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Usa: Biden, welfare, green, Cina, tante spine per una presidenza

Scritto per La Voce e il Tempo uscita il 21/10/2021 in data 24/10/2021 e, in versioni diverse, per il Corriere di Saluzzo del 21/10/2021 e per il blog di Media Duemila pubblicato il 21/10/2021 https://www.media2000.it/ue-usa-biden-un-presidente-che-trascura-latlantico-e-incendia-il-pacifico/

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A sentire lui, sembra che tutto vada a gonfie vele: “E chiaro che la nostra economia sta tornando alla normalità” dopo la pandemia, “nonostante le sfide poste dalla variante Delta”, dice il presidente Usa Joe Biden, citando, tra i “segnali di progresso”, il calo delle richieste di disoccupazione settimanali scese sotto quota 300 mila per la prima volta da inizio contagio, la riduzione più veloce della disoccupazione dal 1948, con i 600 mila nuovi posti di lavoro creati dal suo insediamento, la diminuzione dei casi di Covid in 39 Stati su 50 e la riduzione dei non vaccinati a 66 milioni – a luglio erano quasi 100 -.

“Stiamo andando nella giusta direzione”, afferma il presidente. Ma i sondaggi gli sono sfavorevoli: secondo la Quinnipac University, solo il 38% degli americani ne approva l’operato, in calo rispetto al 42% di settembre e al 50% di inizio mandato. E i problemi in prospettiva s’accumulano, in vista del test politico del 2 novembre, quando Virginia e Louisiana eleggeranno i loro governatori, mentre New York sceglierà il suo nuovo sindaco.

La corsa in Virginia è la più significativa ed è estremamente incerta, a un anno da voto di midterm del 2022, che rischia di trasformare il presidente in un’anatra zoppa, se dovesse perdere il controllo di uno dei rami del Congresso – il Senato è in biblico, 50 a 50 -.

Fra le grane interne, il braccio di ferro legale e legislativo con gli Stati repubblicani più conservatori sull’aborto e sul diritto di voto; il negoziato non ancora concluso con il Congresso su come finanziare i programmi di investimento per rilanciare l’economia dopo la pandemia; e la questione dei migranti, con la pressione al confine con il Messico.

Senza contare i fronti internazionali: il confronto a tutto campo con la Cina, in attesa d’un bilaterale, sia pure virtuale, entro fine anno, con il presidente cinese Xi Jinping; e gli impegni da assumere o confermare al Vertice del G20 di Roma a fine mese e alla conferenza di Glasgow sull’ambiente, nella prima metà di novembre. Intanto, l’Atlantico torna ad allargarsi, perché gli alleati europei degli Stati Uniti vedono deluse, se non tradite, parte delle speranze riposte nel nuovo presidente. Invece, sta rapidamente svanendo nel passato la caotica fine di vent’anni di guerra in Afghanistan, che lascia, però, una traccia nei sondaggi.

Un risultato positivo è stato il via libera della Camera e del Senato all’accordo per innalzare il tetto del debito di 480 miliardi di dollari fino al 3 dicembre ed evitare così quella che sarebbe stata tecnicamente una bancarotta. Alla Camera, il provvedimento è passato con 219 sì democratici, mentre 206 repubblicani hanno votato no: non ci sono state defezioni né in un campo né nell’altro.

Il presidente ha così potuto firmare la misura prima del 18 ottobre, quando il Tesoro calcolava che l’Unione non sarebbe più stata in grado di onorare gli impegni e sarebbe scattato lo shutdown, cioè la serrata dei servizi pubblici.

Il fuoco amico dei senatori democratici riluttanti su spesa ed energia
In proposito, il New York Times osserva, con qualche enfasi, che “il fato del pianeta può dipendere da un singolo senatore”, l’irriducibile ‘democratico anomalo’ della West Virginia Joe Manchin. Lui e la senatrice dell’Arizona Kyrsten Sinema sono le spine conservatrici nel fianco democratico: senza i loro voti, nulla passa, in un Senato polarizzato 50 a 50; ma, per ottenere i loro voti, Biden e la sua Amministrazione devono spesso deludere la sinistra e rischiano di perderne l’appoggio.

Entrambi sono restii ad aumentare la spesa pubblica e proni a ridurre i costi sociali – atteggiamenti tipicamente repubblicani -. Manchin, inoltre, frena l’’agenda verde’ dell’Amministrazione Biden: “sarebbe – scrive il NYT – un guaio per la conferenza di Glasgow e per la lotta sul clima”.

Manchin, 74 anni, senatore dal 2011 dopo essere stato governatore dello Stato, e la Sinema, 44 anni e al primo mandato, hanno le loro ragioni: vengono entrambi da Stati repubblicani e devono rendere conto ad elettorati conservatori. Manchin, la cui West Virginia vive sulle miniere di carbone, è contrario ai programmi di Biden sull’elettricità, che mirano a eliminare i combustibili fossili premiando le imprese che producono energia verde – vento, sole, nucleare – e penalizzando le altre. E’ una componente essenziale dell’obiettivo Usa di ridurre le emissioni del 50/52% rispetto al 2005 entro il 2030. Se la situazione non si sblocca, gli Stati Uniti dovranno ridimensionare i loro annunci alla Cop26 scozzese.

Le pressioni di Manchin e della Sinema stanno giù sortendo i loro effetti: martedì 19 ottobre, Biden ha informato i parlamentari democratici di avere ridimensionato da 3.500 a 1.900 miliardi di dollari (un taglio quasi del 50%)  i programmi di spesa straordinari ‘post-pandemia’: i piani per sanità, istruzione e ambiente restano sostanzialmente immutati, ma altri interventi sociali sarebbero rinviati o ridimensionati.

