“Dublino, Addio! (o quasi)”. Non è il titolo di un’opera postuma di James Joyce: è uno dei pilastri su cui poggia il Patto su migrazione ed asilo presentato dalla Commissione europea ai governi dei 27 e al Parlamento europeo. Il piano dell’Esecutivo di Bruxelles prevede un ammorbidimento della responsabilità del Paese di primo ingresso sui richiedenti asilo, attualmente sancita in modo rigido dal Regolamento di Dublino, che non viene abolito, ma che acquisisce elementi di flessibilità; e un meccanismo di solidarietà, che sarà vincolante sia in termini di ricollocamenti dei profughi che possono ottenere asilo nell’Ue, sia in termini di rimpatri accelerati e sponsorizzati dei migranti che non hanno titolo per restare nell’Ue.
L’incendio nel campo profughi di Moria sull’isola di Lesbo, in Grecia, dove c’erano 13 mila persone, ha acceso le coscienze dell’Europa. Come il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, 368 morti e quelle lunghe file di bare allineate in un hangar. Come la tragedia del camion in panne lungo un’autostrada austriaca, 70 cadaveri ammassati nel cassone, liquefatti dal calore del 28 agosto 2015.
C’è un “cambio di ritmo” delle Istituzioni europee sulla questione immigrazione, dopo che il tema era rimasto sotto traccia per sei mesi, sepolto sotto l’emergenza coronavirus. La Commissione ha dunque anticipato di una settimana la presentazione del pacchetto di proposte cui stava lavorando e vuole – assicura la presidente Ursula von der Leyen – “stringere i tempi della discussione sul Patto”.
C’è un po’ di cosmesi, in tutta questa sollecitudine: il Patto in sé non avrà nessun impatto positivo, almeno finché le proposte della Commissione non diventeranno decisioni di governi e Parlamento. E ci vorrà del tempo perché ciò accasa. Le dichiarazioni baldanzose della von der Leyen – “ricostruiremo la fiducia” nell’Ue – e del commissario Margaritis Schinas – “missione compiuta” – vanno lette con cautela: l’Ue non ha abolito i migranti, come qualcuno credette di fare a suo tempo con i poveri.
Il tempo delle soluzioni ‘caso per caso’ sta però per scadere: per i salvati in mare, ci sarà un qualche meccanismo di redistribuzione automatico; i rimpatri andranno decisi in tre mesi; se ne negozierà con i Paesi terzi; e ci sono piani d’emergenza per fronteggiare crisi acute.
Le prime reazioni lasciano già presagire posizioni dialettiche fra i 27. Per l’Italia, il premier Conte twitta: “Il Patto è un importante passo verso una politica migratoria davvero europea. Ora bisogna coniugare solidarietà e responsabilità. Serve certezza su rimpatri e redistribuzione: i Paesi di arrivo non possono gestire da soli i flussi a nome dell’Europa”
La Francia gioca d’anticipo sul Patto di Bruxelles e fa appello a una maggiore “solidarietà europea” sul trattamento delle richieste d’asilo e sui rimpatrii: “Non c’è motivo che solo Italia, Francia e Germania, grosso modo con la Grecia, condividano questa solidarietà”, dice il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ai microfoni di France Inter, sostenendo che “la questione migratoria si risolve solo a livello europeo”. Berlino, Atene, Madrid, Lisbona, il Benelux, le capitali del Nord ci staranno (con qualche distinguo).
Ma i Paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia) e i Baltici diranno no a qualsiasi obbligo ad accogliere sul loro territorio richiedenti asilo giunti in altri Paesi Ue. E riluttanze ci saranno pure da parte di Austria e Croazia. Il ministro dell’Interno ceco Jan Hamacek è il primo a uscire allo scoperto: Praga “rifiuta qualsiasi obbligo di ricollocamento di migranti … Siamo contrari… “.
La proposta della Commissione non prevede, in realtà, “quote obbligatorie per i ricollocamenti”: ci sono sì le quote, ma si potrà scegliere se partecipare con i ricollocamenti o i rimpatrii sponsorizzati o con un mix di entrambi”, spiega la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson, prospettando margini di negoziato.