Ultimo presidente bianco del Sudafrica, Frederik de Klerk è morto ieri all’età di 85 anni. Fece uscire dal carcere Nelson Mandela, detenuto per 27 anni, e – dopo le elezioni del 1994 – ne divenne il vice-presidente. Insieme, i due uomini, figure simbolo della fine dell’apartheid in Sudafrica, avevano ricevuto l’anno prima il Nobel per la Pace. Era uno di quei rari momenti che il Mondo sembra migliore: in Europa, il comunismo era crollato e l’Urss s’era dissolta; in Medio Oriente, l’Onu era riuscita a ristabilire la legittimità internazionale cacciando l’Iraq dal Kuwait; in America latina, il regime di Pinochet era tramontato; e, in Africa, l’apartheid finiva.
La notizia del decesso è stato dato dalla Fondazione a lui intitolata: “È con la più grande
tristezza che la Fondazione FW de Klerk annuncia la morte serena dell’ex presidente nella sua casa di Fresnaye, dopo aver combattuto contro il cancro”.
Nato nel 1936 a Johannesburg, la città più popolosa del Sudafrica, da una famiglia insediatasi quasi tre secoli prima, di origine ugonotta – il cognome de Klerck deriva dal francese Leclercq -, membro della Chiesa riformata olandese, il giovane Frederik studiò giurisprudenza e si dedicò alla politica sulle orme del padre, presidente de Senato e più volte ministro, e del nonno, premier negli Anni 50.
De Klerk fu a capo del National Party, poi divenuto New National Party, dal 1989 al 1897 e fu capo dello Stato dal 1989 al 1994. Con la sua autorità, accompagnò il Paese alla fine
dell’apartheid, consapevole dell’insostenibile anacronismo di quel sistema. Avviò i negoziati con l’African National Congresso, il movimento dei neri, che si conclusero con l’estensione dei diritti civili, fino ad allora riconosciuti solo ai bianchi, a tutte le etnie del Paese.
Mandela, scomparso nel 2013, gli era di 18 anni più vecchio. Quando s’incontrarono per
trattare, sapevano entrambi che l’apartheid era al tramonto. De Klerk ne era convinto già prima di divenire presidente, perché nel Paese si intensificavano le proteste organizzate dall’Anc, che non potevano più essere represse con la violenza, ma che richiedevano un cambiamento politico.
Del resto, un numero crescente di sudafricani bianchi capivano l’insostenibilità della situazione, avendo tra l’altro assistito a quanto accaduto in modo traumatico nei Paesi confinanti, specie la Rhodesia. Inoltre, le sanzioni internazionali comminate dall’Onu in modo sempre più pesante soffocavano l’economia nazionale, nonostante le ricchezze di cui dispone il Paese. Infine, le novità nel contesto internazionale, finita la Guerra Fredda, esponeva il Sudafrica alle crescenti pressioni dei Paesi partner – a partire dagli Stati Uniti, dove l’apartheid era finita trent’anni prima -.
Rimase ‘numero due’ di Mandela per due anni. Incrinatisi i loro rapporti politici, lasciò la vice-presidenza, ma restò capo dell’opposizione fino al 1997, quando si ritirò dalla vita politica.