Donald Trump aveva una sua priorità: rispettare le promesse del 2016, riportare a casa ‘i ragazzi’ dai teatri delle guerre infinite degli Stati Uniti, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria; e poco gl’importava quel che poteva accadere dopo la loro partenza. Joe Biden sta, invece, valutando le conseguenze dell’abbandono dell’Afghanistan da parte delle truppe Usa e dei loro alleati: si rischia di consegnare il Paese alle ritorsioni dei talebani, considerata l’inefficienza e la corruzione dell’attuale ‘diarchia’ tra il presidente Ashraf Ghani e il suo principale rivale, e attualmente presidente dell’Alto Consiglio per la conciliazione nazionale, Abdullah Abdullah.
Secondo quanto scrive il Washington Post, gli Stati Uniti potrebbero posticipare il ritiro delle truppe dall’Afghanistan oltre la scadenza del 1° Maggio concordata con i talebani a fine febbraio 2020, senza un accordo di riconciliazione tra i talebani e il governo di Kabul – intesa che manca tuttora -.
L’ipotesi che circola a Washington è che l’Amministrazione faccia slittare il ritiro totale delle truppe dall’Afghanistan per avere il tempo di elaborare una proposta che superi lo stallo delle trattative fra studenti islamici e governo afgano.
Confusione e incertezza regnano, in Afghanistan e negli Usa. Pochi giorni fa, il segretario di Stato Antony Blinken aveva prospettato una serie d’iniziative per disincagliare i negoziati, confermando però la scadenza del 1° Maggio per il “completo ritiro” dei circa 2.500 soldati statunitensi nel Paese.
In una lettera a Ghani, Blinken scriveva che Washington vuole un cessate il fuoco “completo e permanente”. Tra le iniziative progettate, la richiesta all’Onu di riunire i ministri degli Esteri di Usa, Russia, Cina, Pakistan, Iran, India per “discutere un approccio unificato per la pace in Afghanistan”.
I negoziati tra governo e talebani, apertisi in settembre nel Qatar, non sono finora approdati a nulla di concreto. Ora, la Turchia cerca d’inserirsi nei giochi e propone di ospitare in aprile a Istanbul colloqui di pace che – sostiene il ministro degli Esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu – non sarebbero “un’alternativa al processo in corso in Qatar”, ma dovrebbero “sostenerlo”. E pure la Russia ospiterà giovedì prossimo una conferenza sull’Afghanistan. Kabul assicura la sua presenza a tutti i tavoli, ma respinge l’idea di un esecutivo ‘ad interim’ con la partecipazione dei talebani.
La prospettiva di un abbandono dell’Afghanistan da parte delle truppe degli Stati Uniti e dei loro alleati – se se ne vanno gli ultimi militari americani, se ne andranno pure quelli rimanenti della missione Nato Resolute Support, 9.500 uomini in tutto, fra cui il contingente italiano (800 uomini circa) – è vista con preoccupazione da molti afghani, specie dalle donne, che rischiano di perdere quanto, in termini di emancipazione, hanno guadagnato in questi anni.
Giorni fa, di fronte al numero allarmante di attacchi deliberatamente rivolti ai civili in Afghanistan, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu “ha condannato con la massima fermezza” tali atti. Il Paese continua a essere terreno di violenze dei talebani, che tendono a colpire le forze di sicurezza lealiste; ma vi sono pure attive frange di al Qaida e miliziani dell’Isis, con azioni terroristiche.
Venerdì sera, un’autobomba è esplosa a Herat, nell’Ovest del Paese, facendo almeno otto morti e una cinquantina di feriti. L’esplosione ha devastato una sede della polizia, danneggiando decine d’abitazioni e di negozi: fra le vittime, bambini, donne, personale della sicurezza.
Un portavoce dei talebani ha negato ogni responsabilità, anche se gli studenti sono attivi nell’area e vi hanno recentemente condotto attacchi contro le forze governative afghane. Il presidente Ghani ha invece accusato i talebani, sostenendo in un comunicato che essi “continuano una guerra illegittima e violenta contro il nostro popolo” e “dimostrano ancora una volta di non volere risolvere pacificamente la crisi attuale”.
A marzo, altri attacchi hanno ucciso almeno sette lavoratori agricoli della comunità sciita Hazara, nella provincia di Nangarhar, nell’Est del Paese – forse, una faida tribale e religiosa: gli Hazari sono da tempo perseguitati -. Ai primi del mese, una ginecologa è stata uccisa da un ordigno piazzato sotto la sua auto nella città di Jalalabad, nell’Est del Paese, dove due giorni prima tre donne dipendenti d’una televisione privata erano state attaccate e ammazzate da uomini armati. Azioni, queste, rivendicate dall’Isis, secondo cui la ginecologa era “un elemento apostata dell’Intelligence afghana”.