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Usa 2020: Trump s’affida al voto di avvocati e giudici

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/09/2020

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Le frasi di Donald Trump paiono a volte buttate lì un po’ per caso: la scorsa settimana, il magnate s’è più volte rifiutato di impegnarsi ad accettare l’esito delle elezioni e un passaggio delle consegne pacifico, se dovesse perdere. Vuole essere certo che il voto sia “onesto”, ma non è sicuro che possa esserlo, con tutti quelle schede per posta che rappresentano – lui dice – “un grande imbroglio”. Il presidente candidato semina dubbi sulla regolarità delle elezioni, creandosi un alibi per rigettarne il risultato. Un’idea balzana? Niente affatto: si scopre, anzi lo scopre Politico, che da più di un anno Trump s’è dotato di “una massiccia rete legale” per contestare l’esito del voto. “Sono stati arruolati decine di avvocati di tre grandi studi, sono stati reclutati migliaia di avvocati volontari e controllori ai seggi. E i repubblicani stanno preparando ricorsi da presentare alle corti il giorno dopo il voto”. Politico racconta che avvocati disponibili là dove il risultato sarà troppo netto per essere confutato, lo Stato di New York, l’Illinois, la California, sono stati spediti in Stati in bilico a studiarne le leggi e a preparare i ricorsi.

L’incubo di elezioni infinite si staglia quindi all’orizzonte di Usa 2020, come accadde nel 2000, quando la conta e riconta dei voti andò avanti per settimane in Florida, finché la Corte Suprema decise che George W. Bush aveva vinto. Solo che, questa volta, la contestazione non riguarderà, quasi certamente, un solo Stato, ma tutti gli Stati dove il margine a sfavore di Trump possa essere attribuito al voto per posta, sulla carta Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, North Carolina, Florida, Arizona e forse qualcun altro.

Ecco, dunque, perché una pletora di avvocati repubblicani sui territori contesi. Ed ecco, dunque, perché tanta fretta di nominare il nuovo giudice della Corte Suprema, la fondamentalista Amy Coney Barrett, al posto della defunta Ruth Bader Ginsburg, un’icona liberal: una Corte Suprema con sei giudici conservatori e solo tre progressisti sarebbe al riparo, dovesse dirimere le vertenze legali elettorali, delle ubbie progressiste di Neil Gorsuch, il primo giudice designato da Trump, che, negli ultimi tempi, s’è fatto un po’ prendere la mano in casi scomodi per il magnate presidente.

In questa prospettiva, i dibattiti televisivi, il primo dei quali s’è svolto ieri sera, e tutta la campagna appaiono i prodromi di un esito che non sarà deciso dagli elettori, ma dai giudici. L’atteggiamento di Trump crea disagio anche fra i suoi alleati. Mitch McConnell, il leader dei senatori repubblicani, assicura che “Ci sarà una transizione ordinata”; e il Senato approva all’unanimità una risoluzione con l’impegno “a un passaggio ordinato e pacifico dei poteri come previsto dalla Costituzione”.

La speaker della Camera Nancy Pelosi invita i democratici a prepararsi all’eventualità che non ci sia un chiaro vincitore del Collegio elettorale, se nessuno dei due candidati superasse la soglia dei 270 su 538 Grandi elettori. In questo caso, toccherebbe alla Camera decidere: il procedimento è costituzionale, ma non è più evocato dal 1876. Allora, nessuno dei due rivali, il repubblicano Rutherford Hayes e il democratico Samuel Tilden, ottenne la maggioranza dei Grandi elettori, essendo i risultati di quattro Stati del Sud ex confederato contestati. Alla fine divenne presidente Hayes, pur avendo avuti meno voti popolari del suo rivale.

Se la decisione dovesse spettare alla Camera, ogni Stato esprimerebbe un solo voto, che sarebbe determinato dal conteggio dei parlamentari nelle singole delegazioni statali. Non conterebbe, quindi, la maggioranza dei deputati, che è largamente democratica, ma quella delle delegazioni: attualmente, i repubblicani ne hanno 26 e i democratici 22, con Pennsylvania e Michigan pari. Una situazione che le elezioni del 3 novembre, che rinnovano pure la Camera e un terzo del Senato, potrebbero però modificare.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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