Sergey Savelyev non sembra affatto qualcuno che ha trascorso otto anni in un carcere russo, dove ha raccolto segretamente video di torture e pestaggi di detenuti. Ha 31 anni, è di origini bielorusse, magrolino e basso di statura, e ha vissuto sulla propria pelle un’esperienza che lo ha segnato nel profondo. Dopo essere fuggito dalla Russia, temendo per la sua vita, il giovane ha pra chiesto asilo in Francia.
La sua storia, riavvolgendo il nastro, ha inizio nel 2013 quando viene arrestato in Russia, nel Krasnodar meridionale, dagli ufficiali dei servizi di sicurezza federali, con l’accusa di traffico di droga. Qui fa subito i conti con la violenza degli agenti: racconta di avere subito “le percosse più dure, più forti, più gravi. Sono stato picchiato da una dozzina di persone. Erano tutti mascherati e armati”[1].
Savelyev viene poi trasferito due volte, l’ultima nella città portuale di Novorossiysk. In questa prigione, le condizioni di vita dei detenuti sono disumane: “A volte siamo stati messi in 26 in una cella per 12 persone. I tubi perdevano, il pavimento di cemento era rotto, l’intonaco cadeva dal soffitto e c’erano enormi scarafaggi”.
Dopo un anno e mezzo passato in questo inferno, Savelyev mostra sintomi di tubercolosi e per questo viene trasferito in un ospedale carcerario specializzato nella regione, l’OTB-1, per una diagnosi accurata. La struttura è conosciuta da tutti i prigionieri come un posto da cui stare alla larga per via della pessima reputazione.
Tuttavia, Savelyev non vi subisce violenze e dopo che i suoi test risultano negativi gli viene offerto un lavoro nel dipartimento di sicurezza, per via delle sue competenze informatiche, come addetto alla video-sorveglianza. Inizialmente viene tenuto lontano da video che mostrassero torture e abusi perché, come dichiarerà lui stesso, il personale della prigione lo ha monitorato “per vedere se potevo mantenere i segreti”.
Ottenuta la fiducia, è rimasto coinvolto, agli ordini dell’amministrazione penitenziaria, in un meccanismo perverso. Savelyev doveva consegnare una videocamera speciale a un detenuto, il quale filmava le torture e poi la riconsegnava. L’amministrazione della prigione dava indicazioni su che cosa fare del video: se cancellarlo o conservarlo. Savelyev ha tenuto a precisare che nessuno di questi file doveva essere archiviato sui computer del Servizio penitenziario federale.
I file sono stati copiati su una pennetta da Savlyev per diversi anni, grazie anche all’accesso alla rete interna del dipartimento, che gli permetteva di scaricare video dalle carceri di altre parti della Russia. Data l’importanza dei contenuti in suo possesso, Savlyev, una volta tornato lkibero, ha deciso di contattare Vladimir Osechikin, fondatore del gruppo per i diritti umani No To The Gulag, che senza alcuna esitazione ha pubblicato tutto su Gulagu.net, portale dell’organizzazione. I video mostrano “tutti i tipi di tortura. Da banali percosse e umiliazioni, a specifici atti di violenza sessuale”.
La situazione sui diritti umani nelle carceri russe è un argomento caldo nel Paese. Si cerca di ridurre “il ‘comportamento non tipico’ (delle forze di sicurezza)”[2]. I video di Savelyev hanno avuto un’enorme impatto: gli interventi correttivi hanno coinciso con la fuga di notizie su Gulagu.net.
Per questo suo gesto, Savelyev era stato inserito nella lista dei ricercati federali, da cui poi è stato di recente rimosso. “Secondo il canale Telegram ‘Trappola per topi’, citato dal quotidiano Pravda, “il procuratore ha annullato la decisione di avviare un procedimento penale.”[3] Una storia con un drammatico potrà forse avere un lieto fine.
InterRelazioni, Antonio Alifano, Celestino Casedonte, Paola D’Amico, Giuseppe Macrì, Graziano Talone
[1] https://meduza.io/en/feature/2021/10/26/they-re-still-trying-to-shut-me-up
[2] https://novayagazeta.ru/articles/2021/11/10/russia-explained
[3] https://www.pravda.ru/news/society/1658608-sergei_savelev/