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Usa: impeachment II, Trump ‘not guilty’, i repubblicani ne restano ostaggio

Scritto per AffarInternazionali il 14/02/2021 https://www.affarinternazionali.it/2021/02/trump-si-salva-dal-secondo-impeachment-e-tiene-in-ostaggio-i-repubblicani/

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Ammetto che, a un certo punto, ci avevo sperato: che nel processo di impeachment a Donald Trump ci fosse il lieto fine come in ‘Mister Smith va a Washington’ di Frank Capra. Non c’era bisogno – per carità! – che un senatore in mala fede si suicidasse, come nel film; bastava che votassero tutti secondo verità e giustizia. Ma l’America non è più quella dei film di Capra e di John Ford, ammesso che lo sia mai stata. Solo sette senatori repubblicani su 50 hanno riconosciuto la responsabilità di Trump per l’attacco al Congresso condotto dai suoi sostenitori il 6 gennaio, che fece almeno cinque vittime; ne servivano dieci in più.

Così, missione fallita: vince la politica e perde la giustizia. Per la seconda volta nel giro di 15 mesi, i democratici non riescono a mettere fuori gioco con l’impeachment Trump. A cavallo tra il 2019 e il 2020, con il Kievgate, cercarono di cacciarlo dalla Casa Bianca e, invece, gli fornirono un assist per un secondo mandato, che, senza l’arrivo del Covid, era, a quel punto, quasi acquisito; adesso, hanno tentato d’interdirlo dai pubblici uffici in proiezione 2024.

Ma la pilatesca decisione del leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell e dei senatori che l’hanno seguito – Trump è colpevole, ma non è ‘impeachable’, perché non è più presidente – potrebbe rivelarsi un boomerang per i repubblicani, che perdono l’occasione per svincolare il partito dalla presa dei trumpiani e restano soggetti alle ubbie e alle faide del vendicativo magnate.

Se l’impeachment sul Kievgate lasciava qualche dubbio anche negli anti-trumpiani più viscerali, questo non offriva margine all’assoluzione: se non bastavano le dirette televisive di quel giorno, sono state fornite prove “schiaccianti e irrefutabili” che il 6 gennaio il magnate allora presidente abbia sobillato i suoi sostenitori perché dessero l’assalto al Campidoglio per impedire la convalida della vittoria di Joe Biden nelle elezioni presidenziali; e abbia loro mandato messaggi di sostegno e d’incoraggiamento mentre l’azione era in corso, indicando persino il suo vice Mike Pence come possibile obiettivo.

Se il processo fosse stato celebrato in un’aula di giustizia, se fosse stato giudiziario e non politico, Trump non poteva cavarsela. Ma era invece celebrato in Senato: ne è venuto fuori il verdetto “non colpevole”, anche se una maggioranza dei senatori ha ritenuto l’ex presidente “colpevole”: 57 a 43, con sette voti repubblicani sommati ai 50 democratici; per pronunciare la condanna, ci volevano, però, i due terzi dei voti, 67 su 100; ne sono mancati dieci, nonostante questo sia stato il voto d’impeachment più bipartisan nella storia degli Stati Uniti, come ha detto il deputato Jamie Raskin, capo del team d’accusa.

Trump ci ha messo un istante a reagire, sfoderando i luoghi comuni della sua retorica: la “caccia alle streghe” è finita; e lui intende continuare a battersi per “la grandezza dell’America”. Con i toni da campagna elettorale, quelli che gli vengono meglio, ha detto: “Il nostro meraviglioso movimento storico e patriottico per fare l’America di nuovo grande è solo all’inizio, nei prossimi mesi avrò molto da condividere con voi e non vedo l’ora di proseguire il nostro incredibile viaggio insieme”. Obiettivo: le presidenziali del 2024.

Ma gli ostacoli, di qui ad allora, non mancano: la giustizia ordinaria lo bracca, su molti fronti; e l’erosione del consenso nell’opinione pubblica è già tangibile, con sette americani su dieci favorevoli all’impeachment. Poi, c’è il fattore tempo: imponderabile, può giocargli a favore o contro. Lui, intanto, di tempo non ne perde: i suoi fedelissimi già ‘crocifiggono’ i sette ‘traditori’.

Che sono i recidivi Mitt Romney (Utah, l’unico a votargli contro anche nel primo impeachment), Susan Collins (Maine), Lisa Murkowski (Alaska), Ben Sasse (Nebraska) e Patrick Toomey (Pennsylvania); e gli ultimi arrivati nella fronda, Bill Cassidy (Louisiana) e la novità dell’ultima ora Richard Burr (North Carolina). Il leader dei senatori dem Chuck Schumer li elogia come “patrioti”. Ma Cassidy ha già ricevuto una mozione di censura nel suo Stato.

Dopo il verdetto, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha definito il comportamento di McConnell “patetico” e i repubblicani “dei codardi che hanno avuto paura di fare il loro lavoro rispettando l’istituzione in cui servono”. La Pelosi ha contestato a McConnell di non avere convocato il Senato subito, per avviare il processo quando Trump era ancora in carica, e d’avere poi usato questo ritardo come motivo per assolverlo.

Il leader dei democratici al Senato Chuck Schumer ha detto: “Trump merita di essere condannato e sarà condannato dal tribunale dell’opinione pubblica … Merita di essere screditato definitivamente e lo è già stato agli occhi degli americani e nel giudizio della storia”.

Il processo s’è chiuso più rapidamente del previsto, in meno di una settimana. Sabato, tutti i media Usa preannunciavano un verdetto in giornata, basandosi sulla fretta di chiudere il procedimento manifestata sia dai democratici, convinti di non farcela, sia dai repubblicani, imbarazzati a farsi carico del comportamento di Trump il 6 gennaio.

Il verdetto appariva scontato, soprattutto dopo che il leader dei repubblicani al Senato McConnell aveva espresso in una mail ai colleghi l’intenzione di votare contro l’impeachment, pur lasciando libertà di voto secondo coscienza. McConnell sposa la tesi dell’incostituzionalità dell’impeachment contro un presidente già decaduto. La condotta criminale di un presidente può essere perseguita dalla giustizia ordinaria, una volta che ha lasciato il suo incarico.

Dal canto suo, il presidente Joe Biden, che è sempre rimasto ai margini della vicenda, dando priorità all’attuazione della sua agenda, s’aspettava che i repubblicani si assumessero le loro responsabilità perché quanto accaduto il 6 gennaio “non possa più accadere di nuovo”. Dopo il verdetto, Biden, deluso, ma non sorpreso, ha detto che le responsabilità di Trump “sono indiscutibili” e che l’attacco al Congresso dimostra che “la democrazia è fragile” e che “deve essere sempre difesa”.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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