Greta Thunberg e gli studenti dei ‘Fridays for Future’ in giro per il mondo mettono sulla graticola Joe Biden: il presidente degli Stati Uniti non fa abbastanza per contrastare il riscaldamento globale; il suo folto – forse troppo – team verde non produce ancora i risultati sperati. Critiche impazienti? Biden ha subito riportato gli Usa negli Accordi di Parigi – come aveva – promesso; e ha già varato una serie di decreti per abbassare la temperatura globale di almeno 1,5/2 gradi centigradi. Inoltre, deve riparare i danni fatti in quattro anni dal suo predecessore, trovando, talora, chi gli mette bastoni tra le ruote: la magistratura, per l’oleodotto Keystone: o gli Stati repubblicani, 12 dei quali gli contestano l’autorità di fissare nuove regole sulle emissioni.
Ma i giovani – si sa – hanno fretta. In una intervista alla MsNbc, Greta Thunberg lancia un monito e un appello a Biden, verso il vertice sul clima che lui ospiterà il 22 aprile, nella Giornata della Terra, per rilanciare gli Accordi di Parigi: “La crisi del cambiamento climatico va trattata come una crisi, non come se fosse una questione fra le tante”.
Il fatto è che i temi sull’agenda di Biden sono davvero tanti: la pandemia da debellare e l’economia da rilanciare (due punti su cui s’è portato avanti, con 100 milioni di vaccini fatti e 1900 miliardi – noi diremmo – di ristori alias sostegni); e ancora i migranti, i diritti dei lavoratori, le diseguaglianze di genere e razziali, l’accesso al voto, la riforma della polizia, il processo in corso per l’uccisione di George Floyd. Come se non bastasse, Biden s’è pure messo di buzzo buono a litigare con Russia e Cina. Ed, esausto, ha finito per inciampare sulla scaletta dell’AirForceOne.
Certo, non deve fare tutto lui. Ha una squadra forte e super-politicamente corretta: il volto più noto è quello di John Kerry, inviato speciale per il clima: 77 anni, ex candidato democratico a Usa 2004, ex senatore, ex segretario di Stato dal 2013 al 2017, l’establishment, ma anche l’autorevolezza, fatti persona.
Kerry deve però coordinarsi con la ‘zarina’ del clima alla Casa Bianca: Gina McCarthy, 66 anni, già architetto delle politiche sull’ambiente di Obama all’Epa, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente. La priorità della McCarthy è rendere realizzabili le promesse elettorali di Biden, la carbon neutrality entro il 2050 e un settore elettrico senza emissioni inquinanti entro il 2035.
E tutti due devono confrontarsi con l’amministratore dell’Epa, Michael S. Reagan, 45 anni, tecnico del settore, e coi ministri dell’Energia, Jennifer Granholm, 61 anni, ex governatore del Michigan, e dell’Interno, Deb Haaland, 60 anni, la prima nativa americana – è dei Laguna Pueblo – a diventare ministro, dopo essere stata nel 2018 la prima eletta deputata. Due uomini e tre donne, due politici e tre tecnico-attivisti, tre bianchi, un nero e una nativa: il ’mix’ è quasi perfetto, resta da vedere se sarà efficace.
Le critiche s’appuntano su Kerry, che sarebbe il ‘chi l’ha visto’ di questi primi due mesi dell’Amministrazione Biden. In realtà, Kerry s’è dato da fare: il 21 gennaio, primo giorno di lavoro del nuovo team, diceva, intervenendo virtualmente a una conferenza di Confindustria, che “non c’è tempo da perdere nell’affrontare il cambiamento climatico”. L’ex segretario di Stato ha avuto decine di incontri e contatti, con l’Ue e con la Nato e i singoli Paesi alleati, con l’Onu e la Gran Bretagna, con la Russia e la Cina, con il Brasile e l’Argentina, ma – certo – di concreto ha finora fatto poco. Guardando alla conferenza di Glasgow, la Cop 26, a inizio novembre, per cui – dice – “il fallimento non è un’opzione”, ha fatto sapere che gli Stati Uniti sveleranno i loro obiettivi entro il 22 aprile.
Che cosa s’aspetta Greta dallo ‘zio Joe’?, per cui fece campagna, invitando i suoi followers a farla finita con Trump che l’aveva più volte derisa e aveva sempre ignorato le indicazioni della scienza. La diciottenne chiede un cambio di marcia: “Non basta dire ‘ci impegniamo’”. Greta non usa i toni dell’atto di accusa ai leader mondiali del settembre 2019 dal palco delle Nazioni Unite. Ma il senso del messaggio è chiaro: bisogna fare di più. Kerry sottoscrive: il 2020-2030 deve essere “il decennio dell’azione” sul clima, coordinando l’operato di Usa e Ue e coinvolgendo la Cina.