A sfruttare il Covid per la propria propaganda, o per denigrare un nemico, ci hanno provato in tanti. Quel che resta del sedicente Stato islamico, l’Isis, lo ha presentato come un ‘soldato del Califfo’, mandato a sterminare gli infedeli. E molto più successo ha avuto la narrativa del ‘virus cinese’, cara a Donald Trump e sporadicamente ripresa da altri leader più o meno negazionisti: un virus sfuggito, accidentalmente o addirittura intenzionalmente, ai laboratori di Wuhan.
La formula del ‘virus cinese’ pareva però tramontata, con l’uscita di scena del magnate, estromesso dalla Casa Bianca da Joe Biden, che non l’ha mai usata. Invece, il tema torna alla ribalta, sia pure con cautela, in una fase d’incertezza delle relazioni tra Usa e Cina, mentre Washington e Pechino hanno entrambe priorità interne: la ripresa dell’economia e la crisi demografica – pare un’assurdità, eppure il Paese più popoloso del Pianeta manca di bambini -.
La ripresa dei negoziati commerciali fra Usa e Cina ha coinciso con la richiesta del presidente all’intelligence di “raddoppiare gli sforzi per raccogliere e analizzare informazioni che possano portarci più vicino ad una conclusione definitiva” sulle origini del virus: Biden vuole un rapporto “entro 90 giorni”.
Secondo i dati della Johns Hopkins University, la pandemia da coronavirus ha infettato nel Mondo oltre 170 milioni di persone e ne ha uccise oltre tre milioni e mezzo, mentre le dosi di vaccino somministrate si avvicinano ai due miliardi. Gli Stati Uniti restano, in assoluto, il Paese con più casi di Covid (oltre 33 milioni) e più vittime (quasi 600 mila), davanti all’India e al Brasile, ma sono anche quello con la campagna vaccinale più avanzata.
La richiesta del presidente all’intelligence è stata fatta la scorsa settimana, dopo che il Wall Street Journal aveva rivelato un rapporto confidenziale secondo cui tre virologi del laboratorio di Wuhan si ammalarono di una imprecisata patologia nel novembre 2019 e furono ricoverati in ospedale, mentre il primo caso ufficiale di contagio da Covid risale all’8 dicembre.
Torna, dunque, l’ombra di ritardi e reticenze da parte cinese nell’ammettere il contagio e nel darne l’allarme. E su Pechino s’addensano di nuovo sospetti di scarsa trasparenza sull’origine del Covid. Trump gongola e ne approfitta per attaccare Biden, che – dice – “sta distruggendo il nostro Paese”, criticandone l’atteggiamento e le decisioni verso la Cina, sull’immigrazione e nel Medio Oriente.
Botta e risposta tra Washington e Pechino
Biden mette pressione all’intelligence statunitense, cui chiede di indagare a largo spettro e di porre “specifiche domande” alle autorità cinesi sull’origine del Covid, coinvolgendo nell’indagine i laboratori nazionali e altre agenzie federali e mantenendo il Congresso “completamente informato”. E sollecita alleati e partner a insistere perché la Cina “perché partecipi a una indagine internazionale completa, trasparente e basata sulle prove e fornisca accesso a tutti i dati e le informazioni rilevanti”. La Casa Bianca, però, non indica che cosa farà se Pechino non collaborerà.
All’inizio di maggio, il presidente aveva ricevuto un primo rapporto dell’intelligence statunitense, che non era, però, arrivata a conclusioni univoche. Gli scenari più probabili emersi sono due: o il contatto umano con un animale contagiato o un incidente di laboratorio (tipo una fuga dal Wuhan Institute of Virology, specializzato nello studio dei coronavirus). C’è chi propende per l’uno e chi per l’altro, ma nessuno è sicuro al 100 per cento del fatto suo e nessuno può escludere l’uno o l’altro. Il nuovo rapporto dovrebbe fugare dubbi e incertezze.
Nulla di definitivo, dunque, almeno per ora, ma solo un riproporre interrogativi e sospetti. Pechino, però, non l’ha presa bene e ha di nuovo accusato Washington di “diffondere teorie del complotto e disinformazione”, puntando il dito su quanto avviene nei lavoratori biologici Usa e, in particolare, nella base militare di Fort Detrick, in Maryland. Il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian ha detto che “le motivazioni e gli scopi dell’Amministrazione Biden sono chiari”, mentre “è oscura la storia della comunità d’intelligence statunitense”, a partire dalle armi di distruzione di massa dell’Iraq di Saddam Hussein, servite di pretesto all’invasione del Paese nel 2003 e che non c’erano.
Pure Anthony Fauci, massimo esperto Usa di malattie infettive, è rimasto impaniato nella polemica affermando di “non essere del tutto convinto che il virus abbia avuto un’origine naturale”. I media cinesi più vicini al governo e al Partito comunista denunciano: “Le élite statunitensi scadono nell’immoralità, e Fauci è una di loro”.
Il ruolo dell’Oms e le ‘scommesse’ di guru e media
Il portavoce Zhao ha anche affermato che l’atteggiamento degli Stati Uniti è “irrispettoso” verso l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, un’agenzia dell’Onu, che ha già condotto un’indagine in Cina senza giungere a conclusioni probanti, ma valutando “altamente improbabile” l’ipotesi di una fuga del virus dal laboratorio di Wuhan. Per Pechino, l’iniziativa di Biden comporta il rischio “di indebolire la solidarietà globale anti-Covid”.
