino ai confini ucraini sotto gli occhi che tutto vedono dei satelliti statunitensi.
Se i rapporti tra Usa e Russia restano “deplorevoli” – parola del portavoce di Putin Dmitry Peskov -, è chiaro che il ‘redde rationem’ della crisi ucraina, giudicato dagli esperti militari impossibile prima dell’inizio del 2022, è posticipato, ammesso che vi sia a Mosca l’intenzione di attaccare Kiev (e non solo di creare ansia e allarme).
Putin ha posto con Biden i suoi paletti, in primo luogo stop all’avvicinamento dell’Ucraina alla Nato e all’Ue, ed ha fatto il punto su ciò che si sta facendo per attuare le intese raggiunte a Ginevra, dove i due s’incontrarono a giugno, e dare “un’occhiata a ciò che viene attuato e a ciò che richiede ulteriori sforzi” – nelle parole un po’ vaghe del portavoce del Cremlino -. Tra i temi in agenda, l’Iran e i negoziati sul nucleare da poco ripresi, la Libia e l’Afghanistan
Biden ha chiarito a Putin che l’Occidente non riconosce alla Russia un diritto di veto sulle adesioni alla Nato o all’Ue. Il presidente Usa parlava dopo avere consultato gli alleati europei, che sono concordi sulla difesa della sovranità ucraina, ma sono pure convinti che la diplomazia è l’unica via praticabile nel contesto attuale. Un’invasione dell’Ucraina da parte russa trasformerebbe di nuovo l’Europa in un campo di battaglia, come lo fu durante i conflitti balcanici o nel 2014.
Gli accordi di pace di Minsk 2, negoziati nel 2015 dal cosiddetto formato diplomatico Normandia (Russia e Ucraina, con Francia e Germania come mallevadori), restano inefficaci: Kiev e Mosca litigano da anni su chi debba fare il primo passo per attuare le intese, con il ritiro delle truppe russe dal Donbass in cambio di una maggiore autonomia alle regioni orientali.
I due presidenti hanno avuto un video-collegamento martedì 7: Biden dalla Casa Bianca, dove erano le 10.00; Putin dalla residenza di Sochi, dove erano le 18.00. E non è escluso che possano tornare a parlare e a vedersi in gennaio a Ginevra.
Pre-tattica alla vigilia del Vertice
Nell’analisi di Claduio Salvalaggio dell’ANSA, entrambi i leader “hanno fatto un po’ di pre-tattica” alla vigilia del loro colloquio. Biden ha avvisato che non accetterà alcuna linea rossa e che sta anzi preparando con i partner un pacchetto di misure senza precedenti in caso di blitz militare russo.
Nelle loro anticipazioni, i media Usa prospettano un ampio ventaglio di possibili sanzioni, da quelle contro il ‘cerchio magico’ dello stesso Putin a quelle contro il sistema bancario ed energetico russo, sino a colpire il debito sovrano e ad escludere Mosca dal circuito Swift per i trasferimenti finanziari su scala globale.
Una fonte della Casa Bianca ha inoltre rivelato che gli Usa sono pronti a rafforzare la loro presenza militare nell’Europa centro-orientale e intendono “rispondere favorevolmente” a eventuali richieste dei loro alleati in quella regione, in caso di invasione dell’Ucraina.
Putin, che invece pretende garanzie contro l’espansione della Nato a Est, ha fatto una prevista visita in India e con il premier Narendra Mori ha rilanciato la cooperazione anche militare fra i due Paesi, per evitare che New Delhi diventi una testa di ponte in Asia della politica americana anti-cinese.
Il Cremlino non ha mai cessato di denunciare “le numerose fake news” sui suoi presunti piani d’attacco all’Ucraina, senza però smentire i movimenti di truppe osservati, e la “retorica aggressiva” occidentale anti-russa. Con una citazione classica, Peskov invitava a non aspettarsi dai due leader svolte, perché “le stalle di Augia nelle nostre relazioni bilaterali difficilmente possono essere pulite in qualche ore di negoziati”: un richiamo alla quinta fatica di Ercole, ripulire in un giorno le stalle del re della città di Elide.
