L’Aventino d’America è il Campidoglio di Washington: lì si sono ‘ritirati’ i parlamentari democratici del Texas, nel tentativo, dall’esito incerto, di bloccare il varo di una legge dello Stato che rende più difficile l’accesso alle urne, specie di neri e ispanici. Protagonisti dell’esodo, compiuto, un po’ alla chetichella, sono stati 46 deputati e nove senatori: si sono mossi in perfetta sintonia politica e coincidenza temporale con un discorso sul tema del presidente Joe Biden, a Filadelfia.
Biden ha definito “un-American” i tentativi dei repubblicani, partiti dalla Georgia e in corso in 17 Stati, di limitare l’esercizio del diritto di voto. E il presidente ha indicato nella tutela del diritto di voto “la sfida del nostro tempo”. Ma – a giudizio dell’Ap – l’Amministrazione e i democratici hanno pochi strumenti per riuscire a salvaguardarlo: una legge federale è in discussione dal 2019, ma al Senato mancano i voti per approvarla.
La fuga dalla cupola di Austin, la più grande dell’Unione – in Texas, “tutto è grande” -, a quella di Washington dei deputati e senatori democratici ha avuto momenti rocamboleschi, con il ricorso a voli charter privati. Alcune settimane or sono, c’era già stato un primo Aventino, meno spettacolare: i legislatori democratici avevano temporaneamente bloccato il passaggio della legge.
Dopo quel fallimento, i repubblicani hanno però indetto una sessione straordinaria del Parlamento del Lone Star State, che dovrebbe protrarsi fino all’inizio di agosto: i parlamentari democratici dovrebbero dunque restare sull’Aventino fino ad allora, perché la loro strategia abbia successo. Secondo il Washington Post, i democratici texani avrebbero già raccolto un numero di adesioni sufficiente per impedire ai repubblicani di avere in aula il quorum di presenze necessario per rendere valide le deliberazioni. Ma il loro è anche un tentativo di fare pressione sul Congresso perché approvi una legge federale che tuteli il diritto di voto contro colpi di mano dei repubblicani, che, dove non sono maggioranza, provano a vincere tenendo lontano dalle urne gli elettori democratici.
Il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, un ‘ultra-trumpiano’ con qualche ambizione presidenziale, l’ha presa male e minaccia di far arrestare i parlamentari democratici dello Stato ‘fuggiti’ a Washington. “E’ il comportamento più anti texano mai visto – commenta -, se ne vanno per non combattere, si sono arresi”. E Abbott aggiunge: “Una volta rientrati nel nostro Stato saranno arrestati e portati in Campidoglio per fare il loro dovere”: raro esempio di quorum ‘manu militari’.
Tutta la vicenda texana, e più in generale l’ondata di leggi ‘anti-voto’, sono frutto di quella che Biden e la Casa Bianca definiscono “la grande bugia” di Donald Trump sulle elezioni presidenziali che gli sarebbero state rubate. Nel discorso a Filadelfia, Biden, che finora ha sostanzialmente ignorato le sparate del suo predecessore, ha ribattuto alle false accuse del magnate ex presidente ed ha puntato il dito contro quegli Stati a guida repubblicana che, con il pretesto di brogli e truffe, vogliono restringere l’accesso alle urne.
Che il Texas ci vada giù duro con gli ostinati del voto lo dimostra la vicenda di Hervis Rogers, che da eroe nazionale s’è ritrovato arrestato e rinchiuso in una guardina statale, in attesa che una colletta gli raccolga i 100 mila dollari di cauzione richiestigli. Il giorno delle presidenziali, Rogers, un nero, era stato intervistato da tutti i media Usa: aveva dovuto aspettare per ben sette ore, fuori dal seggio, il suo turno per votare – ovviamente Biden, non Trump -.
Ora il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, lo ha fatto arrestare con l’accusa di voto illegale, perché avrebbe illecitamente deposto la sua scheda mentre era in libertà condizionata dopo una condanna nel 2004 per un furto con scasso compiuto nel 1995.
Da simbolo della determinazione delle minoranze di fare sentire la loro voce, Rogers s’è così trovato degradato a delinquente comune, ad opera di un procuratore generale che, dopo le elezioni, sollecitò la Corte Suprema a rovesciare il risultato scaturito dalle urne. La vicenda di Rogers ravviva, inoltre, la polemica sul diritto di voto negato negli Usa a tutti quanti sono detenuti o scontano una pena, in maggioranza neri o ispanici. Una battaglia condotta da decenni da associazione per la difesa dei diritti civili.