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Usa 2020: l’era Biden si profila, l’era Trump si sgretola

Scritto per La Voce e il Tempo uscito il 17/12/2020 in data 20/12/2020 e, in versione diversa, per il Corriere di Saluzzo del 17/12/2020

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L’ ‘era Biden’ comincerà il 20 gennaio 2021, con il giuramento e l’insediamento del 46° presidente degli Stati Uniti alla Casa Bianca. Ma l’ ‘era Trump’ ha già cominciato a sgretolarsi, subito dopo che i Grandi Elettori hanno ufficializzato, lunedì 14, la sconfitta del magnate.

Anche il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell ha ormai riconosciuto che gli Usa hanno un nuovo presidente eletto, congratulandosi con Joe Biden.

Il passo di McConnell ha suscitato reazioni opposte, da parte di Biden e di Donald Trump. Biden l’ha chiamato per ringraziarlo e ha avuto con lui una “buona conversazione” – dicono fonti dello staff del presidente eletto -: i due, nonostante le divisioni politiche, sono legati da una vecchia e franca amicizia consolidata nei tanti anni – una trentina – trascorsi insieme al Senato.

Trump, invece, ha twittato per l’ennesima volta: “Incredibili prove stanno emergendo sulle frodi nelle elezioni. Non ce n’è mai stata una frode così nel nostro Paese!”.

Altri segnali inequivocabili che la partita dell’Election Day, protrattasi per sei settimane, è finita sono state le congratulazioni a Biden arrivate dai leader più refrattari a riconoscerne la vittoria, o perché ligi alla forma – il messicano Lopez Obrador – o perché legati a Trump – il brasiliano Bolsonaro – o perché un po’ l’uno e un po’ l’altro – il russo Putin -.

I voti espressi in ogni Stato, contati e certificati, saranno trasmessi al presidente del Senato, il vice-presidente Mike Pence. Le schede dovranno arrivare a Washington entro il 23 dicembre, mentre il conteggio ufficiale con la proclamazione del nuovo presidente e del nuovo vice-presidente lo farà in seduta plenaria il nuovo Congresso il 6 gennaio, tre giorni dopo essersi insediato. In quella sede potrebbero ancora esserci contestazioni ma è altamente improbabile un ribaltamento del voto in uno o più Stati, che richiede il consenso di entrambi i rami del Congresso – la Camera è già in mano ai democratici; il controllo del Senato dipende dall’esito dei ballottaggi del 5 gennaio -.

Tutto sarà allora pronto per l’Inauguration Day del 20 gennaio, quando Joe Biden e Kamala Harris giureranno e si insedieranno alla Casa Bianca. Quel giorno, Trump ha già programmato un comizio in Florida, per annunciare la sua candidatura a Usa 2024.

Il ‘discorso della Vittoria’ – Per gli Stati Uniti, “è ora di voltare pagina”, ha detto Biden, subito dopo che il Collegio elettorale aveva avallato – senza colpi di scena – la sua vittoria: 306 i Grandi Elettori a suo favore, 232 quelli per Trump – per essere eletti, ne servivano 270 -. Un risultato esattamente speculare a quello del 2016.

Nel suo discorso, Biden ha denunciato le mene di Trump per rovesciare l’esito del voto e ha invitato a superare beghe e litigi: “In questa battaglia per l’anima dell’America, la democrazia ha prevalso. Noi il popolo abbiamo votato. La fede nelle nostre Istituzioni ha tenuto. L’integrità del sistema resta intatta. E’ ora di voltare pagina, come abbiamo sempre fatto nella nostra storia, Per unirci. E sanare le divisioni … Sarò il presidente di tutti gli americani”.

E, ricordando che nel 2016 Trump definì “schiacciante” la sua vittoria con identico risultato, Biden ha “rispettosamente” suggerito al magnate presidente di accettare il verdetto. Il presidente eletto ha quindi rilevato che Trump a la sua campagna “hanno presentato decine e decine di ricorsi legali, tutti giudicati senza fondamento”, fino al verdetto finale della Corte Suprema, “un chiaro segnale”: “E’ una posizione così estrema che non abbiamo mai visto prima, di chi si rifiuta di rispettare la volontà del popolo, lo stato di diritto e di onorare la nostra Costituzione”.

Il fervorino pronunciato a Wilmington, Delaware, è stato un ‘discorso della Vittoria’ bis, dopo quello fatto il 7 novembre, quando aveva raggiunto la certezza di essere il presidente eletto. Biden ha ricordato che “la fiamma della democrazia fu accesa in questa Nazione molto tempo fa. E ora sappiamo che nulla, neppure una pandemia o un abuso di potere, può estinguere quella fiamma … Se nessuno lo sapeva prima, ora lo sappiamo. Quello che batte forte nei cuori del popolo americano è la democrazia. Il diritto d’essere ascoltati, di vedere contato il proprio voto, di scegliere i leader …, di governare noi stessi. In America i politici non prendono il potere: il popolo lo concede loro”.

