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Libia: Prince, l’amico di Trump dava ad Haftar armi e mercenari

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/02/2021

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Erik Prince, ex responsabile per la sicurezza della Blackwater, un sostenitore e finanziatore di Donald Trump, violò nel 2019 l’embargo dell’Onu in Libia inviando armi alle milizie del generale Khalifa Haftar, che stavano in quel momento attaccando Tripoli e cercando di fare cadere il governo libico guidato dal premier Fayez al Sarraj, formalmente sostenuto dalla comunità internazionale.

Lo indica un rapporto confidenziale di investigatori delle Nazioni Unite, di cui danno notizia all’unisono il New York Times e il Washington Post.

Prince, un ex Navy Seal, rampollo di una ricca famiglia, fondò la Blackwater, oggi Academi, nel 1997: la compagnia, che ha sede a Reston, in Virginia, è una delle più importanti aziende militari private al Mondo. Ebbe discussi ruoli di primo piano come security contractor in Iraq, divenendo simbolo degli eccessi di privatizzazione della difesa Usa quando suoi uomini, nel 2007, uccisero 17 civili iracheni.

Prince è fratello di Betsy DeVos, che, come ministro dell’Istruzione nell’Amministrazione Trump, ha privilegiato le scuole private su quelle pubbliche, salvo dimettersi dopo l’assalto al Congresso sobillato dal magnate il 6 gennaio.

Secondo l’indagine dell’Onu, nel giugno 2019 Prince spiegò unità di mercenari nell’Est della Libia, ponendole sotto il controllo di Haftar. Le unità mercenarie erano dotate di aerei d’attacco, droni, elicotteri, battelli gonfiabili e avevano la capacità di condurre cyber-operazioni. Un commando doveva individuare, seguire e colpire comandanti e personalità di spicco del governo di accordo nazionale libico, civili e militari.

L’operazione sarebbe costata 80 milioni di dollari. Non è chiaro chi abbia pagato ed eventualmente per conto di chi, ma Haftar gode dell’appoggio militare e finanziario di Egitto, Russia ed Emirati arabi uniti.

A un certo punto, le autorità giordane si sarebbero frapposte all’operazione, bloccando un lotto d’armamenti destinato alla Libia. Nell’ambito dell’inchiesta, gli agenti dell’Onu volevano sentire Prince, per chiedergli conto di almeno due telefonate a funzionari ed esponenti giordani, fatte proprio per sbloccare la partita di armi, ma Prince non s’è prestato.

In una dichiarazione al NYT, un suo avvocato, Matthew L. Schwartz, ebbe a dire che Prince “non ha mai avuto nulla a che fare” con operazioni militari in Libia.

Negli ultimi anni, l’imprenditore s’è riciclato nel ruolo di mediatore d’affari internazionale, specie nel settore dei minerali, ma anche delle armi, facendo affari soprattutto in Africa, in Paesi dilaniati da conflitti, ma ricchi di materie prime. Negli Usa, d’intesa con personaggi come Steve Bannon e Roger Stone, s’è molto dato da fare per ‘proteggere’ Trump dai suoi critici. Era pure finito nell’inchiesta sul Russiagate, per i suoi contatti nel 2017 con un banchiere russo.

L’accusa di avere violato l’embargo sulle armi alla Libia espone Prince a sanzioni dell’Onu, che possono includere limitazioni ai suoi spostamenti internazionali e il blocco di conti e beni. Ma l’indagine apre uno spiraglio su traffici di armi nel Medio Oriente. che l’Amministrazione Biden intende frenare, come hanno già fatto intendere le limitazioni alle vendite di armi ad Arabia saudita ed Emirati e la fine del sostegno alla guerra nello Yemen.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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