Assediato dalle critiche, attaccato dai repubblicani e messo sotto torchio dai democratici, Joe Biden cerca di riscattarsi dal torpore con cui ha reagito alla presa di potere drammatica dei talebani, dopo il precipitoso ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan. A dargli una mano, c’è la relazione, che resta privilegiata, accada quel che accada, tra Stati Uniti e Gran Bretagna: il premier britannico Boris Johnson, oggi, da presidente di turno del Vertice straordinario del G7, gli chiederà di fare slittare il ritiro delle truppe che restano a Kabul oltre il 31 agosto, perché l’evacuazione possa essere completata.
E’ quel che Biden vuole, anche se i talebani mettono paletti: “Se Washington o Londra vogliono guadagnare tempo, ci saranno conseguenze”, avverte a Doha uno dei loro negoziatori: un modo, probabilmente, di tirare sul prezzo. Anche se il ponte aereo ha già portato fuori dall’Afghanistan oltre 30 mila persone, restano da evacuare decine di migliaia di americani – “un numero fluido”: nessuno lo sa con precisione – e le eventuali estensioni della deadline e del perimetro di sicurezza dell’aeroporto vanno negoziate.
In funzione della trattativa, Biden riesuma l’arma delle sanzioni: è pronto ad usarle, se i talebani non rispetto i diritti, specie delle donne, e ne parlerà al G7. E Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale, indica l’intenzione di illustrare ai talebani quali saranno “i costi o gli incentivi” dei loro comportamenti e quali sono “le aspettative” degli Usa.
Il Pentagono, per ora, non inasprisce i toni: il portavoce John Kirby afferma che i militari provano “a stare nei tempi e negli spazi concordati”. Manca “un inventario dell’equipaggiamento, delle armi e dei mezzi a disposizione dell’esercito afghano caduti nelle mani dei talebani”: “Molto materiale – si precisa – era già stato ritirato o distrutto”, prima della rotta.
Per Biden è più duro cavarsela sul fronte interno che negoziare con i partner internazionali – tutti portano le stimmate della sconfitta e della superficialità con cui è stato gestito il fine missione –: l’opinione pubblica Usa era ed è favorevole al ritiro delle truppe dall’Afghanistan, ma non pensava che il ritiro divenisse una Beresina e che vent’anni di guerra svanissero in una ventina di giorni. E la popolarità del presidente scende per la prima volta sotto il 50%, al 46%, dal 61% di aprile.
Biden stesso è parso sorpreso dalla piega degli eventi: è tornato a essere lo ‘Sleepy Joe’ dileggiato in campagna elettorale da Donald Trump. Ora, nota la Cnn, sta cercando di offrire “un’immagine più reattiva”: parla tutti i giorni, con discorsi alla Nazione, interviste, conferenze stampa; e accelera l’esodo mobilitando le compagnie aeree civili – c’è una legge già usata per il ponte aereo di Berlino e per portare le truppe in Iraq nel 2003 –.
Per i media Usa, è l’ora degli esami di coscienza: sul Washington Post, Ishaan Tharoor osserva che la crisi afghana “mette in rilievo il mutare del ruolo – e pure del peso, ndr – degli Usa nel Mondo”; sul New York Times, Frank Bruni denuncia la “perdurante arroganza” della politica internazionale degli Stati Uniti. La stampa liberal è dura con l’Amministrazione Biden: non si contesta la decisione di ritirarsi dall’Afghanistan, ma come essa è stata realizzata. Barack Obama, un corresponsabile, resta in silenzio. La stampa di destra non infierisce: Biden ha sbagliato, ma Trump fece l’accordo con i talebani senza rete di sicurezza. Il magnate ex presidente, ovviamente, non se ne fa carico: “Quello che sta accadendo a Kabul – dice – è una vergogna, una macchia enorme”.
“Gli Usa – scrive Fawaz A. Gerges sul WP – devono resistere alla tentazione di sparare prima e fare domande dopo … Questa è stata la ricetta per il disastro in Vietnam, Iraq, Afghanistan e non solo … I nostri leader devono liberarsi di un impulso crociato e di un complesso di superiorità morale negli affari internazionali che ha fatto più male che bene alla Nazione” e che “ha alimentato il terrorismo che voleva distruggere”. La nuova priorità è “l’obbligo morale” nei confronti di rifugiati afghani.
Biden, che ha vissuto una settimana “straziante”, assicura che la “difficile e dolorosa evacuazione” si sta accelerando, ma ignora quanto tempo ci voglia per completarla. L’operazione è rischiosa: l’Isis – dice l’intelligence – costituisce “una seria minaccia” per la gente assiepata all’aeroporto. Non si esclude che la sparatoria di ieri sia stata un atto terroristico.
In missione in Asia, la vice di Biden Kamala Harris cerca di rassicurare gli alleati sull’affidabilità degli Stati Uniti, che restano – dice – “un leader globale”, e insiste che l’attenzione si deve ora concentrare sull’evacuazione.
Le tensioni rischiano di compromettere la realizzazione delle priorità interne dell’Amministrazione, che aveva ottenuto l’avallo bipartisan al piano di rilancio dell’economia attraverso investimenti nelle infrastrutture e che voleva fare passare altri due grossi pacchetti di misure economiche e finanziarie. Ma la politica s’interroga se sia il momento di fare concessioni al presidente.