“Sono qui per suonare l’allarme su un killer psicopatico, con infinite risorse in Medio Oriente, che costituisce una minaccia per il suo popolo, gli americani e l’intero pianeta”. Saad Aljabri, 62 anni, ex numero due dell’intelligence saudita, ci mette la faccia, sugli schermi della Cbs, nel programma 60 minutes, e ci va giù duro: non sta parlando d’un leader di al Qaida o d’un autoproclamato califfo del sedicente Stato islamico, ma del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, alias Mbs, il mandante neppur troppo occulto dell’omicidio e dello smembramento del giornalista e oppositore Jamal Khashoggi, attirato in trappola nel consolato saudita di Istanbul e lì ammazzato e smembrato.
Fuggito in Canada nel 2017, perché preoccupato per la propria vita, lasciando però in brutte acque la propria famiglia – ha otto figli -, l’ex agente saudita denunciò, nel 2018, un piano per ucciderlo: da Riad, sarebbe una partita una squadra di sei persone per attirarlo nel consolato; una replica, anzi una prova generale, di quanto sarebbe accaduto a Khashoggi a inizio ottobre di quell’anno.
Aljabri era fra gli interlocutori sauditi ritenuti più affidabili dalla Cia nella lotta al terrorismo; ed è tuttora ritenuto affidabile, perché ha contribuito a salvare molte vite di cittadini Usa, intercettando piani di Al Qaeda. A Riad, era l’uomo di fiducia di Mohammed bin Nayef, quando questi era l’erede al trono: oggi ha figli in carcere – una mossa che fu persino criticata da Donald Trump, che pure non si faceva scrupolo di avere come interlocutore Mbs – e sollecita l’aiuto degli Stati Uniti, per sé e per loro; in cambio, li mette in guardia contro il percolo che Mbs rappresenta. Anche se tutti sanno che la verità è merce rara nel triangolo formato da spie, despoti e Medio Oriente.
Quando Aljadri definisce il principe ereditario “uno psicopatico”, Scott Pelley, l’intervistatore, interloquisce: “Uno psicopatico?”. Aljabri insiste: “Uno psicopatico senza empatia, che non prova emozioni… Siamo stati testimoni delle atrocità e dei crimini commessi da questo assassino”.
Nell’intervista alla Cbs l’ex 007 racconta di come bin Salman parlando con bin Nayef, quando i due ancora s’intendevano, avesse prospettato un piano per uccidere l’allora re Abdullah con un anello al veleno: per farlo fuori, bastava che il monarca sfiorasse la gemma al dito del principe. Intrigo degno d’una Shahrazad saudita e d’una versione delle Mille e una notte ambientata a Riad, non a Baghdad.
Poi, le cose tra Mbs e bin Nayef peggiorarono e precipitarono: dopo la morte di Abdullah e l’ascesa altrono di Salman, Mbs sottrasse al rivale il titolo di erede al trono e nel 2017 lo arrestò. Aljabri, legato a Nayef, avvertì il pericolo e fuggì. Di conseguenza, sua figlia Sarah e suo figlio Omar, invece d’andare a studiare negli Usa, finirono in una prigione saudita, come pure suo genero, sequestrato in un Paese terzo e portato in Arabia saudita. “La prima notte – racconta Khalid Aljabri, il figlio maggiore di Saad – fu torturato e ricevette oltre cento frustate. I suoi aguzzini gli chiesero chi dovevano rapire e torturare per indurre mio padre a tornare”.
L’intelligence statunitense è stata colta di sorpresa dalla decisione di Aljabri di uscire allo scoperto e di dare un’intervista: “Se lo ha fatto, vuol dire che è disperato”, dice alla Cbs una fonte della Cia. L’ex 007 saudita iniziò la sua carriera da poliziotto, ma si fece strada nei servizi segreti e acquisì pure un dottorato in intelligenza artificiale. Vi sono sue immagini nello Studio Ovale, incontrava ambasciatori e comandanti militari statunitensi e Michael Morell, l’ex direttore ad interim della Cia.
Proprio Morell, alla Cbs, dichiara la sua ammirazione per lui: “E’ un uomo eccezionalmente brillante e incredibilmente leale al suo Paese”. La giustizia saudita, però, lo accusa di corruzione; quella di Mbs, più spiccia, progetta di eliminarlo: forse sa troppe cose, certo più di quelle raccontate alla Cbs.