La speranza, si dice, è sempre l’ultima a morire. E Jeon Kwang-jin, cittadino nordcoreano di 26 anni, di speranza ne ha da vendere: nel luglio del 2019 ha lasciato la Corea del Nord, rifugiandosi in un campo profughi in Thailandia per quattro mesi, dopo aver attraversato la Cina.
Il suo sogno è da sempre quello di andare a vivere negli USA, come ha raccontato ai microfoni della BBC Korea. Attendeva una chiamata dall’ambasciata americana quando la pandemia ha spezzato tutti i suoi progetti: uno dei prigionieri del campo in cui si trovava ha mostrato sintomi da Covid-19. Jeon, essendo in isolamento e non parlando la lingua locale, ha appreso tardi della comparsa di un focolaio nel campo.
Avviate le procedure di rimpatrio dalle autorità thailandesi, Jeon si è visto costretto al ritorno in Cina non senza difficoltà. Da metà gennaio infatti la Cina ha rafforzato i controlli sulla mobilità, ostacolando gli spostamenti. Ai presidi militari tra una provincia e l’altra, i rifugiati sono tenuti presentare certificati medici attestanti la negatività al Covid-19. I blocchi sono stati imposti tra aree interne e ai confini con Laos, Vietnam e per i cittadini thailandesi.
Gli sforzi della Corea del Nord per difendersi dal virus non fanno che peggiorare le condizioni della popolazione al confine inter-coreano e di coloro che sono costretti a rientrare nel Paese d’origine come disertori, per cui è già prevista la pena capitale.
Nel frattempo, secondo Le Courrier international , il 27 novembre il Nis (National Intelligence Service) sudcoreano ha affermato di aver impedito un tentativo di hacking nordcoreano mirato a una società farmaceutica di Seul per ottenere informazioni sul vaccino. Ufficialmente Pyongyang non conta ad oggi alcun contagio, ma nonostante ciò sta attuando misure di controllo sempre più severe per impedire la diffusione di Covid-19 nel Paese.
Misure che lo stesso servizio di intelligence sudcoreano definisce “prive di buon senso” e “irrazionali” per l’impatto socio-economico. Un esempio lampante, come riportato da The North Korea Times, è il muro di ispirazione trumpiana vicino alla linea di demarcazione militare con il Sud. La costruzione è stata ordinata in seguito al ritrovamento di merci straniere non autorizzate introdotte nei confini nazionali, per cui sarebbero stati giustiziati due funzionari.
O ancora il divieto di pesca in mare, il fermo alla produzione di sale marino e lo smaltimento immediato dei rifiuti provenienti dall’oceano dovuti al timore infondato di Kim Jong-un che il virus potesse diffondersi attraverso l’acqua di mare.
L’impatto della pandemia è quindi di gran lunga maggiore per i rifugiati che si trovano a rischiare la morte, fuggendo da aree pericolose, per cercare una nuova vita. E l’esempio di Jeon e di altri profughi come lui è emblematico. Le organizzazioni per i diritti umani affermano che i migranti privi di documenti vivono nel timore di contrarre il Covid-19 e dalla paura di un rimpatrio nel proprio Paese.
Daily Bugle, Emiliano Angelucci, Erica Bono, Elena Duranti, Lucie Vagenheim, Alessandro Zoppeddu