Il presidente eletto ha concluso con un impegno che certo ribadirà solennemente il 20 gennaio, all’insediamento: “Lavorerò duro per quelli che non mi hanno votato così come farò per quelli mi hanno sostenuto … C’è un lavoro urgente davanti a tutti noi: mettere la pandemia sotto controllo vaccinando la nazione contro questo virus, fornire immediato aiuto economico fortemente necessario a moltissimi americani … e poi ricostruire meglio che mai la nostra economia”.

L’Unione nella pandemia e i segni della disgregazione – La fine della partita presidenziale, mugugni di Trump a parte, ha coinciso con l’inizio nell’Unione delle vaccinazioni anti-coronavirus: un doppio segnale di speranza e di rinascita, nel Paese più colpito al Mondo in assoluto dalla pandemia, che supererà i 17 milioni di casi in settimana e che ha già avuto oltre 305.000 vittime, cento volte l’11 Settembre 2001, un 11 Settembre al giorno in questo tragico dicembre.

E mentre la campagna di vaccinazioni anti-coronavirus prosegue, il virologo Anthony Fauci invita Biden e la sua vice Kamala Harris a farsi vaccinare al più presto. La raccomandazione di Fauci coincide coi timori per la salute di Biden ravvivati dalla tosse e dalla raucedine esibite lunedì sera, facendo il discorso della vittoria. “E’ solo un po’ di raffreddore”, tranquillizza il presidente eletto, che, avendo 78 anni, è un soggetto a rischio.

Fronte famiglia Trump, pare che ne ritroveremo un sacco in politica, nei prossimi anni: il magnate e patriarca vuole ricandidarsi nel 2024; Ivanka potrebbe correre in Florida per il Senato sfidando nelle primarie Marco Rubio; Lara, la nuora, intende farlo in South Carolina. Pensa e un futuro politico anche Donald Jr, il primogenito, che piace molto alla base più conservatrice del partito repubblicano e che, diversamente da Ivanka, condivide gli aspetti più rozzi del carattere paterno. E ha ambizioni pure Jared, il genero. Vedremo quanti questi propositi resistono al tempo e alla perdita del potere.

E la giustizia ordinaria accelera le sue inchieste sugli affari del magnate, che intrecciava pubblico e privato: la magistratura di New York impone alla Trump Organization la consegna dei documenti d’una proprietà sui cui sgravi fiscali s’indaga. L’ordine può creare un precedente per tutte le altre richieste di documenti finora inevase, nell’intreccio di inchieste sui redditi dei Trump. Neppure se Donald trovasse il modo di graziare se stesso prima della fine del mandato – procedura discutibile, dal punto di vista costituzionale -, sarebbe al riparo dagli strali dei giudici: la clemenza riguarderebbe solo i reati federali.

L’Amministrazione dei ‘vice’ – Al governo dei vice dei tempi di Barack Obama promossi titolari, a iniziare dal comandante in capo di riserva Joe Biden, il tassello più importante che ancora manca è il segretario alla Giustizia; anzi, probabilmente la segretaria alla Giustizia, dato che le favorite sono due donne, Sally Yates, 60 anni, ex vice di Loretta Lynch, e Lisa Monaco, 52 anni, ex zarina dell’antiterrorismo. Ma sono pure citati i nomi dell’ex direttore della Cia, Michael Morell, e del governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ‘azzoppato’ dalla denuncia d’una collaboratrice in carriera – politica – che si sentiva turbata dai suoi sguardi e dai suoi commenti.

La Yates avrebbe già avuto il posto, se non fosse invisa ai repubblicani: rischia infatti la bocciatura, se il Senato sarà ancora controllato da loro – lo si saprà il 5 gennaio, dopo i referendum in Georgia: ieri, Biden è stato ad Atlanta, per sostenere i candidati democratici -. Una preoccupazione che ha già indotto Biden, che vuole governare con il compromesso e non ‘muro contro muro’, a rinunciare a Susan Rice al Dipartimento di Stato, relegandola a un ruolo di politica interna non soggetto a conferma del Senato.

Per un segretario alla Giustizia in arrivo, ce n’è uno che se ne va: lunedì, mentre si suggellava l’esito delle presidenziali, con il voto pro Biden del Collegio elettorale, Trump, che non ha tuttora riconosciuto la sconfitta, annunciava le dimissioni del segretario alla Giustizia William Barr.

Il posto di Barr sarà preso dal suo vice Jeff Rosen, che sarà sostituito da Richard Donoghue. Trump era ai ferri corti con Barr, che aveva negato brogli di massa nelle elezioni e che non aveva reso nota prima del voto l’inchiesta avviata nei confronti di Hunter Biden, il figlio di Joe. Ma, al momento della separazione, Trump, per una volta, non ha esacerbato i toni.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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