“Molti nemici molto onore” pareva un motto del passato tagliato su misura per Donald Trump, più disposto al confronto che al dialogo con i suoi partner. Ma Joe Biden, il mite ‘Zio Joe’, gli sta ora facendo concorrenza e litiga su due fronti allo stesso tempo: “Con quello che fu l’avversario dell’America nella Guerra Fredda, la Russia, e con il possibile avversario nella Guerra Fredda prossima ventura, la Cina”. L’immagine della Cnn è condivisa dai più autorevoli media Usa, presi quasi in contropiede dall’aggressività di Biden in politica estera: verso l’Arabia saudita e la Siria, ma pure verso Mosca e Pechino. Relegata in secondo piano, la Corea del Nord di Kim Jong-Un ricorda d’esistere a modo suo: minacciando sfracelli nucleari.
Tra Washington e Mosca volano pesanti affermazioni e scoperti insulti, mentre in Alaska parte male il primo confronto ad alto livello dell’era Biden tra Usa e Cina.
L’analisi della Cnn è drastica: “Un giornata senza pari di alterchi intercontinentali ha confermato che i rapporti con la Cina sono scesi al punto più basso dai tempi della ‘diplomazia del ping-pong’ di Richard Nixon, che consentì a Pechino di uscire dall’isolamento negli Anni Settanta. E quanto alle relazioni Usa-Russia, sono al momento più difficile dal dissolvimento dell’Unione sovietica”.
Certo, non può avere fatto tutto Biden in due mesi alla Casa Bianca: il suo predecessore gli aveva ben arato il terreno, seminandovi zizzania. Però, per non mostrarsi debole rispetto a Trump il bullo, il nuovo ‘comandante-in-capo’ va sopra le righe e dà l’impressione di ‘cercare briga’.
Con la Russia, il match è a distanza: Biden apre le ostilità, dando dell’assassino a Vladimir Putin, che replica facendo dell’ironia sull’età e la senilità del suo interlocutore. Con la Cina, invece, quello che doveva essere uno scambio di battute protocollari, ad uso e consumo della stampa, è divenuto uno scambio di battute abrasive.
Le azioni della Cina “minacciano” la stabilità globale, dice il segretario di Stato Antony Blinken, aprendo ad Anchorage il primo incontro ad alto livello dell’era Biden fra funzionari di Washington e Pechino; e avverte che gli Usa intendono sollevare i temi dello Xinjiang e di Hong Kong.
Sui fronti economico e commerciale, gli Stati Uniti – nota Blinken – non vogliono un “conflitto”, ma sono favorevoli a una “concorrenza dura”.
La replica di Yan Jiechi, membro del Politburo, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, non è affatto conciliante: minaccia “azioni decise” contro “l’interferenza americana”; e invita gli Usa ad abbandonare la mentalità da “guerra fredda”. Quanto ai diritti umani, rileva, gli Stati Uniti hanno una lunga storia di problemi su quel fronte: basta vedere gli afro-americani uccisi dalla polizia. “Riteniamo che Washington debba cambiare la propria immagine e smetterla di cercare di esportare la propria democrazia nel resto del mondo. La Cina non accetterà dagli Usa accuse ingiustificate”.
Le due parti si accusano a vicenda di avere violato il protocollo concordato e di “demagogia”; e rivendicano ciascuna d’essere arrivata in Alaska “con la mente concentrata sul dialogo strategico” e senza avere premeditato provocazioni. Ma le dichiarazioni preliminari che dovevano durare 15’ si sono trasformate in un litigio pubblico trascinatosi per oltre un’ora.
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi denuncia “difficoltà senza precedenti” fra i due Paesi, “che non dovrebbero continuare”. La delegazione statunitense parla di “demagogia” da parte dei cinesi. E Biden si dichiara “orgoglioso” dell’atteggiamento di Blinken.
Per una volta, i cinesi usano i social più degli americani. Il siparietto in Alaska diventa così virale sui social in mandarino, con oltre un miliardo di commenti e visualizzazioni fino a essere “il tema più seguito”. Negli Usa, se lo sono filati molto di meno.