Allarmi creati e timori artefatti
Secondo l’intelligence Usa, i cui testi non classificati sono stati pubblicati dal Washington Post, c’è un piano di Mosca per invadere l’Ucraina con 175 mila soldati e un centinaio di unità militari all’inizio del 2022. Molti analisti ritengono, però, che il sussulto di tensione sia costruito ad arte: troppo plateali i movimenti di truppe russe, fatti per essere notati; e molto ‘pompata’ la divulgazione delle osservazioni degli 007.
Comportamenti che hanno punti di forza, ma anche vulnerabilità. Putin può pensare che riproporre lo spettro della guerra nel Donbass sia una garanzia contro l’ingresso di Kiev nella Nato, com’è già successo con i conflitti congelati nella Transnistria, in Moldavia, e nelle regioni separatiste georgiane dell’Abkazia e dell’Ossezia del Sud – l’Alleanza non può accogliere un Paese intrappolato in un conflitto militare -, ma il sostegno popolare a un’operazione del genere non è così largo come ai tempi dell’annessione della Crimea. E Biden e i suoi alleati possono sostenere l’indipendenza dell’Ucraina, ma non fino al punto di farsi coinvolgere in un conflitto aperto.
Gli allarmi creati dalla concentrazione di truppe russe ai confini ucraini e dai timori – quanto meno ingigantiti, se non creati ad arte – d’un colpo di Stato a Kiev hanno indubitabilmente serrato i tempi del Vertice Biden – Putin. Alle tensioni contribuiscono pure gli oltranzismi ucraini e di Paesi come la Polonia e i Baltici. Kiev insiste che il suo futuro è europeo ed atlantico: non s’accontenta d’essere associata all’Unione, vuole esservi integrata. Dopo incontri a Bruxelles alla Commissione europea, il ministro degli Esteri ucraino Denis Shmyhal, che era con i suoi colleghi di Georgia e Moldavia, ha detto: “I nostri popoli aspettano l’adesione all’Ue”: una prospettiva oggettivamente lontana, a meno di sconquassi militari, diplomatici, geo-politici, se si considera che i Paesi dei Balcani occidentali, in lista d’attesa da tempo, faranno ancora anticamera forse per tutti gli Anni Venti.
I ministri degli Esteri della Nato a Riga
Il rialzo della tensione, brusco e forse strumentale, tra quello che una volta si chiamava l’Occidente e la Russia sull’Ucraina era stato sancito, a fine novembre, da dichiarazioni di Biden e Putin e dalla riunione a Riga dei ministri degli Esteri dei Paesi dell’Alleanza atlantica, che erano stati informati delle mosse russe dal segretario di Stato Usa Anthony Blankin e avevano lanciato un loro monito.
“Siamo uniti – avevano dichiarato – di fronte ad ogni azione aggressiva” russa contro l’Ucraina e “ogni ulteriori mossa ostile avrebbe gravi conseguenze politiche ed economiche”. Frasi pronunciate dal segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, che alla vigilia del consulto aveva già ricordato: “Un attacco a uno dei nostri Alleati è un attacco a tutti gli Alleati”, quasi citando l’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, quello finora invocato una sola volta, nonostante quarant’anni di Guerra Fredda, dopo gli attacchi all’America dell’11 Settembre 2001.
Il fulcro delle tensioni è l’aumento della presenza di forze russe ai confini ucraini. E c’è pure la ‘crisi dei migranti’ ai confini tra Bielorussia e Polonia. Mosca – chiede la Nato – “sia trasparente, riduca le tensioni ed avvii una de-escalation”. Però, le mosse diplomatiche occidentali non hanno nulla di distensivo, in questo frangente; forse, vogliono essere preventive; certo, acuiscono le frizioni. Gli Usa badano a non offrire il fianco ad accuse di debolezza verso Mosca e sono sensibili alle pressioni anti-russe specialmente della Polonia e dei Baltici.
Non miglioravano il contesto l’allarme lanciato dal presidente ucraino Zelensky d’un colpo di Stato ‘programmato’ per il 1o dicembre e neppure le repliche del presidente russo Putin, che annunciava una visita in Crimea sua e del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che per parte sua oproclamava la la penisola annessa nel 2014 “russa de iure e de facto”.
