C’è la legge della sharia. E, per fare un governo, ci sono le leggi meno drastiche della politica e della gestione del potere: prevedono di avere alleati per acquisire legittimità, allargare il consenso e garantirsi risorse, con cui mandare avanti un Paese. La priorità in queste ore resta la sicurezza, come tragicamente dimostrato dall’attentato di giovedì nei pressi dell’aeroporto. Ma le casse vuote sono un incubo per chi dovrà governare.
I talebani attendono che gli americani completino il ritiro per annunciare il loro esecutivo. Ma già si può provare a ricavare indicazioni dalle nomine ad interim, anche se dietro i nomi spesso c’è solo un volto e magari neppure quello – di Mohammad Yakub, figlio del mullah Omar, il mitico leader degli Anni 90, non esiste una foto: guida la commissione militare -.
Il capo del movimento è Haibatullah Akhundzada, designato dopo che il suo predecessore fu ucciso da un drone nel 2016. Il suo ruolo pare però circoscritto alle questioni della Jihad e ci sono dubbi sullo stato di salute.
Il leader politico, al momento, pare essere Abdul Ghani Baradar, rilasciato nel 2018 da una prigione in Pakistan su richiesta di Washington per partecipare ai negoziati di pace in Qatar e oggi perno delle trattative per la formazione del nuovo governo, che tutti assicurano sarà “inclusivo”. Baradar è appena rientrato in Afghanistan, passando per Kandahar, la roccaforte del movimento, prima d’arrivare a Kabul.
La scelta più importante finora fatta è quella del ministro della Difesa: il mullah Abdul Qayyum Zakir, il prigioniero numero 8 del carcere di Guantanamo, catturato nel 2001 e trasferito sei anni dopo in Pakistan, dove nel 2008 venne rilasciato – si ignora perché -. Talebano della prima ora, Zakir, 48 anni, sarebbe stato emarginato per un certo periodo perché ostile alla linea ‘trattativista’, ma da un anno e mezzo era il vice di Yakub.
Sul fronte finanziario, dove bisogna pagare gli stipendi a funzionari e dipendenti pubblici, oltre che a miliziani e apparati di sicurezza, Mohammad Idris è il nuovo governatore della Banca centrale, dopo la fuga all’estero del suo predecessore Ajmal Ahmady. Ignoto nel mondo della finanza, finora era capo della commissione economica: deve gestire, insieme al ministro delle Finanze designato, Gul Agha, amico d’infanzia del mullah Omar, oggetto di sanzioni dell’Onu, questa fase difficile, zero risorse e inflazione galoppante.
Scelte sono state pure fatte per l’Interno, l’intelligence, l’Istruzione, e per le amministrazioni locali, a partire dalla capitale. A Kabul sono stati scelti due figure storiche: Hamdullah Nomani, sindaco – lo fu già dal 1996 al 2001 -, e il mullah Shirin Akhund, governatore. Gli analisti notano che molte delle posizioni assegnate sono andate a personaggi che arrivano dalle province del Sud di Helmand e Kandahar, roccaforti dei fondamentalisti.
Sul fronte politico, le novità sono contrastanti. Mentre si lavora ad allargare la base del governo, due figure dell’ ‘ancien régime’, l’ex presidente Ahmed Karzai e Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, e già vice e rivale del presidente fuggiasco Ashraf Ghani, sarebbero di fatto ai domiciliari, dopo che i talebani – dice la Cnn – hanno disarmato le loro scorte.
Infine, pure sul fronte della resistenza ci sono indicazioni contraddittorie: il fratello del leggendario comandante anti-talebani Ahmad Shah Massoud dice che la resistenza cresce nel Panshir, nel Nord, sotto il comando del figlio di Massoud, Ahmad. I talebani, invece, parlano di colloqui che si sono svolti a Charikar e che sarebbero stati “proficui”.