Le associazioni ambientaliste sono deluse e persino indignate per il programma relativo alle esigenze ecologiche previsto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) dal governo Draghi.
Il Pnrr conta 248 miliardi da ripartire in sei missioni, di cui 70 miliardi sono destinati alla ‘Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica’. Secondo le associazioni ambientaliste (Wwf, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport & Environment) non è però un piano soddisfacente per la decarbonizzazione ed è poco efficace nell’utilizzo delle risorse e nel riformare settori chiave della transizione ecologica.
Gli ambientalisti sostengono che le risorse classificabili come ‘verdi’ appaiono marginali nella transizione energetica e sono scollegate da una strategia climatica e che, se l’Italia vuole percorrere la strada della decarbonizzazione, al momento sembrano assenti strategie consone. Il Ministero per la Transizione ecologica ambisce ad aumentare le fonti d’energia rinnovabili al 72% per il 2030 rispetto al 35% attuale.
Anche l’ambito dei trasporti è teatro di aspettative disattese. Greenpeace fa sentire il proprio disappunto, sottolineando come le disposizioni del Piano siano carenti nel valutare misure di sviluppo della mobilità. In totale controtendenza rispetto ai principali Stati Ue, l’Italia dedica meno dell’1% del fondo allo sviluppo della mobilità elettrica. Inoltre, l’associazione evidenzia che non sia presente un piano adatto a colmare il deficit italiano di investimenti sul trasporto rapido di massa per le città, a cui sono dedicati solo 8,58 miliardi.
Ulteriore delusione è data dalla decisione di indirizzare più della metà dei fondi destinati al settore delle nuove ferrovie allo sviluppo dell’Alta Velocità (13 miliardi su 24,77), mentre solo 9,53 miliardi sono volti ai nodi metropolitani e alle ferrovie Regionali.
Inoltre nel Piano sono presenti 15,22 miliardi di fondi da investire per la riqualificazione degli immobili e migliorarne l’efficienza energetica. Più della metà dei fondi verranno stanziati per il prolungamento dell’Ecobonus dal 2021 al 2023, per creare nuovi posti di lavoro nell’edilizia, stimolare le economie locali e allo stesso tempo raggiungere gli obiettivi di risparmio energetico e riduzioni delle emissioni al 2030.
Tuttavia le associazioni deplorano che nel Pnrr non ci siano accenni per l’efficientamento energetico delle industrie e che i fondi destinati dall’Ecobonus per l’edilizia popolare siano insufficienti: infatti solo per questo settore sarebbe necessario un intervento tra i 15 e i 20 miliardi. Il meccanismo dell’Ecobonus è per gli ambientalisti poco coraggioso perché prevede solamente il miglioramento di 2 classi energetiche e continua a incentivare tecnologie che fanno uso di carburante fossile, come le caldaie a gas, riducendo quindi le possibilità di decarbonizzare i consumi.
Altro grande assente dal piano di ripresa italiana è il settore agricolo. La totale mancanza di investimenti per la riduzione dell’agricoltura intensiva e dei capi allevati, oltre che di misure efficaci per moderare gli impatti del settore sull’ambiente. Secondo gli esperti del Wwf, nel Pnrr non si dà la giusta priorità allo sviluppo delle filiere del biologico made in Italy, che potrebbero invece promuovere una reale transizione ecologica dell’agricoltura e degli allevamenti. Per questo motivo le associazioni ambientaliste hanno chiesto un incremento delle pratiche biologiche per arrivare ad avere almeno il 40% di superficie agricola dedicata ad agricoltura biologica entro il 2030. Il Wwf propone che circa 650 milioni di euro aggiuntivi a quelli già stanziati vengano destinati per lo sviluppo dei sistemi agroalimentari biologici e per l’ammodernamento dei macchinari agricoli.
Il documento è ormai in fase di valutazione da parte della Commissione Ue. Quello che auspicano le associazioni ambientaliste è che le riforme per la rivoluzione verde siano applicate in maniera rigorosa e che siano corrette, dove possibile, alcune voci nella fase applicativa, altrimenti “rischiamo di rimanere fuori dalla grande trasformazione in atto e diventare un Paese irrilevante dal punto di vista industriale”.
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