Anche un campione dei diritti dell’uomo come il premier canadese Justin Trudeau avverte il fascino – non troppo discreto – dei soldi e del petrolio sauditi. L’immagine di Trudeau, già molto sbiadita per i conflitti energetici con i nativi canadesi, esce ulteriormente macchiata da un rapporto redatto da organizzazioni umanitarie: il Canada – è l’accusa – vende ai sauditi armi utilizzate nel conflitto nello Yemen e viola le leggi internazionali. Amnesty International e altri movimenti chiedono, dunque, la revoca delle licenze di export già concesse verso il regno saudita e il blocco delle nuove.
In ballo, c’è un contratto da 12 miliardi di dollari, che riguarda veicoli blindati leggeri, negoziato dal premier Stephen Harper, ma avallato da Trudeau. L’export di armi dal Canada al regno saudita ha superato nel 2020 il miliardo di dollari, secondo dati ufficiali: al Mondo, solo gli Usa vendono più armi ai sauditi. La cifra rappresenta i due terzi del totale di export di armi canadese, senza contare le vendite agli Usa.
Nel loro rapporto, le organizzazioni umanitarie accusano il governo Trudeau di violare l’Arms Trade Treaty (ATT), un accordo internazionale cui il Canada aderisce dal 2019.
La difesa di Ottawa è debole: tutto avviene nel rispetto delle leggi del Paese, i contratti sono vecchi e le procedure di concessione delle licenze sono state riviste alla luce delle responsabilità saudite nell’eliminazione del giornalista e oppositore Jamal Khashoggi, ucciso e sembrato nell’ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul.
Però, a Ottawa nessuno ha il cattivo gusto di trincerarsi dietro presunti “rinascimenti sauditi”. Come non lo fa Joe Biden: da quando alla Casa Bianca non c’è più Donald Trump, i rapporti con Riad si sono raffreddati e quelli col principe ereditario Mohammed bin Salman sono congelati. Un rapporto dell’intelligence Usa, diffuso a fine febbraio, conferma il coinvolgimento di Mbs nell’eliminazione di Khashoggi.
Il cambio di passo di Washington verso Riad era stato annunciato dallo stop, sia pure temporaneo, imposto alle vendite di armi ai sauditi; e dal venire meno dell’appoggio alla guerra nello Yemen, che ha già fatto, nelle stime dell’Onu, 233 mila vittime e sta causando “la peggiore crisi umanitaria al Mondo” – il giudizio è dell’Onu -, con milioni di persone a rischio di morire di fame.
Una portavoce del ministero degli Esteri canadese, citata da al Jazeera, assicura che “il governo è impegnato a rispettare regole rigorose, fra le più severe al Mondo, per l’export delle armi”; e dice che “il rispetto dei diritti umani è incastonato nella nostra legislazione”.
Dopo l’omicidio Khashoggi, il Canada aveva già bloccato le vendite di armi all’Arabia saudita, ma le aveva poi riprese nell’aprile 2020, sulla base di controlli che dovrebbero garantire l’osservanza delle leggi canadesi e del Trattato Att. Secondo il governo di Ottawa, “non c’è rischio sostanziale” che le armi canadesi, fra cui fucili di precisione per tiratori scelti, siano utilizzate nello Yemen o siano usate per violare diritti umani”.
Non è questa la sola controversia internazionale di cui il Canada è al centro in questi giorni: c’è anche un intreccio di vertenze giudiziarie con la Cina, che dal 2018 detiene – in modo arbitrario, sostengono Ottawa, Washington e l’Ue – due cittadini candesi, Michael Spavor e Michael Kovrig, e che ha ora condannato a morte Robert Schellenberg, per traffico di droga. Probabilmente, Pechino intende esercitare pressioni sul Canada nella vicenda della top manager di Huawei Meng Wanzhou, trattenuta dal 2018 in Canada in attesa di giudizio per l’estradizione negli Stati Uniti – il verdetto è atteso a breve -. Meng, figlia del fondatore del colosso delle tlc cinesi, non ha violato nessuna legge canadese o internazionale, ma è accusata dalla magistratura statunitensi di avere violato le sanzioni Usa all’Iran.