Dall’invasione dell’Iraq nel 2003, Muqtada al-Sadr è forse l’unico leader iracheno costantemente rimasto in primo piano sulla scena politica, senza però avere mai un ruolo di punta istituzionale. Forse, questa sarà la volta buona: considerato favorito alle elezioni legislative in Iraq, il movimento del clerico sciita rivendica ora di essere primo nel Parlamento di Baghdad con oltre 70 seggi, pare 73 su 328 – un quarto in più dei 54 che aveva alla fine della legislatura appena conclusasi -.
I risultati sono ancora provvisori, ma un funzionario della commissione elettorale irachena assicura all’Afp che il movimento sadrista è “davvero in testa”, secondo i dati preliminari. Ancora giovane – ha 47 anni -, al-Sadr è fondatore e capo dell’Esercito del Mahdi, una milizia creata nel giugno 2003 per combattere le forze di occupazione in Iraq.
Circa tremila candidati, fra cui 900 donne, si contendevano i seggi del parlamento federale – novità, una quota rosa di 83 seggi, uno per ogni collegio elettorale -. Il primato conseguito alle urne consentirà ad al-Sadr di avere un grande peso nelle trattative sulla composizione del futuro governo e la designazione del premier, che s’annunciano come sempre laboriosi – possono durare mesi -.
La frammentazione dei seggi in Parlamento e l’assenza di una chiara maggioranza costringe i partiti a negoziare alleanze a più voci.
Le elezioni di domenica, indette in anticipo dal governo del premier Moustafa al-Kazimi per placare l’ondata di proteste sviluppatesi dal 2019 per il malcontento della popolazione contro la corruzione e il malfunzionamento dei servizi pubblici, sono state le quinte dal 2003, dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, e le seconde dopo la sconfitta del sedicente autoproclamato Stato islamico, l’Isis.
L’Iraq è oggetto delle attenzioni di Iran e Usa, entrambi sostenitori del premier uscente. L’incarico, tradizionalmente, spetta a un musulmano sciita – al-Sadr, quindi, avrebbe il profilo giusto -. Sullo sfondo dei negoziati che stanno per aprirsi, c’è un Paese deluso dalla politica – l’affluenza alle urne è stata appena superiore al 40%, peggio che nel 2018, quando aveva votato quasi il 45% degli oltre 24 milioni di potenziali elettori – e alle prese con scarsità d’approvvigionamento idrico, elettrico, petrolifero e di generi alimentari. Le sommosse, scoppiate a più riprese, sono state represse nel sangue e con la violenza.
Sia il premier al-Kazemi sia il Grand Ayatollah Ali Sistani, maggiore autorità sciita dell’area, avevano invitato i cittadini a recarsi alle urne. Anche la regione autonoma del Kurdistan contesta, ormai, i partiti tradizionali legati agli storici clan curdi da decenni al potere e legati rispettivamente alla Turchia e all’Iran.
Il partito Taqadom, dell’influente presidente del Parlamento Mohamed al-Halboussi, un sunnita, afferma di avere conquistato “oltre 40 seggi in Parlamento”. E l’Alleanza per lo Stato di diritto dell’ex premier Nouri al-Maliki conta per sé 37 seggi. La coalizione Hachd al-Chaabi, vicina all’Iran, che era la seconda forza del Parlamento uscente, sembra invece in declino, ma rimane attore chiave nello spettro politico.
L’Iran ha tutta l’intenzione di continuare ad avere un peso nelle vicende interne iracheno. E gli Usa mantengono in Iraq 2500 militari, di cui il Parlamento di Baghdad chiese a vuoto il ritiro dopo l’uccisione con un drone a Baghdad del capo dei Pasdaran iraniani Qasem Soleimani.
L’Iran vuole promuovere una cooperazione regionale con Iraq, Siria e Giordania, con l’obiettivo “d’una maggiore stabilità a livello regionale, nonché di una crescita economica”. E’ quanto emerge dai contatti del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian con i colleghi giordano Ayman Safadi e siriano Faisal Mekdad – atteso a Teheran, dopo che Amirabdollahian è stato a Damasco e ha visto il presidente Bashar al-Assad -.
Amirabdollahian promuove attivamente la politica estera del nuovo presidente Ebrahim Raisi. E l’Iraq è un Paese chiave della regione: il secondo maggiore produttore di petrolio del Medio Oriente e il Paese dell’area più colpito dalla pandemia.
Intanto, l’Iraq ha ieri annunciato l’arresto “fuori” dai propri confini di un alto esponente dell’Isis, Sami Jasim al-Jaburi, un responsabile finanziario dell’organizzazione jihadista ricercato dagli Usa, che avevano posto sulla sua testa una taglia di cinque milioni di dollari. Le circostanze e il luogo della cattura non sono note.