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Usa: Juneteenth, una festa non fa l’uguaglianza

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/06/2021

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“Le grandi Nazioni non ignorano mai i momenti più dolorosi” della loro storia: con queste parole, Joe Biden ha commentato la firma delle legge che rende festa federale negli Stati Uniti il 19 giugno, Juneteenth, il giorno che nel 1865 segnò la fine della schiavitù negli Usa. In Congresso, la legge era stata approvata con voto bipartisan: alla Camera, 415 sì e 14 no.

La firma della legge è stato il primo atto del presidente Usa dopo il rientro in patria da una missione di una settimana in Europa, il G7, la Nato, l’Ue, l’incontro con Vladimir Putin: echi mediatici sostanzialmente favorevoli, ma critiche dai repubblicani.

Il provvedimento ha avuto effetto immediato. Cadendo il 19 di sabato, gli uffici federali. così come Wall Street, sono rimasti chiusi ieri. E’ la prima nuova festa federale introdotta dal 1983, quando si creò il Martin Luther King Jr Day, a gennaio.

Juneteenth è una crasi tra ‘June’, giugno, e ‘nineteenth’, diciannovesimo. La schiavitù, in realtà, era stata abolita con il varo del XIII Emendamento della Costituzione, dopo la fine della Guerra civile con la sconfitta del Sud schiavista. Ma i soldati dell’Unione entrarono a Galveston, in Texas, solo quel giorno e resero effettiva, anche in quello Stato, l’emancipazione dei neri.

Il Juneteenth è celebrato da oltre 150 anni dalla comunità afro-americana e il suo rilievo è andato crescendo con i movimenti per la desegregazione prima e per la pienezza dei diritti civili poi. L’anno scorso, suscitò fermento la decisione dell’allora presidente Donald Trump di riprendere proprio il 19 giugno e a Tulsa, città teatro della peggiore strage di neri della storia Usa, la campagna dopo una pausa causa pandemia – Trump spostò il comizio, che fu comunque un flop, d’un giorno, al 20 giugno -.

Nel 2020, l’uccisione il 25 maggio a Minneapolis di Georges Floyd, un nero inerme, vittima d’un agente di polizia bianco, e altri episodi analoghi hanno riportato in primo piano la questione razziale e rinvigorito il movimento Black Lives Matter. Nove neri su 10, alle presidenziali del 3 novembre, hanno votato per Biden contro Trump: riponevano, nel cambio della guardia alla Casa Bianca, speranze, che, finora, almeno in parte, sono rimaste disattese.

Molti pensano – scrive l’Ap – che “ci vuole di più”, per cambiare le cose. Le proposte di riforma della polizia, meno radicali dello slogan ‘Defund the police’, sono ferme in Congresso. E in Stati sotto il controllo dei repubblicani, dalla Georgia al Texas, avanzano leggi che rendono più difficile l’accesso al voto dei neri: non potendo conquistarne il consenso, i ‘trumpiani’ provano a impedire agli afro-americani di esprimersi. L’ostruzionismo dei repubblicani investe anche gli investimenti per ridurre le disuguaglianze, a cominciare dall’accesso alle scuole e al lavoro.

Arrivano segnali contraddittori del clima razziale e politico negli Stati Uniti. Il Congresso ha ieri revocato l’autorizzazione a invadere l’Iraq concessa nel 2002 al presidente George W. Bush e ancora utilizzata da Trump l’anno scorso per uccidere il generale iraniano Qasem Soleimani – prova del desiderio di ridurre i poteri di guerra del presidente –.

In una corte di giustizia del Missouri, invece, la coppia che nel giugno scorso a St.Louis minacciò con le armi in pugno un corteo di Black Lives Matter che passava davanti alla sua proprietà se l’è cavata con una multa cumulativa di 2.750 dollari e la consegna delle armi esibite nell’occasione. Mark e Patricia McCloskey, due avvocati che furono poi invitati alla convention repubblicana dell’agosto scorso, hanno patteggiato; e Mark può ora pensare alla campagna per divenire senatore.

La proclamazione del Juneteenth arriva mentre nell’Unione si discute sugli indennizzi alla schiavitù e sulle discriminazioni razziali e la brutalità della polizia contro le minoranze. Ma la Gallup rileva che circa il 60% degli americani sa poco o nulla della ricorrenza, mentre vari Stati repubblicani vogliono vietare l’insegnamento a scuola di razzismo e schiavitù. Il figlio di Martin Luther King Jr., Martin Luther King III, dice: “Bene che il Congresso ha approvato la nuova festività, ma ricordiamo che in Florida e in Texas gli educatori non possono insegnare la vera storia del nostro Paese”.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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