Dalle province, dov’era già esplosa mercoledì, la protesta anti-talebani raggiunge Kabul: centinaia di persone, armate solo del loro coraggio, hanno ieri manifestato presso il palazzo presidenziale. E dopo i morti di Jalalabad, ve ne sono stati altri – almeno quattro – ad Asadabad, nell’Est dell’Afghanistan. L’insegna della protesta è la bandiera afghana, che i talebani vogliono sostituire con il loro vessillo bianco con caratteri arabi in nero.
La sfida del popolo è una delle prove che gli ‘studenti’ devono superare per riuscire a gestire l’Afghanistan, dopo avere dimostrato, negli ultimi vent’anni, di sapere condurre con successo un’insurrezione.
Ieri, era stata proclamata la Giornata dell’Indipendenza, per celebrare la vittoria sull’ “arroganza delle potenze mondiali”. Al di là dei fremiti di protesta per la bandiera, e della situazione intorno all’aeroporto, Kabul è stata sostanzialmente calma: l’ospedale di Emergency registra l’arrivo di feriti, ma meno che nei giorni precedenti – e tutti provenienti dall’aeroporto -.
Però, giungono testimonianze di episodi di caccia ai collaboratori degli americani e rastrellamenti. E il video di una giornalista cui è stato impedito l’accesso alla redazione, Shabnam Dawran, è divenuto virale.
Fuori dell’aeroporto, i talebani usano la forza per bloccare o limitare l’esodo: mamme hanno lanciato i loro bambini oltre il filo spinato, perché i soldati che presidiano lo scalo li raccogliessero. Dentro l’aeroporto, il cui cielo è pattugliato da caccia Usa, non tutti trovano posto sui voli in partenza: finora sono state evacuate circa 7.000 persone, ma si calcola che solo i cittadini statunitensi da portare via siano tra gli 11 e i 15 mila. Usa, Nato e Ue coordinano le operazioni del ponte aereo: ieri ci sono stati decolli verso Italia – 202 gli sbarcati a Fiumicino, altri 198 in arrivo -, Spagna, Turchia, Usa.
Mosca si dice pronta a portare gli afghani che vogliono andarsene in Paesi che vogliano accoglierli. L’Uzbekistan ha già ricevuto 1500 profughi, il Pakistan ne ospita da anni milioni.
Joe Biden fa sapere che le truppe Usa potrebbero restare oltre la data limite del 31 agosto, se fosse necessario per evacuare tutti gli americani e i loro collaboratori. A Washington, s’è impantanati nelle polemiche sulla gestione dell’esodo. L’intelligence insiste: avevamo avvertito che il governo afghano si sarebbe dissolto, una volta che le nostre truppe se ne fossero andate.
Ma la rapidità del collasso non era stata prevista né dagli 007 né dai militari né dai politici: sono così andate perdute settimane che potevano essere dedicate a un esodo ordinato. Il presidente si assume la responsabilità del ritiro: “Lo avrei fatto anche senza l’intesa siglata da Donald Trump … E i militari non erano contrari”. I leader del Congresso gli hanno chiesto un briefing riservato, che ci sarà oggi virtuale e martedì in persona.
E mentre ci si interroga sulle conseguenze politiche del disastro afghano sulla presidenza Biden – una maggioranza di americani continua a condividere la decisione di venire via dall’Afghanistan, anche se depreca il modo -, emerge nelle consultazioni internazionali la priorità umanitaria, quello che il Washington Post chiama “l’obbligo morale” nei confronti dei rifugiati afghani.
L’Ue annuncia lo stop ai fondi per lo sviluppo dell’Afghanistan, in attesa di vedere quale sarà l’assetto di governo a Kabul, e ipotizza il ricorso a una direttiva del 2001 mai usata per l’accoglienza dei richiedenti asilo in circostanze eccezionali. Bruxelles non vuole lasciare la gestione del rapporto con i talebani a Cina e Russia che appaiono meglio piazzate dell’Occidente con gli ‘studenti’.
La Cina fa sapere che ‘questi’ talebani, rispetto a quelli cacciati dal potere vent’anni or sono, sono “più sobri e razionali”. La Russia lavorava da anni metodicamente a costruire le basi di relazioni con i talebani, che pure, ufficialmente, considera ancora un’organizzazione terroristica, e insiste perché s’arrivi a un governo inclusivo – una formula a tutti gradita -. Anche la Turchia fa sapere di volere agire d’intesa con la comunità internazionale, ma poi il presidente Erdogan si dice pronto a incontrare il governo dei talebani (e esclude di prestarsi a fare da hub dei richiedenti asilo nell’Ue, com’è avvenuto con i profughi siriani – un modo di tirare sul prezzo -).