Emarginato in casa propria per quattro anni, l’establishment è tornato: Joe Biden, l’ ‘usato sicuro’ della politica statunitense, sta costruendo una squadra di soliti noti della Washington democratica, dove contano l’affidabilità e la competenza. Del resto, nessuno poteva aspettarsi fuochi d’artificio dallo ‘zio Joe’: molte donne in posizioni inedite – la sua vice Kamala Harris, Janet Yellen al Tesoro e Avril Haines all’Intelligence –; bianchi, neri e ispanici ben bilanciati; ma anche molta attenzione agli equilibri politici. Così, restano in panchina le icone della sinistra ‘sanderista’ e socialista (anche se per il senatore Bernie Sanders potrebbe sempre esserci un posto al Lavoro).
Donald Trump trangugia amaro: dà il via al processo di transizione a denti stretti, senza rinunciare ai ricorsi e senza riconoscere la sconfitta. Ma in realtà è ‘game over’: il 20 gennaio Joe Biden diventerà il 46° presidente degli Stati Uniti.
La Borsa festeggia le nomine di Biden e l’inizio della resa di Trump battendo tutti i record. Martedì, gli indicatori di Wall Street stabiliscono nuovi massimi – il Dow Jones va per la prima volta sopra quota 30 mila – perché dissiparsi dell’incertezza e arrivo dei vaccini fanno sperare un miglioramento della situazione sanitaria e quindi una ripresa dell’economia.
Anche se l’epidemia galoppa: oltre 150 mila casi al giorno in media e fino ad oltre 2000 vittime: alla mezzanotte di sulla East Coast, secondo i dati della John’s Hopkins University, i contagi da coronavirus nell’Unione superavano i 12.591.000 e i decessi erano quasi 260.000.
Giovanni Russonello, cronista politico del New York Times, scrive che l’Amministrazione Biden rappresenta, nella sua composizione, una netta rottura con quella Trump, ma anche la solita solfa con le Amministrazioni democratiche precedenti. Sul Washington Post, Ishaan Tharoor sintetizza così diversi articoli: “Le nomine di Biden offrono i primi spiragli su quel che sarà il suo mandato … Se la squadra di Trump doveva scuotere i pilastri del governo e dell’ordine globale, quella di Biden appare costruita per restaurare quei pilastri con gente che ha già ricoperto ruoli simili in passato”.
Il messaggio implicito è il ritorno al governo della competenza e la fine dei ‘tagliatori di teste’ trumpiani paracadutati nei palazzi del potere. Biden vuole tirare su il morale a funzionari e diplomatici che Trump trattava da ‘apparatchiks’ e considerava ‘deep State’ – in effetti, lo erano: proprio la loro resistenza ha limitato i danni dell’ ‘era Trump’ -.
A costo di lasciare sul terreno bocciati eccellenti: di Elizabeth Warren, che spaventa Wall Street, già si sapeva; ma si aggiungono Susan Rice, che non va agli Esteri perché i repubblicani in Senato l’avrebbero bocciata, e Lael Brainard, che resta alla Fed, forse per divenirne presidente fra due anni. Nella sua prima intervista televisiva da presidente eletto, Biden è cautissimo sull’ingresso in squadra di figure iconiche della sinistra progressista: “Bisogna essere prudenti a togliere dal Congresso personalità di peso”, dice – un riferimento ai senatori Sanders e Warren e alla pattuglia di deputati che gravitano intorno alla pasionaria di New York Alexandria Ocasio-Cortez -.
di qui in avanti stralci da https://www.giampierogramaglia.eu/gpnewsusa2020/2020/11/23/usa-2020-biden-prime-nomine/ e https://www.giampierogramaglia.eu/gpnewsusa2020/2020/11/24/usa-2020-trump-transizione-biden-yellen/
I primi pezzi della nuova squadra e i suoi compiti – Il nuovo segretario di Stato è un diplomatico di grande esperienza, Anthony Blinken. E pure rodati sono il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, la rappresentante degli Usa all’Onu Linda Thomas-Greenfield e il responsabile della Sicurezza interna Alejandro Mayorkas, ispanico – il primo in quel ruolo -. L’ex segretario di Stato John Kerry, candidato 2004 alla Casa Bianca, sarà l’inviato speciale sul clima.
Sono tutte persone con cui Biden ha già lavorato, negli otto anni da vice di Barack Obama e durante la campagna. Il presidente eletto s’affretta a precisare: “Il mio non sarà un terzo mandato Obama”; e assicura che la sua Amministrazione sarà “di rottura e di cambiamento radicale” rispetto a Trump, ma segnerà anche una svolta rispetto agli otto anni di Obama alla Casa Bianca, perché “oggi il Mondo è totalmente differente”.
Un Mondo dove gli Stati Uniti vogliono riprendersi “il loro posto a capo tavola”, dopo che “l’America First ci ha auto-isolati”. La nuova squadra di politica estera è stata selezionata proprio con quell’obiettivo: “Ho bisogno d’un team pronto sin dal primo giorno” e per questo “ho scelto persone esperte”, ma anche “innovative e fantasiose”.
