Lo scenario è da guerra civile: la capitale federale blindata da polizia e guardia nazionale e centinaia di ‘trumpiani’ che aizzati dal presidente attaccano la democrazia, assediano il Campidoglio, gli danno l’assalto e vi si introducono, alcuni armati, inducendo parlamentari e funzionari ad evacuare due edifici e costringendo i parlamentari a sospendere i lavori. Le immagini televisivi mostrano agenti dell’Fbi con le armi in pugno nell’aula del Senato, un energumeno che si siede sullo scranno del presidente del Senato e un altro su quello della presidente della Camera; altri fatti sdraiare a terra nei corridoi con le mani sopra la testa; c’è notizia di una donna gravemente ferita da un colpo d’arma da fuoco, s’ignora in che circostanze.
Fatti senza precedenti a Washington. Il presidente eletto Joe Biden denuncia il presidente uscente Donald Trump per avere infiammato gli animi dei suoi sostenitori con ripetute false affermazioni sulle “elezioni rubate” e parla di minaccia senza precedenti alla democrazia negli Usa. E i media constatano l’inazione del presidente, che, dopo avere fomentato i suoi fan, si limita a un appello perché rispettino la polizia e le forze dell’ordine, che “sono dalla nostra parte”, senza però tutelare le Istituzioni. Poi, finalmente compare in televisione, dopo che Biden quasi gli ha ingiunto da farlo: “Andate a casa”, dice, insistendo, però, che le elezioni sono state rubate e criticando il suo vice Mike Pence per la mancanza di coraggio nel difenderlo.
Nelle strade di Washington giungono rinforzi dalla Virginia, a dare man forte ai 340 militari della Guardia Nazionale che affiancano la Metropolitan Police per mantenere l’ordine, dopo tafferugli la notte tra martedì e mercoledì, vicino alla Casa Bianca. Molte strade sono bloccate con mezzi pesanti, i controlli sono stringenti. Ma i manifestanti, spinti dalle parole incendiarie di Trump, premono all’ingresso dell’edificio del Congresso.
Per il magnate presidente, è il giorno più nero: lui che vuole sempre vincere si trova cucita addosso l’etichetta di ‘looser’, perdente. Ma Trump non s’arrende né al diritto né all’evidenza: rilancia accuse di brogli e truffe, sempre senza lo straccio d’una prova; e arringa i suoi fan all’Ellipse, a sud della Casa Bianca, al raduno ‘Save America’.
Ai suoi sostenitori, che non sono una folla oceanica, Donald il perdente propina l’ultima fake news: “Se Mike Pence fa la cosa giusta, vinciamo le elezioni”, mettendo pressione sul suo vice perché ribalti nella plenaria del Congresso il risultato del voto. E bolla come “deboli” i repubblicani che intendono certificare la vittoria di Biden.
Pence presiede la riunione congiunta di Camera e Senato, che deve prendere atto del voto espresso il 14 dicembre dal Collegio elettorale: 306 per Biden e 232 per Trump. “Gli Stati – dice il magnate – vogliono correggere i loro suffragi che sanno essere basati su irregolarità e frodi. Tutto quello che Mike deve fare è rinviarli agli Stati, così VINCEREMO. Fallo Mike, è l’ora dell’estremo coraggio”.
Le possibilità di un colpo di mano istituzionale riposa sull’iniziativa di una dozzina di senatori, guidati dall’ex aspirante alla nomination Ted Cruz, e di decine di deputati repubblicani che contestano, nella plenaria del Congresso, i voti nei sei Stati più contesi, quelli dove Trump ha invano presentato ricorsi, tutti respinti fino alla Corte Suprema. Si comincia, in ordine alfabetico, dall’Arizona: quando viene annunciata la prima contestazione, l’applauso che l’accompagna dà una misura del sostegno alla mossa, largo, ma non maggioritario.
La procedura prevede che, se almeno un deputato e un senatore sollevano obiezioni ai voti espressi dal Collegio elettorale, il Congresso interrompa la plenaria e le due camere ne discutano separatamente per un massimo di due ore e poi votino. Per ribaltare il risultato dei Grandi Elettori occorre il consenso di entrambi i rami del Congresso e, dato che i democratici sono comunque maggioranza alla Camera, a prescindere dai risultati della Georgia, ogni contestazione sembra destinata al fallimento, ma creerà confusione e ritardi. In un discorso carico di emotività, il leader dei repubblicani in Senato Mitch McConnell prende le distanze dalla contestazione dei risultati: “Rovesciare l’esito del voto spingerebbe la nostra democrazia in una spirale mortale”. Poi, l’attacco alla democrazia dei ‘trumpiani’ e la sospensione dei lavori.