L’ombra di Trump e l’inchiesta sui fatti del 6 gennaio
Sulla politica statunitense, continua ad allungarsi, dall’opposizione, l’ombra dell’ex presidente Donald Trump, che mantiene una forte presa sul partito repubblicano e che torna a farsi vivo proprio ora che le indagini del Congresso sui tumulti del 6 gennaio arrivano alla stretta conclusiva, con la convocazione a testimoniare – contestata – del magnate e del suo ex guru Steve Bannon.

Quel giorno, una folla di sostenitori del magnate, aizzati dall’allora presidente, invase il Congresso cercando di costringere deputati e senatori ad alterare il risultato elettorale, perché il voto sarebbe stato truccato – asserzione che non ha trovato alcun riscontro -.

Il 9 ottobre, Trump è tornato a parlare in pubblico a Des Moines, la capitale dello Iowa, lo Stato che nel 2024 aprirà la stagione delle primarie presidenziali – una circostanza che potrebbe testimoniare la volontà del magnate di ricandidarsi -. E’ stato un bagno di folla osannante per l’ex presidente, che ha sfoderato tutto il suo repertorio di collaudate bufale: prima le accuse infondate di brogli elettorali e poi la tesi che il Covid è un inganno, “c’è più gente che muore di Covid nel 2021 che nel 2020, nonostante ora ci sia il vaccino” – il che ne prova eventualmente la pericolosità, non l’inesistenza -, mentre i suoi fan scandivano ‘Trump won’, `Trump ha vinto’, e ‘We want Trump’, `Noi vogliamo Trump’.

Il magnate ha attaccato Biden e i democratici per l’intenzione di aumentare le tasse e di approvare “la spesa più alta della storia americana” con i due piani per infrastrutture – già approvato – e welfare – quello di cui si discute -, originariamente vicini ai 5.000 miliardi di dollari.

“Biden e i radicali di sinistra – ha detto l’ex presidente – stanno portando il Paese sul baratro. I cinesi ci stanno rubando il lavoro, i talebani hanno ripreso l’Afghanistan, ora l’America non è più grande”, riproponendo il suo vecchio slogan adattato ‘Make America Great Again Again’.

Trump ha poi profetizzato che al voto di midterm del 2022 i repubblicani riprenderanno il controllo di Camera e Senato, auspicando che “passino ovunque leggi per rendere le prossime elezioni corrette e regolari” – gli Stati repubblicani stanno limitando l’accesso al voto delle minoranze, che, tendenzialmente, votano democratico -.

Del resto, la relativa assenza di Trump dalla scena politica diminuisce l’attenzione degli americani per quanto avviene a Washington e nel Congresso. Ne fanno le spese i network televisivi all news, che vedono la loro audience crollare. Secondo i più recenti dati della Nielsen, l’audience primetime della Cnn è scesa del 52% nel terzo trimestre fra i telespettatori di età compresa fra i 25 e i 54 anni, la fascia cui la pubblicità presta più attenzione; per la MsNbc, il calo è stato del 51%; la Fox, invece, è riuscita a contenere le perdite al 37%.

Analisti televisivi spiegano: “Dopo il balzo dell’era Trump, si naviga ora in acque inesplorate. E’ molto improbabile che si assista a un altro balzo simile a quello 2020 nei prossimi dieci anni”. L’anno scorso, di questi tempi, le sortite di Trump e la campagna elettorale tenevano incollati alla tv milioni di americani, costretti a casa dalla pandemia.

Il compromesso che evita lo shutdown
In questo quadro in chiaro scuro, il compromesso sul bilancio raggiunto la scorsa settimana rappresenta una boccata di ossigeno per Biden, “la prima buona notizia – scrive Ugo Caltagirone, corrispondente dell’ANSA dagli Usa – dopo settimane tormentate”. C’è dunque di che essere moderatamente soddisfatti alla Casa Bianca, anche se – sottolinea Caltagirone – “è davvero presto per intravvedere una schiarita dopo un periodo nero caratterizzato dal caotico ritiro dall’Afghanistan e dalla pandemia che continua ad attanagliare gli Stati Uniti, da una vera e propria crisi umanitaria al confine con il Messico e dalla difficoltà del presidente di far avanzare la sua agenda economica”.

Chuck Schumer, leader della maggioranza democratica al Senato, ha annunciato l’accordo sul tetto del debito, che sarà temporaneamente innalzato fino ai primi di dicembre, evitando una bancarotta che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche non solo sull’economia Usa, ma sull’intera economia mondiale. L’intesa è stata resa possibile da un passo indietro dei repubblicani che per il momento hanno deciso di ammorbidire la linea dell’ostruzionismo ad oltranza. Segno che i moniti ripetutamente lanciati da Biden hanno sortito qualche effetto. Il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell ha però avvertito la Casa Bianca che non si presterà a ulteriori aumenti del tetto del debito.

Sul piatto sono stati dunque messi altri 480 miliardi di dollari, innalzando il limite del debito che era fissato a 29 mila miliardi di dollari. Biden ha così conquistato altri sette settimane per condurre in porto la sua agenda economica, a partire dal ‘maxi-piano’ di spesa post-pandemia, quello che però non piace a Manchin e alla Sinema. Sperando che, nel frattempo, non esplodano altre crisi, internazionali, migratorie o, sul fronte interno, per l’aborto dov’è atteso un pronunciamento cruciale della Corte Suprema.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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