I talebani non aspettano che gli americani completino il ritiro dall’Afghanistan: proclamano d’avere già preso il controllo dell’85% del territorio, mentre crescono i timori per la situazione umanitaria nell’Afghanistan. Per vent’anni la presenza militare occidentale ha tenuto in piedi governi incapaci, perché minati da rivalità interne e corrotti, di gestire il Paese, senza consolidare né la democrazia né i miglioramenti sociali, specie sul fronte dei diritti delle donne – i più compromessi, ora, dal ritorno al potere degli studenti islamici -.
Le organizzazioni umanitarie stimano che oltre la metà della popolazione afghana, oltre 18 milioni di persone, fra cui oltre tre milioni di bambini, abbiano bisogno di assistenza e non abbiano cibo a sufficienza.
Il presidente Usa Joe Biden non fa, però, marcia indietro: conferma che il ritiro, realizzato al 90%, sarà completato entro fine agosto – prima, cioè, della scadenza annunciata dell’11 Settembre 2001, l’anniversario dell’attacco all’America di al Qaida -; nega che Washington abbia mai voluto accollarsi una missione di ‘nation building’; e ammette di non volere, né potere, alterare “il corso degli eventi” nel Paese. E’, però, confermata l’evacuazione degli interpreti e di quant’altri abbiano, a vario titolo, collaborato con le truppe Usa, per non esporli al rischio di rappresaglie.
La fine della più lunga guerra mai combattuta dagli Stati Uniti coincide, di fatto, con l’innesco d’un’ennesima guerra civile afghana, che s’annuncia breve: le forze governative si squagliano, davanti all’offensiva dei talebani. E già si registrano episodi di ritorsione: Dastagir Zamaray, 41 anni, sette figli, maggiore dell’aeronautica militare, è stato assassinato in centro a Kabul, mentre cercava di vendere la casa per trasferirsi in un quartiere della capitale dove sentirsi più sicuro.
Nelle ultime ore, i talebani hanno preso il controllo di sei distretti della provincia del Badekhshan, che confina con il Tagikistan, dove, da maggio, cioè da quando gli insorti jihadisti hanno iniziato l’offensiva, molti militari afghani hanno già cercato rifugio.
E, tra giovedì e venerdì, oltre mille soldati dell’esercito afghano hanno varcato il confine tagiko, cercando riparo dopo uno scontro armato con i talebani nel Nord dell’Afghanistan. Il Tagikistan, secondo quanto si legge in un dispaccio dell’agenzia di stampa Khovar, “ha loro consentito” l’ingresso “in base al principio di buon vicinato e in ossequio alla posizione di non interferenza negli affari interni afghani”.
Le fonti governative smentiscono i proclami talebani, ma le notizie che giungono dal terreno paiono confermali. Galvanizzati dal ritiro delle truppe Usa e dei loro alleati, i ribelli s’impadroniscono, giorno dopo giorno, di nuovi distretti: nella provincia di Herat, dove, al confine con l’Iran, vivono decine di migliaia di sciiti, e lungo il confine con il Turkmenistan.
A Ovest, centinaia di militari e poliziotti governativi, talora accompagnati dalle loro famiglie, varcano il confine con l’Iran, dove, a Teheran, sono in corso negoziati tra il governo e i talebani. Mosca e Pechino esprimono la preoccupazione che, in questo contesto, integralisti islamici possano infiltrarsi in Asia centrale; a paiono ansiose di riempire il vuoto d’influenza nell’area lasciato dall’Occidente. Una delegazione di talebani è a Mosca per stemperare questi timori: “Prenderemo tutte le misure necessarie perché i miliziani dell’Isis non operino in territorio afghano e non lancino operazioni contro i nostri vicini dal nostro territorio”.
I rapporti tra talebani e Isis non sono eccellenti, anche se, nell’ultimo anno, le loro azioni sono state in qualche modo complementari in Afghanistan: i talebani compivano azioni militari, i miliziani attacchi terroristici.
Fonti del Pentagono non confermano che i talebani controllino gran parte del territorio afghano. Alla Cnn, il portavoce John Kirby fa un distinguo: “Dire di avanzare e di controllare un territorio non significa poterlo gestire a lungo… I governativi hanno l’addestramento e i mezzi per difendere il loro Paese, la loro gente. Ora devono averne la volontà”.
Usa e Turchia hanno intanto concordato le modalità generali della missione delle truppe turche che dovrebbero garantire la sicurezza all’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul: 500 uomini circa, con il supporto logistico, strategico e finanziario Nato e Usa. C’è stata, giovedì, una telefonata tra il ministro della Difesa turco Hulusi Akar e il capo del Pentagono Lloyd Austin.