Il virus che non aveva mai varcato – ufficialmente – le frontiere nord-coreane adesso miete vittime, forse solo metaforicamente, nella nomenklatura comunista: il leader Kim Jong-un ha pubblicamente denunciato un “grave incidente”, non meglio specificato, legato alla pandemia, che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza del Paese e dei suoi cittadini. La natura e la portata del “grave incidente” non vengono chiarite: i termini del pericolo restano vaghi, anche se il linguaggio è allarmante.
La Kcna, l’agenzia di stampa ufficiale nord-coreana, comunica che Kim, presiedendo una riunione del Politburo del Partito dei Lavoratori, ha annunciato un repulisti di funzionari, che, “trascurando importanti decisioni del partito, hanno causato” il misterioso inconveniente, col loro atteggiamento “pigro e incompetente”.
C’è l’ipotesi che Kim intenda così fugare i dubbi sul suo stato di salute e sul fatto che sia sempre saldo alla guida del Paese. Nei giorni scorsi, considerazioni su un suo visibile dimagrimento – avrebbe perso almeno venti chili dei 140 cui sarebbe giunto – avevano alimentato illazioni e congetture, tanto più che la Kctv, la tv di Stato, aveva mandato in onda il commento di un cittadino sulla condizione “emaciata” dell’ancor giovane leader.
C’è chi ritiene che Kim giochi sull’aspetto fisico per apparire un leader “dedito al proprio popolo e laborioso”, mentre la Corea del Nord affronta una grave crisi alimentare, avendo perso la battaglia sulla produzione di grano e riso ed avendo aperto scenari di carestia.
Pyongyang aveva finora rivendicato l’assenza di casi di coronavirus nel Paese: un atteggiamento non suffragato da informazioni scientifiche attendibili. La Johns Hopkins University, che monitora l’andamento della pandemia a livello globale, è scettica sulla pretesa della Corea del Nord di essere rimasta impermeabile al virus, nonostante una lunga frontiera con la Cina e oltre 31 mila test anti-virus condotti.
Soltanto nel luglio del 2020 Pyongyang aveva ammesso una possibile breccia del virus nel Paese, quando un disertore sarebbe clandestinamente rientrato dalla Corea del Sud in una città di confine, Kaesong – non ci fu però mai conferma che l’uomo fosse positivo al virus -.
Per Hong Min, analista dell’Istituto coreano per l’Unificazione nazionale di Seul, il grave incidente potrebbe essere un contagio di massa o una situazione in cui molte persone sono state a rischio contagio diretto. Altri esperti citati da dispacci della Kyodo ritengono che i termini vaghi lascino presagire scossoni politici o possano essere un modo di evocare brecce nel rigido lockdown adottato – Pyongyang tiene bloccato da inizio 2020 il traffico da e per Cina e Russia -.
A fine 2020, la Corea del Nord ha pure messo in lockdown Hyesan al confine con la Cina e Nampo, il porto più grande del Paese sulla costa ovest, vietando l’ingresso nella capitale a chi proviene da altre città.
In base agli ultimi aggiornamenti forniti all’Oms, Pyongyang non ha segnalato infezioni dopo aver testato dall’11 al 17 giugno altre 735 persone, incluse 149 persone con influenza e malattie simili o “gravi infezioni respiratorie acute”. Da dicembre, la Corea del Nord non ha più condiviso con l’Oms dati sulle persone in quarantena.