L’Ucraina è solo un capitolo – il più grave – delle tensioni in atto fra Est e Ovest. Fonti russe accusano gli Stati Uniti di preparare un’escalation del conflitto diplomatico – sarebbero già pronte decine di ulteriori espulsioni di funzionari dell’ambasciata di Mosca a Washington -. E i negoziati sul nucleare fra i due Paesi sono in stallo, complicati dalla previsione che la Cina diventi a breve una potenza nucleare rilevante per numero di ogive. Nel contempo, Usa, Russia e Cina sono protagoniste, dalla stessa parte del tavolo con Gran Bretagna, Francia e Germania, della ripresa a Vienna dei negoziati con l’Iran per ripristinare l’accordo sui programmi nucleari iraniani raggiunto nell’autunno 2015 e poi denunciato da Donald Trump: il baratto è che Teheran rinunci a dotarsi dell’atomica in cambio della levata delle sanzioni imposte da Usa, Onu e Ue.
Storia (breve) d’un conflitto annoso
Il crescendo di tensione tra Nato e Russia sull’Ucraina riapre una ferita mai rimarginata dal 2014, quando Mosca reagì alla deposizione del presidente ucraino democraticamente eletto, il filorusso Viktor Janukovyc, al culmine di una sommossa popolare la cui regia non è mai stata chiarita. Ci fu l’annessione alla Russia della Crimea – un territorio tendenzialmente russo assegnato all’Ucraina nell’intricata geografia delle Repubbliche sovietiche – e cominciò un conflitto a bassa intensità, ma cruento – migliaia le vittime – e ormai endemico, nell’Ucraina orientale, ai confini con la Russia.
E’ la regione del Donbass, abitata prevalentemente da russi. Nel Donbass, che è il bacino del Donec, un affluente del Don che scorre in Russia e poi in Ucraina, le forze separatiste filo-russe combattono le forze regolari ucraine, godendo dell’appoggio, almeno logistico, dell’Armata rossa (e c’è chi afferma che militari russi siano stati direttamente coinvolti nei combattimenti).
Nel territorio, che nel 2014 aveva circa sette milioni di abitanti, e dove oggi si contano a centinaia di migliaia sfollati e rifugiati, è stato proclamato, tramite una serie di referendum, lo Stato federale della Nuova Russia. L’Ucraina, ovviamente, non lo riconosce: rivendica la propria sovranità su tutto il territorio nazionale e considera le organizzazioni secessioniste gruppi terroristici.
Come conseguenza della crisi del 2014, al cui precipitare concorse un’improvvisa e immotivata accelerazione del processo di associazione – non adesione – dell’Ucraina all’Unione europea, ci furono sanzioni americane ed europee – tuttora in vigore – contro la Russia, sia per l’annessione della Crimea che per il coinvolgimento nel conflitto; e Putin non fu più invitato ai Vertici dei Grandi del Mondo, che da G8 tornò a essere G7.
Ma c’è il dubbio che l’Ucraina sul fronte russo sia l’equivalente di Taiwan sul fronte cinese: un tema tenuto volutamente caldo e che si utilizza per acuire o meno le tensioni, ma non il fulcro dell’interesse e dei problemi.
Le ‘sparate’ di Zelensky l’attore
Mosca respinge e anzi ritorce le accuse. Il segretario del Consiglio di Sicurezza Nikolai Patrushev dice che la Russia ha informato gli Usa di non avere “piani aggressivi contro l’Ucraina”. Intervistato dal giornale governativo Rossiskaia Gazeta, Patrushev aggiunge che Mosca monitora “attentamente le azioni delle truppe Nato e ucraine vicino ai suoi confini”.
Ancora più esplicito, il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov diceva, martedì 30 novembre, che “consistenti forze e mezzi militari di Paesi Nato, anche americani e britannici, sono spiegati vicino ai confini” russi. Per Lavrov – citato da Interfax -, “armi pesanti, esplicitamente proibite dagli accordi di Minsk, inclusi i droni, vengono usate” nel Donbass: Mosca non può escludere che Kiev possa “scivolare in un’avventura militare”. “Se l’Occidente non riesce a tenere sotto controllo l’Ucraina ma sceglie invece di incitarla”, la Russia adotterà “sicuramente tutte le misure necessarie per garantire” la propria “sicurezza”.
