Tra Israele ed Egitto c’è una Striscia di terra dove l’infanzia non esiste. Chi nasce a Gaza, fin dal primo giorno di vita, impara a convivere con povertà, fame, guerra. Con gli arresti di centinaia e centinaia di bambini. Da decenni, il suono delle risate dei più piccoli lascia spesso spazio al rumore assordante delle bombe; per i più giovani, la formazione scolastica sembra essere l’unica àncora di salvezza. Ma la pandemia è arrivata anche qui.
Otto mesi fa, il governo ha deciso di chiudere le scuole per far fronte all’emergenza coronavirus. E gli studenti di Gaza, come molti coetanei nel mondo, hanno trovato ostacoli sulla strada per l’istruzione. In un contesto già di per sé drammatico, in un territorio messo in ginocchio da anni di conflitto israelo-palestinese, il Covid ha amplificato i disagi economici e psicosociali.
“Ho molte paure”, racconta la piccola Razan Zidan, di appena nove anni. “Odio il coronavirus. A causa sua, non riesco a vedere i miei amici. Mi manca giocare con loro e mi manca anche la mia scuola. Ho anche paura delle guerre. Mi spaventano moltissimo. Odio il suono prodotto dagli aerei da guerra e il suono dei bombardamenti”. Il suo sogno, da grande, è quello di fare la stilista: “Voglio poter disegnare vestiti bellissimi per tutti i bambini della Palestina.”
C’è chi, come la sua coetanea Malak Judah, ama cantare e recitare poesie. A nove anni, Malak sa già cosa vuol dire rischiare di soffocare a causa dei gas lacrimogeni: “E ora la situazione è ancora più critica, soprattutto dopo la diffusione della pandemia. Mi mancano la scuola, i miei insegnanti… Non abbiamo idea di quando torneremo a scuola. È come vivere un’altra guerra contro Gaza.”
Per le famiglie non è facile far fronte alle esigenze scolastiche. Lo sanno i quattro figli di Walaa Jamal, 33 anni: un vecchio smartphone è tutto ciò che la famiglia possiede per garantire la loro istruzione. Comprarne uno nuovo non è possibile: il marito di Walaa, sarto e con uno stipendio irrisorio, non può permetterselo. “L’apprendimento da remoto è estenuante, ma non c’è opzione. I bambini non hanno libri…”, afferma la donna. Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica palestinese, nella Striscia di Gaza il 29% delle famiglie ha solo un dispositivo per abitazione.
Ma le difficoltà non finiscono qui. Se un grande ostacolo è la povertà, la scarsa connessione a Internet non è da meno. Stando all’Unicef, sono circa 360.000 i bambini totalmente privi di rete. Israele, che da tredici anni causa a Gaza regolari carenze di elettricità, vieta ancora il servizio dati 3G, provocando ulteriori difficoltà.
Non solo le famiglie lanciano un appello al ministro dell’Istruzione ma anche gli insegnanti: “L’apprendimento da remoto non ha raggiunto il suo scopo” afferma Amal Mohamed, 45 anni, insegnante di arabo alla scuola Unrwa di Gaza City. “Solo 10 studenti su 40 frequentano le mie lezioni e seguono WhatsApp. Tornare nelle scuole è una sfida, ma è l’unica soluzione saggia.” C’è da sperare che, almeno questo appello, non resti inascoltato.
#sempresulpezzo, Federica Concas, Denise De Lazzer, Ilaria Marciano, Valeria Pantani, Alexandra Suraj, Pasquale Videtta