Il problema è che le conclusioni dell’Oms, pubblicate a fine marzo, furono subito criticate dal capo dell’Agenzia Tedros Adhanom Ghebreyesus: la commissione – disse, sollecitando un’inchiesta più completa – non aveva adeguatamente indagato l’ipotesi dell’incidente in laboratorio, anche perché l’istituto di Wuhan non aveva condiviso tutta la documentazione sulle sue ricerche sui coronavirus nei pipistrelli, per molti l’origine più probabile del virus. Le autorità cinesi hanno finora negato pure l’accesso alla banca del sangue di Wuhan per testare campioni prelevati prima del dicembre 2019, quando fu ufficialmente registrato il primo caso di Covid.
Negli ultimi due mesi, si sono moltiplicati dubbi e richieste di una nuova indagine internazionale indipendente, ora sostenuta da Usa, Ue e da altri 13. In una lettera pubblicata il 14 maggio sull’autorevole rivista Science, una ventina di esperti di centri studi internazionali di alto livello contestano il rapporto dell’Oms, rilevando che “su 313 pagine solo quattro sono dedicate all’ipotesi di un incidente in laboratorio, mentre tutto il resto esplora la possibilità di trasmissione tra animali e uomini”. Gli autori chiedevano “un’indagine adeguata” e “un dibattito scientifico spassionato”.
L’ipotesi di un incidente ha così ripreso quota non solo tra gli specialisti di bio-sicurezza, ma anche tra responsabili della sanità pubblica, osservatori, media, tanto che il guru delle previsioni elettorali negli Stati Uniti Nate Silver calcola che la probabilità di un incidente di laboratorio è aumentata sino al 60%. La rivista ‘liberal’ The Atlantic resta invece scettica sulla possibilità di raggiungere certezze sull’origine del Covid e invita a concentrarsi, piuttosto, sulla sicurezza dei bio-laboratori e sui confini e sui rischi della ricerca scientifica.
Negoziati commerciali e crucci demografici
In questo clima, nei giorni scorsi, i responsabili delle questioni commerciali di Cina e Usa si sono visti per la prima volta dall’insediamento dell’Amministrazione Biden. Il Ministero del Commercio di Pechino ha riferito che il vice-premier Liu He e la rappresentante per il Commercio degli Usa, Katherine Tai, hanno avuto una conversazione “schietta, pragmatica e costruttiva”.
Nessun dettaglio sui dossier aperti o se i dazi messi dall’Amministrazione Trump saranno annullati. Il ministero cinese ha affermato che le parti hanno acconsentito a ulteriori comunicazioni, parlando di atteggiamento di “rispetto reciproco”. E’ evidente che i due presidenti, Biden e Xi Jinping, che non si sono ancora incontrati e che potrebbero non vedersi fino al G20 in Italia il 30 e 31 ottobre, non vogliono inasprire i toni, ma non vogliono neppure apparire reciprocamente arrendevoli.
Xi, del resto, non ha solo le grande del virus e con gli Usa. L’espressione “crisi demografica” può persino apparire assurda nel Paese più popoloso al Mondo: quasi un miliardo e mezzo di persone – un abitante del pianeta su cinque è cinese -. Ma i numeri sono preoccupanti e i dati evidenziano un’imprevedibile tendenza dei giovani cinesi a fare di testa loro, piuttosto che dare retta al governo o al partito, se si tratta di fare figli.
Quando la regola era un bimbo per famiglia e basta, ne volevano di più; da quando era due, non ne hanno mai fatti di meno. Ora Pechino alza la barra: tutte le coppie possono avere tre figli. Obiettivo: frenare il calo della crescita demografica, che può significare un calo della crescita economica.
C’è uno squilibrio ‘maschi femmine’ dell’ordine di 40 milioni, in massima parte creatosi all’epoca del figlio unico – i genitori volevano un maschio –, che innesca una tratta di donne da Vietnam, Cambogia e Corea del Nord. E c’è un invecchiamento dell’età media che si traduce in una carenza di forza lavoro e che può mettere in crisi i sistemi previdenziale e sanitario – gli ultrasessantenni prendono la pensione e s’ammalano di più, senza contare che la loro speranza di vita s’è allungata -.
Gli esperti indicano che entro il 2035 il fondo delle pensioni statali sarà prosciugato e che nel 2050 un terzo della popolazione sarà composto di ultrasessantenni.
Non è affatto sicuro che i risultati del via libera al terzo figlio saranno quelli sperati. Gli ‘under 30’ cinesi antepongono la propria indipendenza e il fare carriera al fare figli. E pure l’aumento del costo della vita nelle città cinesi ha un effetto dissuasivo: mantenere un figlio oggi costa quattro volte più che nel 2005. Nel 2020, la crescita demografica è stata in calo per il quarto anno consecutivo: l’allentamento nel 2016 della stretta sulle nascite non ha quasi sortito effetti. E la pandemia crea ansie e insicurezze.
La crescita della popolazione non era mai stata così bassa dagli Anni 50. Nel 2020, sono nati solo 12 milioni di bambini in Cina, il 18% in meno rispetto ai 14,6 milioni del 2019. Il tasso di fertilità delle donne cinesi è 1,3, fra i più bassi al Mondo. A stimolarlo, invece delle direttive del Partito, potrebbero forse essere aiuti alle famiglie, come propone l’Università di Pechino.
C’è anche il retaggio psicologico di 35 anni di terrore demografico, quando una donna doveva avere un permesso per concepire e, se voleva un secondo figlio, veniva multata o costretta ad abortire, con strascichi di violazioni di diritti umani, sterilizzazioni, violenze. Ancora oggi, l’Oms calcola che ogni anno si effettuino in Cina 14 milioni di aborti, circa un quarto del totale al mondo.