Botta e risposta Pechino / Taipei: Xi Jinping parla a nuora (la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen) perché suocera (il presidente Usa Joe Biden) intenda. Taiwan – ammonisce il presidente cinese – è “una questione interna alla Cina e non ammette interferenze esterne”. L’occasione è l’anniversario dei 110 anni dalla Rivoluzione cinese del 1911, quella che segnò la fine dell’Impero.
La Cina riattizza la ‘questione taiwanese’, di solito tenuta in sonno, ma mai risolta, come monito ogni qual volta c’è una situazione di tensione nel Mar cinese meridionale o nei rapporti con gli Usa. E le ultime settimane sono state zeppe di segnali in tal senso, dalla creazione dell’Aukus, l’alleanza nel Pacifico tra Usa, Australia e Gran Bretagna in funzione anti-cinese, all’inasprimento dei toni di Washington verso Pechino.
Per contro, secondo Taiwan, quasi 150 aerei militari cinesi hanno violato la sua zona di difesa aerea all’inizio di ottobre, con un picco di 56 unità lunedì 4, fra cui bombardieri con capacità nucleare: attività finalizzate a logorare le forze armate taiwanesi testandone la capacità di risposta.
L’escalation delle tensioni potrebbe stemperarsi dopo il vertice bilaterale virtuale entro fine anno concordato tra Biden e Xi, che dovrebbero pure partecipare entrambi al Vertice del G20 sotto presidenza italiana il 30 e 31 ottobre. L’accordo di massima sul bilaterale Biden – Xi è stato annunciato dopo un ‘incontro di sei ore tra il consigliere alla sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il capo della diplomazia del Partito comunista Yang Jiechi. E un segnale di distensione – o almeno di dialogo – per stabilire dei ‘guardrail’ nelle crescenti tensioni tra le due superpotenze in una sfida tra democrazia e autocrazia che ha spinto la Cia a riorganizzarsi concentrandosi sul Dragone.
Taiwan è un’isola che a lungo chiamammo Formosa: 36 mila kmq, è grande come il TriVeneto ed ha quasi 23 milioni di abitanti, a 180 km dalle coste della Cina continentale, che ha un miliardo e 350 milioni di abitanti e una superficie pari quasi a quella di tutta l’Europa, 9.573.000 kmq.
L’isola fu l’ultimo rifugio del Kuomintang di Ciang Kai-shek, sconfitto dai comunisti di Mao Tse-tung nella guerra civile dal 1946 al 1950. Da allora, Pechino ne rivendica la sovranità –l’arcipelago era cinese dal 1895, dopo essere stato strappato ai giapponesi-, mentre Taipei pretende di costituire la Cina legittima – e fino al 1971 lo fu, almeno all’Onu -. Ma ormai sarebbe già contenta di vedere riconosciuta la propria indipendenza: solo 15 Paesi al Mondo hanno stretto relazioni diplomatiche – fra gli altri, il Vaticano, ma non gli Usa e nessun Paese Ue -.
Xi dice: “Il secessionismo di Taiwan è il più grande ostacolo alla riunificazione nazionale … che si farà”. E aggiunge: “La riunificazione nazionale con mezzi pacifici serve al meglio gli interessi della nazione cinese nel suo insieme, compresi i connazionali di Taiwan”. “I compatrioti di qua e di là dello Stretto di Taiwan dovrebbero stare dalla parte giusta della storia … Nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione, la volontà e la capacità del popolo cinese nel salvaguardare sovranità e integrità territoriale”.
Washington, che non riconosce Taiwan, ma le fornisce armi per difendersi da un eventuale attacco, tace. La replica di Taipei è flebile: “Solo i 23 milioni di taiwanesi hanno diritto di decidere il futuro e lo sviluppo” dell’isola, dice il Consiglio per gli affari con la Cina. L’isola si “sforzerà di mantenere lo status quo di pace e stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan”, si legge in una nota, che invita Pechino ad abbandonare le misure provocatorie e a pensare sempre più apertamente alla chiave dell’interazione tra “pace, reciprocità, democrazia e dialogo”.
Al sussulto di tensioni degli ultimi giorni ha anche contribuito uno scoop del Wall Street Journal, che ha rivelato che unità delle forze speciali Usa e due dozzine di marines sono da almeno un anno a Taiwan per addestrare in segreto le truppe locali. La presenza dei militari non viola i patti in atto tra Washington e Pechino, ma la Cina ha subito fatto sapere che adotterà “tutte le misure necessarie per salvaguardare la sua sovranità e l’integrità territoriale”. Il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian invita gli Usa “a riconoscere l’elevata sensibilità della questione di Taiwan, ad attenersi al principio della ‘Unica Cina’, a interrompere la vendita di armi all’isola e i contatti militari in modo da non danneggiare seriamente relazioni bilaterali, pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”.
La presenza dei militari appare una conferma dei timori di Washington per un possibile attacco all’isola ed è indice di un cambio di atteggiamento degli Usa, rispetto alle dichiarazioni congiunte Usa-Cina del 1972, del 1979 e del 1982, alle base dei rapporti bilaterali. Gli Stati Uniti non hanno mai promesso alla Cina di non mettere truppe a Taiwan, ma il comunicato congiunto di Shanghai del 1972, legato alla storica visita di Richard Nixon e all’incontro con Mao, “pone l’obiettivo finale del ritiro di tutte le forze e le installazioni militari statunitensi da Taiwan man mano che la tensione nell’area diminuisce”. Le ultime truppe americane lasciarono Taiwan nel 1979 e il loro ritiro spianò la strada alle piene relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, a spese di Taipei. Gli Stati Uniti restano però impegnati alla difesa di Taiwan e le forniscono, fra l’altro, missili e aerei da combattimento.