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Usa 2020: Kennedy – Nixon, quando il dibattito fu virtuale

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/10/2020

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Donald Trump non l’ha voluto fare, il dibattito virtuale causa coronavirus con Joe Biden, pensando che fosse un’aberrazione (e che gli togliesse i vantaggi dell’aggressività e del microfono aperto) e invocando il rispetto della tradizione. Ma, se si fosse fatto, non sarebbe stato una novità assoluta, per una campagna presidenziale: nel 1960, l’anno stesso dell’introduzione dei dibattiti televisivi, John F. Kennedy e Richard Nixon ne concordarono quattro; e uno di questi, il terzo, il 13 ottobre, fu virtuale, Kennedy negli studi della Abc a New York, Nixon in quelli di Hollywood in California.

In quell’occasione, con lo schermo in bianco e nero diviso in due per soli 15” – un prodigio all’epoca, perché le trasmissioni satellitari non esistevano ancora -, così da mostrare l’uno virtualmente di fronte all’altro i due candidati, il focus della discussione fu la Cina, che non era ancora un competitore economico, ma un nemico comunista: Nixon, che 12 anni dopo sarebbe stato protagonista della ‘diplomazia di ping-pong’, contestò a Kennedy l’intenzione di lasciare che Pechino si impadronisse delle isole di Quemoy e Matsu, che nessun americano sapeva dov’erano.

Il moderatore era un anchorman della Abc News, Bill Shadel, che era a Chicago insieme a un panel di quattro reporter: introducendo il dibattito, sottolineò come una meraviglia della tecnologia il fatto che i due protagonisti, benché separati l’un l’altro da quasi tremila miglia, 5.000 chilometri, potevano sentirsi e vedersi in tempo reale.

Nel 1967, ci fu qualcos’altro di simile, ma non si trattava di un dibattito presidenziale: Robert F. Kennedy, il fratello di JfK, allora impegnato nella campagna presidenziale che si sarebbe tragicamente conclusa l’anno dopo, la notte tra il 5 e 6 giugno, nelle cucine dell’Hotel Ambassador di Los Angeles, e Ronald Reagan parteciparono a un dibattito pomposamente chiamato ‘Town meeting of the World: il moderatore Charles Collingwood era a Londra con un gruppo di studenti che facevano le domande, i due rispondevano dall’America per la prima volta via satellite.

Nel 1960, il primo dibattito televisivo fra due candidati alla presidenza s’era svolto il 26 settembre, a Chicago: destinato a priori a entrare nella storia della comunicazione politica televisiva, divenne un caso di scuola anche per gli errori fatti da Nixon e dalla sua campagna – il vestito pied-de-poule che si confondeva con il fondo grigio, il cerone che colava sotto il calore delle luci televisive allora implacabili, i postumi di un raffreddore che lo costringeva ad asciugarsi spesso il naso, mentre Kennedy, più giovane, più bello, più telegenico, si stagliava vestito di nero sul fondale e conquistava l’attenzione del pubblico – e probabilmente vinse lì le elezioni -.

Quell’anno ci furono quattro dibattiti presidenziali, che vennero chiamati ‘The Great Debates’, ma non ci fu quello fra i candidati vice-presidenti, entrato nei programmi solo nel ‘64. Il secondo si svolse il 7 ottobre a Washington, il terzo fu quello virtuale il 13, il quarto si tenne il 21 a New York. Il più visto in assoluto fu il primo, seguito dal terzo, che ebbe 64 milioni di spettatori, un’audience altissima, superiore a quelle attuali, nonostante la popolazione Usa sia aumentata e la disponibilità dei televisori si sia moltiplicata.

Sul Los Angeles Times, Stephen Battaglio, uno specialista di televisione, ricostruisce i retroscena del primo e ancora unico dibattito virtuale delle presidenziali statunitensi, con l’aiuto del politologo Larry sabato e dello storico Michael Beschloss. Battaglio ricorda che l’Abc, messa sotto pressione dalle due campagne, fece di tutto per evitare che l’uno o l’altro candidato si sentisse svantaggiato: allestì due studi identici per dimensioni, arredamento e colori, utilizzando la stessa latta di vernice per dipingere le scrivanie di Kennedy e Nixon. La differenza stava nella temperatura: Nixon, che aveva già palesato al pubblico la tendenza a sudare nel primo dibattito, volle l’aria condizionata programmata sui 18 gradi, Kennedy sui 22; inoltre, Nixon, che nel primo dibattito non s’era curato d’avere un make-up professionale, assunse un ‘truccatore dei divi’, Claude Thompson, che almeno gli evitò d’apparire pallido ed emaciato.

Nonostante tutte le precauzioni, appena i riflettori si spensero cominciarono le polemiche: Nixon lamentò che Kennedy aveva sul tavolo degli appunti, che non erano permessi. Il portavoce di JfK, che era Pierre Salinger, replicò che erano citazioni da fare in modo preciso; e lo stesso Kennedy spiegò: “Se devo citare il presidente degli Stati Uniti in materia di sicurezza nazionale, devo farlo con accuratezza”. Nixon non parve soddisfatto, ma siccome non c’erano i social a rilanciare botta e risposta, tutto finì lì.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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