Blinken, 58 anni, avrà il compito di riposizionare e rilanciare gli Stati Uniti sulla scena mondiale: iniziò la carriera diplomatica durante l’Amministrazione Clinton. Laureato ad Harvard, Blinken fa politica dalla fine degli Anni 80, quando contribuì alla campagna elettorale di Michael Dukakis. Nella campagna di Biden, ha avuto un ruolo di primo piano, sempre accanto al presidente ora eletto in tutte le decisioni più importanti.
E’ uomo colto, cresciuto con la madre a Parigi – c’è chi lo definisce “francofilo” – in una casa frequentata da artisti e intellettuali. Ha una band musicale chiamata ‘Ablinken’, che lui stesso suggerisce di seguire su Spotify nel suo account Twitter. Lui canta e suona la chitarra elettrica, registrando musica originale, con citazioni del rock classico Anni 70 e del R&B.
Nulla a che vedere con il manager del petrolio texano Rex Tillerson, fisicamente una montagna, o con l’ex senatore del Kansas Mike Pompeo, che ha passato il tempo a litigare su basi ideologiche con l’Iran e la Cina e la stampa e a cercare di costruirsi un – improbabile – futuro da presidente.
Biden: latte e miele con Ue e Nato – Il nuovo tono, che è poi un vecchio stile, del team Biden lo si coglie nei primi contatti con leader di tutto il Mondo. Alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il presidente eletto dice che “un’Unione europea forte è interesse degli Stati Uniti”, esprimendo “l’impegno ad approfondire e rivitalizzare la relazione Usa-Ue”. Tra le priorità della cooperazione, la lotta contro la pandemia e gli sforzi per la ripresa e il clima. In agenda anche Iran, Bielorussia, Ucraina e Balcani occidentali.
E nel colloquio col segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, Biden – sottolinea “l’importanza dell’Alleanza per la sicurezza Usa ed europea” e rinnova “l’impegno degli Stati Uniti verso la Nato, compreso il principio fondamentale della difesa collettiva in base all’articolo 5, nonché il desiderio di consultarsi cogli alleati su tutta la gamma delle questioni della sicurezza transatlantica”.
Trump è sempre stato freddo verso l’integrazione europea, privilegiando rapporti coi singoli Paesi, e ha più volte messo in discussione il principio Nato di mutua difesa.
I primi passi dell’Amministrazione Biden – Di solito, ci si chiede cosa farà un nuovo presidente degli Stati Uniti. Di Biden, invece, ci si chiede soprattutto cosa disferà: smantellare l’eredità d’insicurezza che il suo predecessore gli lascia.
Ci sono passi indietro che sono nel programma di Biden: il ritorno negli accordi di Parigi sul clima potrebbe essere la prima o una delle prime decisioni del nuovo presidente, magari abbinata a misure per frenare trivellazioni – che Trump sta spingendo, anche nell’Artico, con decreti last minute – e fracking. Altri passi relativamente agevoli saranno il ritorno degli Usa nell’Oms e nell’Unesco, Agenzie dell’Onu rispettivamente per la sanità e la cultura.
Pechino e Mosca si aspettano la levata di sanzioni imposte a vario titolo – quelle a Mosca risalgono in parte a Obama e all’annessione della Crimea -: ci vorrà tempo e il miglioramento del clima politico ed economico internazionale. La Corea del Nord vorrebbe ‘passare all’incasso’ dell’apertura di credito fatta da Trump al dittatore dinastico Kim Jong-un: improbabile che accada, senza contropartita.
Sugli accordi di disarmo denunciati da Trump, a partire da quello sugli euromissili, il problema non è fare un passo indietro, ma un passo avanti: creare le condizioni, che ora non ci sono, per negoziare un nuovo quadro di sicurezza internazionale, coinvolgendo la Cina, oltre che la Russia.
Il ripristino dell’accordo sul nucleare con l’Iran, avallato da Russia, Cina e Ue, con Gran Bretagna, Francia e Germania, è il passo indietro più difficile, fra quelli che il Mondo s’attende che Biden faccia, una volta insediatosi alla Casa Bianca il 20 gennaio.
La marcia indietro sul nucleare iraniano, come su tutte le mosse di Trump in Medio Oriente, appare problematica perché potrebbe suscitare diffidenze in Senato e ostilità nelle lobbies ebraiche. E, infatti, Biden ipotizza modifiche all’intesa, per farne ‘digerire’ il ripristino.
Ma l’Iran mette i puntini sulle i: se l’Amministrazione Biden deciderà di tornare nell’intesa del 2015 (Jcpoa), Teheran riprenderà “automaticamente e rapidamente”, senza bisogno d’ulteriori negoziati, a rispettare interamente gli obblighi derivanti dall’intesa. Parola del ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Che aggiunge: “È una buona cosa che Biden voglia tornare” all’accordo, “ma dev’essere chiaro che l’Iran non accetterà alcuna condizione”.
Un percorso in salita, o almeno uno slalom stretto, per il duo Biden – Blinken. Teheran non rispetta il Jcpoa dopo il ritiro unilaterale degli Usa e la reintroduzione e l’inasprimento delle sanzioni. Secondo l’ultimo rapporto Aiea, le riserve iraniano d’uranio arricchito, ma non per usi militari, hanno raggiunto un livello 12 volte superiore a quello consentito.