La raffica di parole russa era una risposta alla conferenza stampa in cui Zelensky, un attore giunto alla presidenza per la popolarità acquisita facendo il presidente in una serie televisiva, aveva detto, il 26 novembre, di avere ricevuto informazioni sui preparativi per un colpo di Stato il 1° dicembre. “Ci sono grandi sfide nel cuore del nostro Paese, registrate da agenzie di intelligence di altri Paesi”. Secondo fonti di stampa, il piano coinvolgerebbe l’uomo d’affari Rinat Akhmetov e sarebbe dotato di fondi per un miliardo di dollari. Ma Zelensky afferma di non credere a questi dettagli: “Secondo me, Akhmetov è stato incastrato. C’è chi vuole attirarlo in una guerra contro lo Stato ucraino, che sarebbe un grande errore, poiché non si può combattere il proprio popolo e il presidente eletto” (che è quello che avvenne con Janucovych).
Le frasi di Zelensky erano state smentite dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov: “La Russia non ha mai avuto intenzione di partecipare a quello che sarebbe un colpo di Stato in Ucraina”. Ma Kiev aveva rincarato: “Siamo pronti ad affrontare un’escalation nel conflitto con Mosca e sempre più preoccupati per l’attività militare russa ai nostri confini … C’è una minaccia oggi di guerra domani … Siamo completamente preparati …”.
Zafesova: il rischio di un’invasione
Anna Zafesova, giornalista, grande esperta di cose russe e, in senso lato, post-sovietiche, riferisce, su AffarInternazionali.it, che l’ambasciata di Washington a Kiev consiglia agli americani “di non andare nell’Est del Paese e a tenersi pronti a eventi imprevisti che possono richiedere espatri urgenti: in altre parole, a una guerra”.
Ma questa escalation potrebbe rivelarsi, come già avvenne ad aprile, una carta del Cremlino in vista dell’apertura di negoziati con l’Amministrazione Biden: “Un avvertimento a non oltrepassare quelle che Putin ritiene ‘linee rosse’ da non superare nell’integrazione di Kiev nello spazio euro-atlantico”.
La Zafesova nota: “Siamo davanti a una situazione molto insolita: in presenza d’un assembramento di truppe massiccio, denunciato da fonti autorevoli, i probabili aggressori non insistono a negare e le potenziali vittime sfoggiano un rassicurante scetticismo”. Atteggiamento – osserva la giornalista – che “potrebbe far pensare a un episodio di guerra ‘ibrida’ più che reale, in cui molte stranezze hanno una spiegazione. La Russia ha tutto l’interesse a che il mondo si accorga dei movimenti di truppe, per fare sfoggio di muscoli e fare pesare il suo ruolo nella maniera che secondo Mosca più si addice a una grande potenza, con un’intimidazione sfacciata. Zelensky … fa mostra di non cedere all’intimidazione, per non fare il gioco dell’avversario. A Washington conviene denunciare movimenti di truppe, sia per bloccare per tempo eventuali piani di invasione russi, sia per ribadire due ‘linee rosse’ su una serie di dossier non solo militari, come il North Stream 2”.
Ma i segnali, pur contraddittori, non devono essere sottovalutati, anche perché c’è sempre il rischio che il gioco sfugga di mano. La Zafesova ricorda che “gli scettici dicono che la Russia non sarebbe in grado di invadere l’Ucraina, che ha 45 milioni di abitanti in stragrande maggioranza ostili ai russi e un esercito molto più preparato rispetto a sette anni or sono quando l’offensiva dei ‘volontari russi’ nel Donbass venne bloccata”.
Yulia Latynina sulla Novaya Gazeta ironizza dicendo che il Cremlino non lancerà una guerra vera: “La guerra vera si può perdere, quella ibrida mai”, dice, propendendo per un bluff diretto agli Usa per avviare un negoziato sulle sorti dell’Ucraina. Ma c’è chi prende la minaccia molto sul serio, come Pavel Felgenauer, ex consigliere militare di Mikhail Gorbaciov, che si spinge fino a ipotizzare una “guerra regionale su larga scala con rischio di evoluzione in guerra europea o globale e ricorso alle atomiche”. Se fosse un poker geo-politico, il bluff avrebbe dimensioni senza precedenti. Se, però, non fosse un bluff, sottovalutarlo sarebbe un errore tragico.