Gli attacchi statunitensi contro milizie filo-iraniane in Iraq e in Siria riverberano bagliori di guerra sull’incontro a Roma dei Paesi della coalizione anti-Isis e indicano le priorità degli Usa di Joe Biden nel Grande Medio Oriente: il contenimento dell’influenza di Teheran, anche come pegno d’alleanza all’Israele del dopo Netanyahu.
La guerra a bassa intensità tra Usa e Iran è condotta, questa volta, con attacchi aerei e missilistici contro depositi di armamenti utilizzati da milizie filo-iraniane: una postazione serviva a lanciare e recuperare droni armati; un’altra era un centro logistico. Le azioni avrebbero fatto cinque vittime.
Dall’Iraq, l’alleanza paramilitare irachena filo-iraniana Hashed al Shaabi minaccia vendetta.
Non è la prima volta che Biden ordina bombardamenti di milizie-filoiraniane: era successo a fine febbraio. Adesso, gli attacchi suonano moniti al presidente eletto Ebrahim Raisi, un conservatore, con cui il negoziato per il ripristino dell’accordo sul nucleare denunciato nel 2018 da Donald Trump s’annuncia difficile.
Secondo fonti del Pentagono citate dai media Usa, i militari statunitensi sono allarmati perché il livello della minaccia rappresentata dalle milizie filo-iraniane in Iraq sta rapidamente crescendo. Unità specializzate nell’utilizzare armamenti sofisticati, inclusi i droni, hanno recentemente colpito alcuni fra i più sensibili obiettivi Usa nell’area, eludendo le difese statunitensi.
E ciò mentre la situazione militare si sta deteriorando anche in Afghanistan: la visita a Washington nel fine settimana del presidente Ashraf Ghani è stata offuscata dalla pubblicazione di un rapporto dell’intelligence secondo cui il Paese potrebbe ricadere in mano ai talebani nel giro di sei mesi dopo il ritiro degli occidentali, previsto entro l’11 Settembre, nel ventesimo anniversario degli attacchi all’America del 2001. Un Afghanistan in mano ai talebani potrebbe dare basi operative stabili a quel che resta del sedicente Stato islamico, che non dispone più di un proprio territorio, ma resta attivo dal Golfo all’Africa sub-sahariana.
Roma e l’Italia sono divenute, da domenica, centro nevralgico della politica estera Usa: il segretario di Stato Antony Blinken ha avuto incontri istituzionali e ha co-presieduto la riunione anti-Isis, prima di partecipare a Matera al G20 degli Esteri. Blinken ha pure avuto il primo contatto dell’Amministrazione Biden con il nuovo governo israeliano del dopo-Netanyahu: con Yair Lapid, oggi ministro degli Esteri dello Stato ebraico, ha parlato dello spinoso dossier del nucleare iraniano.
A Roma, Blinken ha rilevato “il forte legame tra Usa e Italia”, “importante per garantire la sicurezza transatlantica, per organizzare il sostegno al progresso in Libia e per affrontare le minacce condivise nel Mediterraneo e nel mondo”.